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lunedì 09 settembre 2024
 
 

Diaz, quelle notti senza democrazia

06/07/2012  È pesantissima la sentenza sulle violenze degli agenti avvenute nel 2001 alla scuola di Genova: 17 i dirigenti condannati. Con interdizione dai pubblici uffici.

La Cassazione ha confermato. La condanna è pesante e definitiva. Diciassette dirigenti della Polizia di Stato sono stati considerati colpevoli dei fatti accaduti la notte del 21 luglio 2001 a Genova, quando gli agenti fecero irruzione alla scuola Diaz dando luogo a pestaggi e arresti illegali di decine di giovani partecipanti al Genoa Social Forum e alle proteste contro il G-8.

     I 17 funzionari sono stati anche condannati all’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni, per cui dovranno lasciare i ruoli attualmente ricoperti. I giudici della Suprema Corte hanno anche confermato il diritto ai risarcimenti per le vittime (si tratta di decine e decine di procedimenti per una cifra totale che potrà arrivare ad alcuni milioni di euro), e hanno invece prescritto la condanna per lesioni inflitta ai capisquadra.

     La condanna riguarda il reato di aver firmato i falsi verbali che giustificavano l’irruzione accusando le vittime di aver opposto resistenza, di aver accoltellato un agente e nascosto delle bombe molotov. Tutti fatti che nel processo si sono rivelati falsi.

     I colpevoli sono il capo dell’Anticrimine Francesco Gratteri (pena di 4 anni), il capo dello Sco (Servizio centrale operativo) Gilberto Caldarozzi (3 anni e 8 mesi), e il capo del Dipartimento analisi del Servizio segreto interno (Aisi) Giovanni Luperi (4 anni). Gli altri dirigenti con condanna irrevocabile a tre anni e otto mesi sono Filippo Ferri, Massimiliano Di Bernardini, Fabio Ciccimarra, Nando Dominici, Spartaco Mortola, Carlo Di Sarro, Massimo Mazzoni, Renzo Cerchi, Davide Di Novi, Salvatore Gava e Pietro Troiani.

     L’ex capo della mobile Vincenzo Canterini – ora in pensione – ha avuto uno sconto di pena (che in secondo grado era stata di 5 anni) per la prescrizione del reato di lesioni.

     «La sentenza va rispettata», è stato il commento del ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri, «come tutte le decisioni della magistratura. Il ministero ottempererà a quanto disposto dalla Suprema Corte», ha aggiunto, sottolineando però che «nessuno può dimenticare l’attività quotidiana di tante donne e uomini della polizia che, con dedizione, professionalità e coraggio, lavorano al servizio dello Stato per il bene di tutti. Non devono più accadere episodi come quello della Diaz, ma neppure che i nostri uomini vengano assaliti, picchiati e insultati per strada».

     «Ci sono voluti undici anni per arrivare a questo verdetto e la Cassazione è stata coraggiosa: mai, nelle democrazie occidentali, si era arrivati a una condanna per funzionari della polizia di così alto livello», ha detto l’avvocato Emanuele Tambuscio, legale di alcune delle vittime.

     I fatti della “notte della Diaz” provocarono 63 feriti – alcuni dei quali in maniera grave e permanente come il giornalista inglese Mark Covell – e 93 persone arrestate illegalmente (rimaste in carcere tre giorni senza poter comunicare con nessuno). La Suprema Corte, invece, ha dichiarato prescritte le condanne a tre anni di reclusione (comunque coperti dal condono) per otto agenti di grado inferiore, i capisquadra del settimo reparto della celere di Roma, accusati di lesioni. Per Massimo Nucera e Maurizio Panzieri è stata ridotta a tre anni e cinque mesi la condanna per la messinscena dell’accoltellamento.

Tra le prime reazioni, quella di Heidi Giuliani, madre di Carlo, lo studente ucciso da un carabiniere durante il G8. «Giustizia c’è benché incompleta», ha detto, «perché le responsabilità sono più ampie: penso all’assoluzione dell’allora capo della polizia e al mancato processo per la morte di mio figlio».

     L’avvocato Francesco Romeo, difensore di alcune delle vittime ha sottolineato che, al di là del «grande risultato» della condanna della “catena-comando”, «rimane però il dato di fatto che quella notte alla scuola Diaz è stata una pagina nera per la democrazia italiana e il Parlamento non ha nemmeno fatto una Commissione di inchiesta per individuare le responsabilità politiche».

     Quanto a Vittorio Agnoletto, che nel 2001 era portavoce del Genoa Social Forum, il suo commento è di plauso per la sentenza – «importantissima», dice, «per l'indipendenza dimostrata dalla magistratura» – ma anche di non completa soddisfazione: «Restano delle questioni irrisolte», ha dichiarato. «In questi 11 anni nessuna istituzione ha chiesto scusa per i pestaggi avvenuti nella scuola Diaz, né per le violenze della caserma di Bolzaneto. Inoltre, se sono stati condannati il numero due, tre e quattro della polizia, è evidente che il numero uno di allora, De Gennaro, che dava gli ordini, ha una responsabilità e non è pensabile che rimanga al suo posto come sottosegretario alla presidenza del consiglio con delega alla sicurezza».

     Gli fa eco Enrica Bartesaghi, del Comitato Verità e Giustizia per Genova: «Siamo soddisfatti del risultato», ha detto, «ma ora chiediamo l’immediato allontanamento di tutti i condannati e aspettiamo le scuse del Capo dello Stato, del ministro degli Interni e le dimissioni dell'ex capo della polizia Gianni De Gennaro».

     Restano ancora aperti due procedimenti
che riguardano i fatti accaduti durante il G8 di Genova. Il 13 luglio è prevista la sentenza della Cassazione per le accuse di devastazione e saccheggio nei confronti di dieci manifestanti. Infine, deve arrivare a conclusione (ma la data non è ancora stata fissata) anche il processo per le violenze avvenute all’interno della caserma di Bolzaneto. Nel maggio scorso la quinta sezione penale della Cassazione ha condannato lo Stato a risarcire le parti civili con circa 10 milioni di euro, ma restano da confermare o annullare le condanne emesse dalla Corte d'appello, nei confronti di 44, tra agenti penitenziari, militari e medici.

La sanguinosa irruzione alla scuola Diaz avvenne la notte del 21 luglio 2001, quando stava per terminare il G8 di Genova. Il capoluogo ligure era già stato sconvolto da giorni di guerriglia urbana e dall’uccisione di Carlo Giuliani, in Piazza Alimonda.

     La scuola Diaz era una delle strutture messe a disposizione dal Comune per ospitare i partecipanti al Genoa Social Forum durante il summit degli Otto grandi.

     Duecento agenti di polizia piombarono nella scuola in piena notte, mentre diversi ospiti – tra cui diversi stranieri – stavano già dormendo, nei sacchi a pelo stesi, all’interno della palestra della scuola.

     Gli avvenimenti di quella notte furono definiti un «massacro» dal Pm Francesco Cardona Albini nella sua requisitoria al processo di primo grado: 63 i feriti e 93 le persone arrestate illegalmente.

     In quella circostanza, la polizia dichiarò di aver sequestrato due bottiglie molotov e altre armi improprie. Ma il processo ha dimostrato che si trattò di una montatura messa in atto da alcuni degli stessi agenti (che le portarono all'interno della scuola) per giustificare gli arresti.

     Le immagini dei volti feriti, del sangue nei locali devastati della scuola fecero il giro del mondo. Lo stesso Michelangelo Fournier, all’epoca vice dirigente del reparto mobile di Roma, ammise nel corso degli interrogatori di essere rimasto scioccato dai pestaggi in corso a cui si era trovato ad assistere (la sua era stata una delle ultime squadre di agenti ad arrivare alla Diaz) e di aver ordinato ai propri uomini di lasciare l’edificio.

     Le indagini dei magistrati Enrico Zucca e Francesco Albini Cardona sulle lesioni, sugli arresti arbitrari e sulla vicenda delle molotov, si conclusero con il rinvio a giudizio di 29 poliziotti tra alti dirigenti, funzionari e capisquadra. Contestarono i reati di violenza privata, lesioni, abuso d'ufficio, falso, calunnia.

     In primo grado furono 13 le condanne e 16 le assoluzioni (in pratica, di tutti i vertici della catena di comando). La Corte d'appello di Genova, poi, ribaltò la sentenza condannando anche i dirigenti di più alto livello: le condanne furono 25.

     In primo grado i due pm avevano chiesto 29 condanne per un ammontare complessivo di 109 anni e nove mesi di carcere. In appello il Procuratore generale Pio Macchiavello aveva chiesto oltre 110 anni.

     Alle udienze è stato sempre presente Mark Covell, il giornalista inglese che finì in coma per i calci e i pugni alla testa, la prima persona che i poliziotti incontrarono all’ingresso della scuola. Il cronista fece mesi e mesi d’ospedale, dopo quella notte, e dovette sottoporsi a diversi interventi chirurgici, riportando comunque lesioni irreversibili.

«Il prezzo che paga la Polizia è altissimo perché perdiamo alcuni dei nostri uomini migliori», ha commentato il ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri in relazione alla condanna all’interdizione dai pubblici uffici che costringerà i dirigenti a lasciare funzioni e incarichi.

     La Polizia e l’Aisi (il servizio segreto interno) escono decapitati da questa sentenza: Francesco Gratteri è attualmente il capo della Direzione centrale anticrimine della Polizia di Stato; Gilberto Caldarozzi è il direttore dello Sco (Servizio centrale operativo), punta di diamante nelle investigazioni della stessa Polizia; Giovanni Luperi, già vicedirettore dell’Ucigos, è ora capo dipartimento dell’Aisi.

     La condanna all’interdizione da incarichi pubblici li rende incompatibili con la permanenza nelle forze dell’ordine. E in effetti la Cancellieri ha confermato che il ministero «ottempererà a quanto disposto dalla Suprema Corte».

     «Massimo dovuto rispetto» per il verdetto anche da parte del capo della Polizia. Antonio Manganelli sottolinea anche la volontà di evitare che in futuro simili episodi possano ripetersi: «La polizia», ha detto, «ribadisce l’impegno a proseguire nel costante miglioramento del percorso formativo relativo al complesso campo dell’ordine e della sicurezza pubblica».

     La “decapitazione” odierna dei vertici di Polizia solleva, tuttavia, non pochi interrogativi sulle promozioni ottenute da questi dirigenti mentre il processo era in corso, e anche dopo i primi verdetti.

     Gratteri, ad esempio, era stato nominato nel 2003 direttore del Servizio centrale antiterrorismo dell'Ucigos, e nell’agosto 2005 questore di Bari. Poi, nel gennaio 2007, era diventato direttore della Direzione Centrale Anticrimine e, infine, nel dicembre 2009 prefetto.

     Anche Caldarozzi era stato promosso a capo del Servizio centrale operativo della Polizia nel 2005, in seguito al successo investigativo che aveva portato alla cattura del boss di Cosa nostra Bernardo Provenzano.

     Investigatori che si erano guadagnati la fama “sul campo”, percorrendo carriere brillanti. Ma le promozioni, seppur motivate da “meriti straordinari”, non hanno tenuto conto, evidentemente, di altri “demeriti straordinari” che già stavano emergendo nei processi: le montature e i falsi costruiti ad arte per giustificare una notte di folle e inaudita violenza. Una notte di “sospensione della democrazia”, come fu definita quella della Diaz.

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