Ibrahim (nome di fantasia) ha 24 anni, arriva dalla Guinea e lavora a Milano come rider di Glovo. Nella piazzetta deserta davanti alla chiesa di Santa Francesca Romana, vicino corso Buenos Aires, compulsa continuamente l’app in attesa di qualche chiamata. «Guadagno dai due agli otto euro a consegna, dipende principalmente dalla distanza», racconta, «oggi ne ho fatte solo tre. Ristoranti e pizzerie hanno chiuso quasi tutte. Adesso consegniamo a domicilio soprattutto la spesa. Il lavoro è calato tantissimo». La mascherina e i guanti? «Non ce li ho, non mi servono, quando faccio le consegne metto il cibo o la spesa in ascensore per evitare contatti con i clienti».
Davanti al Carrefour di via Modena, zona Porta Venezia, seduti sul marciapiede, ci sono quindici riders che attendono di essere chiamati per andare a consegnare la spesa. Sono tutti stranieri e nessuno ha la mascherina. Uno di loro che non vuole dire il nome dice di coprirsi con la sciarpa e mima il gesto. Mentre attendono, chiacchierano tra loro. Vicini, troppo vicini. In piazza Tricolore un rider dice di avere la mascherina «lì, nello zaino» e di usarla solo qualche volta. Davanti al portone di un elegante palazzo in via Fratelli Bronzetti il portiere ha scritto a mano questo avviso: «I fattorini e i riders Glovo sono cortesemente pregati di indossare guanti e mascherina prima di usare citofoni e maniglie. Grazie mille».
«Abbiamo chiesto di bloccare il servizio e non ci ha risposto nessuno»
Nella Milano resa deserta dal coronavirus sono rimasti solo loro a sfrecciare. In motorino (pochi), in bici (quasi tutti), uno addirittura con la macchina. Nove su dieci sono stranieri. Qualcuno ha la mascherina, quasi nessuno i guanti. C’è chi ha paura, chi non vede troppi rischi, chi abbozza un sorriso perché «senza traffico si lavora meglio». Il sindaco Sala e il governatore Fontana da giorni chiedevano al premier Conte una stretta ulteriore, poi arrivata con il decreto di domenica, e di chiudere tutti i servizi non strettamente essenziali perché i contagi in Lombardia e nell’area metropolitana di Milano galoppano. Ma i fattorini vanno avanti a lavorare senza sosta e senza protezioni. «Un rider è andato in un palazzo a Milano appena sanificato perché c’era stato un caso di Covid-19, si è posto il problema se fermarsi o meno e alla fine si è messo in quarantena da solo. Poi ha chiamato il numero verde della regione e gli hanno detto di non preoccuparsi e di farsi vivo solo se ha sintomi come febbre, tosse e insufficienza respiratoria», racconta Angelo Avelli, portavoce di Deliverance Milano, il sindacato dei riders della città che ha chiesto al sindaco Sala di bloccare tutto: «Non ci hanno risposto», spiega, «questo servizio non può essere regolato, il rischio contagio è altissimo. Siamo al paradosso: la Lombardia è la regione più colpita dal virus ed è anche la regione dove il servizio di consegna a domicilio è il più sviluppato. Eppure i fattorini continuano ad andare avanti come se nulla fosse. È una follia». Sulla stessa linea di Deliverance Milano anche i sindacati delle altre città: Riders Union Bologna, Riders Union Roma, Riders per Napoli – Pirate Union.
Il volume di lavoro per i riders è diminuito del 50 per cento in tutta Italia: «Era ampiamente previsto», spiega Avelli, «anche se ristoranti e pizzerie possono offrire il servizio d’asporto anche dopo le 18, molti hanno chiuso perché economicamente non conviene tenere aperto. Hanno chiuso tutte le catene più grandi, a cominciare da McDonald’s. Come i ristoranti giapponesi e cinesi. Resta ben poco da consegnare». La spesa, per esempio: «Deliveroo e Glovo sono gli unici che fanno consegne anche con le catene dei supermercati. Carrefour solo con Glovo mentre TooMarket con Glovo e Deliveroo. Il rischio contagio non riguarda solo i fattorini ma anche i clienti. Questo è il punto». Le piattaforme cosa rispondono? «Hanno assicurato che si stanno muovendo per fornire i dispositivi di protezione individuale (DPI) per tutti ma ancora non abbiamo visto nulla. A noi risulta che i guanti e mascherine, chi ce l’ha, se li è comprati da solo», dice Avelli, «la legge approvata dal governo Conte a novembre (la n. 128 del 2 novembre 2019, ndr) dice chiaramente che i fattorini sono lavoratori etero organizzati ma l’azienda ha comunque responsabilità precise, per esempio sugli infortuni, e deve fornire i DPI (mascherine, guanti usa e getta e gel disinfettante, ndr) a tutti». Alcune piattaforme, fa sapere Avelli, «hanno attivato un fondo di solidarietà: 350 euro a forfait una tantum per i fattorini in quarantena domiciliare obbligatoria (ai lavoratori dipendenti è riconosciuta la malattia, ndr), 30 euro al giorno se finiscono in ospedale e fino a 1500 euro se vengono ricoverati in Terapia intensiva. Non sappiamo se sono cifre nette o lorde. Ma è una contraddizione enorme: non si tutela il rider dal contagio ma gli si danno i soldi se viene contagiato e si ammala. Meglio di niente, certo, però non è abbastanza. In Inghilterra Deliveroo dà un bonus di 20 sterline per comprarsi mascherina e guanti e basta. Un’elemosina».
Mario sulla pagina Facebook di Deliverance scrive infuriato: «Siamo carne da macello. Perché portare una pizza a casa è ovviamente un servizio essenziale. Ogni giorno dobbiamo girare nelle città d’Italia senza la minima protezione ma tanto al governo noi non interessiamo, le nostre richieste da un orecchio gli entrano e dall’altro gli escono. Tutti i servizi a domicilio di pizzerie e ristoranti andrebbero bloccati perché non esiste che noi rischiamo la salute per portare una pizza». Il punto, secondo Avelli, è proprio questo: «In questa situazione mangiare un hamburger gourmet, una pizza o il gelato artigianale è un servizio essenziale o no? Secondo noi no e quindi tutti a casa finché l’emergenza non finisce». Poi c’è la questione degli stranieri. Sono loro, infatti, a lavorare full time in questo servizio. Gli altri (studenti, disoccupati, lavoratori part time) lo fanno nel fine settimana per arrotondare: «Gli stranieri», spiega Avelli, «stanno capendo meno quello che sta succedendo perché hanno meno accesso ai canali d’informazione e magari non conoscono bene la lingua. Però c’è da dire che moltissimi migranti si sono dotati di sistemi di protezione sin da subito perché arrivano da Paesi dove le epidemie sono più diffuse rispetto all’Europa».
Deliveroo: «Mascherine a tutti e assicurazione per chi si ammala»
Abbiamo girato le rimostranze dei riders sull’assenza dei dispositivi individuali di protezione a Deliveroo. «I rider che collaborano con noi», spiega il general manager della piattaforma Matteo Sarzana, «sono lavoratori autonomi, come previsto dalla legge 128 del 2 novembre scorso. Per questo abbiamo informato da subito i rider sulle norme emanate dalle autorità e sui comportamenti da adottare, in linea con le indicazioni delle autorità sanitarie e al fine di tutelare la salute di tutti». Sarzana ricorda che «attraverso la definizione delle linee guida tra Assodelivery (alla quale aderiscono Deliveroo, Glovo, Just Eat, Uber Eats e Social Food, ndr) e Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi, ndr), abbiamo messo a punto un vero e proprio decalogo per fare in modo che l’attività di preparazione e consegna del cibo avvenga in piena sicurezza, per tutti».
E le mascherine? «Assodelivery inizierà a breve a distribuirle ai rider che operano con le piattaforme aderenti. È un'iniziativa aggiuntiva a quanto previsto dalla normativa, sviluppata in un’ottica di responsabilità sociale, attraverso cui vogliamo assicurare ulteriori misure protettive e preventive per la sicurezza dei rider e dei consumatori, nella gestione delle consegne del cibo. Vogliamo fare la nostra parte, in un momento in cui è molto complicato reperire questo tipo di materiale. È un impegno che riguarda tutti, a cominciare dalle istituzioni».
Ma non sarebbe meglio sospendere il servizio perché il rischio è troppo alto? «Noi rispettiamo tutte le indicazioni stabilite dalle autorità», risponde Sarzana, «il nostro servizio è attivo secondo quanto stabilito dal DPCM dell’11 marzo che consente la consegna di cibo a domicilio. Nella Regione Campania rispettiamo l'ordinanza emessa dal presidente De Luca. Il settore del food delivery al momento ha subìto una flessione, ma stiamo registrando segnali incoraggianti in tutta Italia e siamo ottimisti per il futuro». Gli chiediamo se ci sono casi finora di riders positivi al Covid-19 è la risposta è no: «In ogni caso», dice Sarzana, «abbiamo attivato un’assicurazione per chi dovesse risultare positivo. Vale per tutti i rider che hanno un contratto e che si sono collegati con la stessa piattaforma negli ultimi 12 mesi, indipendentemente dal loro inquadramento e dai loro compensi percepiti. L’assicurazione non ha alcuna franchigia e nessun costo per i rider. Rappresenta per noi uno sforzo economico importante».
Milano la città con più riders d’Italia
Ma quanti sono i riders in Italia? Circa ventimila in totale, cinquemila solo a Milano, molti dei quali lavorano contemporaneamente con più piattaforme. Quelli di Deliveroo, spiegano dall’azienda, «sono circa diecimila, l’85% italiani. Di questi il 40% sono studenti, l'altro 40% lo fanno come secondo lavoro, il 5% sono disoccupati in cerca di occupazione». Ma quanto guadagna, in media, un rider? «Siamo a cottimo. Dipende se lavori full time o part time», risponde Avelli, «chi lavora solo nel fine settimana porta a casa 400-500 euro al mese. Alcuni arrivano a 1.500 euro e anche di più ma per arrivare a queste cifre devi stare in strada 60 ore a settimana. La media, comunque, per un full time è di 1200 euro».
Nell’hub di Amazon nel Piacentino è scattato lo sciopero
Intanto nel più importante centro di distribuzione di Amazon in Italia, quello di Castel San Giovanni (Piacenza), una delle aree più critiche dell’epidemia, dove lavorano 1.100 persone, i dipendenti hanno proclamato sciopero a oltranza dalle 20 del 16 marzo scorso perché, accusano,«l’azienda non applica il patto tra governo e patti sociali per il contenimento del Covid-19». Il business «per loro viene prima della salute dei lavoratori», dice Pino De Rosa di Ugl terziario mentre Elisa Barbieri della Filcam-Cgil di Piacenza spiega che «non hanno distribuito le mascherine, non hanno proposto soluzioni per mantenere il distanziamento tra le persone che in alcune parti dell’impianto è davvero difficile rispettare e soprattutto non hanno alcuna intenzione di rallentare la produttività per tutelare la sicurezza dei lavoratori». Amazon ha replicato in una nota: «Stiamo seguendo rigorosamente le indicazioni fornite dal Governo e dalle autorità sanitarie locali nell’implementare in tutti i siti le giuste misure per contenere l’emergenza sanitaria in corso. In questi giorni l'azienda dà la priorità alle consegne dei beni di prima necessità mentre nei siti di lavoro, assicura, sono stati presi tutti i provvedimenti necessari per garantire la protezione».
I driver di Amazon, rispetto ai riders, sono assunti con contratto di somministrazione o tramite cooperativa. Il contratto applicato è quello dei servizi postali. In questi giorni, la chiusura di negozi e supermercati ha fatto esplodere la domanda di acquisti online. Negli Stati Uniti, ad esempio, Amazon ha varato un piano per l’assunzione di centomila persone per tenere il ritmo della domanda, garantendo un aumento di due euro all’ora ai dipendenti costretti in questo periodo a un super-lavoro. E in Italia? «Abbiamo deciso di concentrare la nostra capacità sui prodotti che hanno la massima priorità e, a partire da oggi, smetteremo temporaneamente di accettare ordini su alcuni prodotti non di prima necessità sia su Amazon.it che su Amazon.fr», ha annunciato la società sabato in una nota, «tutti gli ordini già confermati saranno regolarmente consegnati».