Don Francesco Mottola (1901-1969)
Ripubblichiamo l'articolo di Raffaele Iaria uscito sul numero 47 del 2019 di Famiglia Cristiana dedicato al miracolo della guarigione di don Felice Palamara, parroco di Pannaconi, nel Vibonese, vittima recente di un attentato da parte della 'Ndrangheta (nel vino della Messa gli avevano messo della candeggina)
Vado spesso a pregare sulla sua tomba e questo rafforza la mia fede». A parlare è don Felice Palamara, attualmente parroco a Pannaconi, frazione di Cessaniti, nel Vibonese, che per intercessione di don Francesco Mottola, morto nel 1969 (dopo 27 anni trascorsi su una sedia a rotelle), è guarito da una grave malattia che lo aveva reso invalido. Don Felice, nel 2008, mentre frequentava il seminario iniziò
ad accusare forti dolori alla vescica con l’impossibilità di svuotarla completamente: «Fu l’inizio di un calvario», dice, «condiviso con i miei superiori e con i miei compagni che costantemente mi dovevano portare in ospedale».
Lo scorso 3 ottobre papa Francesco ha autorizzato la Congregazione per le cause dei santi a promulgare il decreto che riconosce il miracolo avvenuto attraverso l’intercessione del sacerdote calabrese definito “certosino di strada”, “servo della carità”, “testimone della sofferenza di Cristo”, “perla” del clero calabrese. La situazione di don Felice era tanto grave da arrivare alla cateterizzazione vescicale e all’impianto di un elettrostimolatore che gli permettesse di urinare. «Ero veramente prostrato, sofferente, tanto che i miei superiori – lo venni a sapere dopo – stavano anche decidendo sul mio futuro perché la cosa diventava complessa. Non si metteva in discussione la possibilità che io diventassi sacerdote, ma la situazione si faceva diffcile non solo per me, ma anche per i compagni di seminario, a causa della situazione igienica che il mio male comportava».
Don Palamara continuava a invocare don Mottola e nella notte tra il 13 e il 14 maggio di 19 anni fa «mi venne a trovare nella mia stanza del Seminario Romano Maggiore. Mi svegliò e mi disse: alzati, vai al bagno. Feci resistenza», racconta, «facevo fatica a credere nella guarigione. Dovevo subire altri interventi». La patologia diagnosticata, ritenzione urinaria funzionale, era così grave da essere considerata invalidante. «Non ti preoccupare, mi disse donMottola, non farai nessun altro intervento, la tua vescica ritornerà come prima. Tu mi servirai per tante cose buone nella Chiesa». Don Felice andò in bagno e urinò normalmente senza avere più bisogno del catetere. Confidò questo ai superiori, che restarono perplessi, e all’economo del seminario Francesco Massara, oggi arcivescovo di Camerino - San Severino Marche: fu quest’ultimo a portarlo in ospedale per i controlli, con grande meraviglia dei tecnici dell’azienda che si occupano di questi strumenti e che si accorsero che erano anche spenti. «Macchinari sofisticati, che diffcilmente si spengono», spiega il postulatore della causa don Enzo Gabriele. Don Felice è diventato prete l’anno dopo la guarigione: oggi è sacerdote oblato del Sacro Cuore, la Congregazione fondata da don Mottola. «Sto crescendo nella sua spiritualità», afferma, «che ormai sento mia, vicina e che mi accompagna nei passi della mia vita pastorale».
Ora la città di Tropea, dove è nato ed è morto don Francesco Mottola, e la Calabria intera attendono con ansia la data della cerimonia di beatificazione che dovrebbe avvenire nella concattedrale dove si trova la tomba del beato e che, soprattutto dopo l’annuncio, è sempre più meta di pellegrinaggi di fedeli non solo dalla regione. Un giorno di «grande gioia», ha detto il vescovo di Mileto - Nicotera - Tropea, monsignor Luigi Renzo, una gioia per tutta la Calabria per la beatificazione «di un uomo che ha compreso che la Chiesa, in un mondo di sofferenza, doveva vivere la sua missione formando le coscienze al servizio dei poveri, perché in essi si identifica Gesù sofferente».
Il processo diocesano si è svolto a Tropea dall’11 febbraio 1982 al 29 giugno1988, nel dicembre 2007 la dichiarazione di venerabilità.
Don Enzo Gabrieli, postulatore della causa di beatificazione dal 2011, parla di don Francesco Mottola come di «un sacerdote calabrese di santa vita che rappresenta un po’ il lavorodi tanti sacerdoti che silenziosamente operano sulle frontiere della missione e della carità in Calabria».
Non c’è luogo da lui fondato senza la presenza di un povero, che nel gergo dialettale dfiniva i nuju du mundu, che sono «gli scartati, i respinti e i rfiutati della società, come li chiama oggi papa Francesco».