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mercoledì 25 giugno 2025
 
I MISSONI
 

«Così i colori sono entrati nella vita dei miei genitori»

23/05/2025  «Mio padre era un artista, ma a scoprirlo fu mia mamma. Insieme furono dei pionieri. Nella casa “della nonna” le grandi riunioni di famiglia ci hanno tenuti uniti. Le nostre righe? Sono inimitabili». La straordinaria avventura di Ottavio e Rosita Missoni nel racconto del figlio Luca

Londra, Olimpiadi del 1948… è lì che tutto ebbe inizio, quando Ottavio Missoni, campione italiano dei 400 metri a ostacoli, incontra Rosita Jelmini, appartenente a una famiglia di imprenditori del tessile, in Inghilterra per imparare l’inglese. Lo vide gareggiare e se ne innamorò, ma aveva solo 16 anni. Si sposarono nel 1953 e col matrimonio diedero vita anche all’impresa che più familiare di così non si può. Il brand è Missoni ma gli artefici sono stati sin dall’inizio Rosita e Ottavio. «I miei genitori avevano due personalità ben definite e due ruoli complementari ma uno stesso progetto. Quando mio padre diceva “Io sono il creatore, ma Rosita ha creato me” sottolineava che fu lei a scoprire in lui un talento nascosto per il colore», racconta il figlio Luca, direttore artistico dell’Archivio Missoni. «Prima di conoscerla, aveva già un’attività a Trieste, un piccolo laboratorio di maglieria che aveva messo su con amici nel Dopoguerra. Realizzavano tute da ginnastica utilizzate anche dalla Nazionale d’atletica. Ma erano capi semplici, in tinta unita. Solo grazie a mia madre iniziò a sperimentare le cromie e a far emergere quella che poi sarebbe diventata l’inconfondibile estetica Missoni».

In pratica sua madre ha portato il colore nel talento di suo padre?

«Sì, aveva una visione della moda entusiasta e innovativa e un forte legame con il mondo dell’arte e del design. Credeva nella maglieria come strumento di libertà per le donne, sia in senso fisico che sociale. Sapeva riconoscere certi modi di usare il colore e i tessuti. Inoltre, capiva che cosa potesse essere d’attualità in un momento specifico. Aveva un ruolo guida, era il giudice finale: ricordo che quando, insieme a mio papà, le presentavamo dei tessuti che avevamo creato o delle sperimentazioni, solo se la convincevano si andava avanti, altrimenti si ricominciava. Mio padre si fidava totalmente del suo istinto e la seguiva in questo viaggio creativo. Insieme, poi, furono avanguardisti e pionieri del prêt-à-porter italiano».

E ora voi figli portate avanti l’azienda.

«Negli ultimi anni mia madre si era dedicata esclusivamente a Missoni Home, mentre la moda era passata a mia sorella Angela (presidente di Missoni Spa). Mio padre, invece, ha continuato a creare i suoi patchwork e gli arazzi senza più preoccuparsi delle dinamiche commerciali. Sono ormai vent’anni che la gestiamo e portiamo avanti la tradizione familiare, cercando di mantenere vivo il loro spirito innovativo».

Luca Missoni, 68 anni, nell'Archivio Missoni ad Albusciago di cui è il Direttore creativo.
Luca Missoni, 68 anni, nell'Archivio Missoni ad Albusciago di cui è il Direttore creativo.

Il telaio che ruolo ha avuto e ha per la Maison?

«È da un telaio che tutto è cominciato. Mio padre diceva sempre: “Con le macchine possiamo fare solo righe”, scherzando sul fatto che il nostro stile è caratterizzato proprio da queste trame. Ma saper creare righe e colorarle in modo armonico è un’arte complessa. Abbiamo sviluppato progetti educativi per trasmettere questa arte ai giovani, come INTRECCI, realizzato con il MA*GA (Museo Arte Gallarate). L’idea è far capire agli studenti quanto sia importante la composizione cromatica e come la tradizione tessile possa essere un punto di partenza per nuove forme di creatività».

La terza generazione della famiglia è coinvolta nell’azienda?

«In tutto i miei hanno avuto nove nipoti e ora ci sono anche i pronipoti. Tra i cugini c’è un legame affettivo, anche grazie a mia mamma che negli anni ha sempre tenuto le fila al di là dell’azienda dove non c’è sempre posto per tutti e non c’è mai stato un obbligo a venirne coinvolti: ognuno è libero di seguire le proprie inclinazioni e interessi. Però il legame tra di noi è molto forte, proprio grazie all’educazione ricevuta. La famiglia è sempre stata il centro di tutto, e questo si riflette anche nel modo in cui gestiamo l’attività».

C’è un luogo dove vi riunivate?

 «La casa di mia madre è sempre stata il cuore della famiglia. Lei organizzava le cene, i compleanni, e in tutto questo la cucina aveva un ruolo centrale. Era molto attenta alla qualità degli ingredienti e alla stagionalità, valori che aveva ereditato da sua madre. Ancora oggi ci ritroviamo lì intorno allo stesso tavolo per gli incontri familiari, e la cucina è ancora attiva, anche se mia madre non c’è più».

Che rapporto avete con il territorio?

 «Siamo legati a Gallarate e al Varesotto dove l’azienda è nata. Negli anni ’70, con l’espansione dell’attività, i miei genitori decisero di trasferirsi in collina. Prima costruirono la fabbrica, poi la casa dove siamo cresciuti. Ancora oggi la chiamiamo “la casa della nonna”, perché è sempre stata il punto di riferimento per tutta la famiglia».

Quali talenti avete ereditato da Ottavio e Rosita?

«La sportività di mio padre è rimasta in alcuni nipoti, ma forse non tutti hanno ereditato il suo spirito competitivo. Da lui abbiamo preso soprattutto la creatività e la libertà di espressione artistica, la voglia di sperimentare senza dover rispondere per forza a logiche di mercato. Da mia madre, invece, abbiamo appreso il senso dell’ospitalità e il valore delle relazioni sociali».

Le righe e lo zig-zag Missoni sono iconici?

«Questi motivi sono diventati un vero e proprio simbolo. Negli anni ’60, quando mio padre iniziò a usarli, risultavano rivoluzionari e portavano una grande carica di gioia. Indossarli era un segno di personalità. Sono così distintivi che, ancora oggi, se vediamo in giro un motivo simile, sappiamo che o è nostro o è una copia».

 

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