Nel lungo corridoio dove solitamente sciamano folle di pellegrini, da qualche settimana si misura la temperatura e si fanno i colloqui con i sanitari. Nelle salette dove durante i Sinodi i prelati si riuniscono per i circoli minores si procede alle vaccinazioni. L’atrio dell’aula Paolo VI è lo spazio dove si sta realizzando la campagna vaccinazioni della Città del Vaticano. Circa 5mila persone, che hanno quasi tutte ricevuto la prima dose tre settimane fa e in questi giorni stanno avendo la somministrazione della seconda. Probabilmente verso gli inizi di marzo nel cuore di Roma ci sarà una zona dove l’intera popolazione sarà vaccinata. A partire dal suo primo cittadino, papa Francesco, che il 3 febbraio ha avuto la seconda somministrazione del vaccino. Dopo aver fatto la prima il giorno dell’arrivo del siero, il 13 gennaio, quando anche Benedetto XVI è stato vaccinato. Francesco aveva preannunciato in un’intervista a Canale 5, il 10 gennaio, che si sarebbe sottoposto alla vaccinazione, che aveva definito «un’azione etica, perché ti giochi tu la salute, ti giochi la vita, ma anche giochi la vita degli altri». E aveva aggiunto: «C’è un negazionismo suicida che io non saprei spiegare, ma oggi si deve prendere il vaccino».
Nella campagna la priorità è stata data al personale sanitario e di pubblica sicurezza, agli anziani e a coloro che sono più frequentemente a contatto con il pubblico. I vaccinati sono i cittadini, i dipendenti e pensionati, ma anche i familiari che godono dell’assistenza del Fas (Fondo assistenza sanitaria). La campagna è stata completamente su base volontaria. Per ora sono stati esclusi dalla vaccinazione i minori di anni 18 perché non sono stati ancora effettuati studi che comprendono questa fascia di età.
Al popolo dei monsignori e degli impiegati, dei religiosi e delle famiglie vanno aggiunti anche gli abitanti della città nascosta, che hanno avuto visibilità grazie all’attenzione che Francesco ha voluto riservargli sin dall’inizio del suo pontificato: i senza fissa dimora, che trovano riparo all’ombra del colonnato, o frequentano i servizi vaticani, dall’ambulatorio al dormitorio, seguiti dall’elemosiniere, il cardinale Konrad Krajewski. Il 20 gennaio in 25 hanno ricevuto la prima dose, ma altri turni sono previsti in questi giorni.
Sono una cinquantina i medici e gli infermieri, il personale qualificato della Direzione di sanità e igiene del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, che in queste settimane, con turni che coprono anche il sabato e la domenica, si stanno alternando per effettuare le vaccinazioni. Le dosi di vaccino sono conservate in un “ultra low temperature refrigerator”, appositamente comprato.
La Direzione di sanità e igiene è una delle sette direzioni in cui è organizzato il Governatorato vaticano. La direzione provvede alla cura della salute della persona e alla tutela della sanità e dell’igiene pubblica, cosa che include anche la sicurezza e la salute dei lavoratori nei luoghi di lavoro. Si occupa quindi dell’ ambulatorio (33 tra infermieri, biologi e tecnici di laboratorio e 90 medici che svolgono la loro attività a Roma e collaborano poi col Vaticano) e della guardia medica permanente. Rientra nelle funzioni di sanità e igiene la Farmacia vaticana, che ha autonomia tecnica e amministrativa e provvede al rifornimento e alla distribuzione di prodotti farmaceutici e parafarmaceutici.
Il responsabile è il professore Andrea Arcangeli, romano, 65 anni, medico e rianimatore. Intervistato dal settimanale Credere ha dichiarato: «Nel primo mese la maggior parte della mia attività ha avuto come obiettivo la pandemia, poi sono stato molto assorbito dalla questione del ritorno al lavoro di dipendenti che erano stati all’ estero». Anche in Vaticano sono stati infatti registrati alcuni dipendenti positivi al virus, nessuno finito in terapia intensiva. Arcangeli ha promosso, negli scorsi mesi, una campagna di sensibilizzazione per invitare residenti e dipendenti del Vaticano a fare il vaccino anti-influenzale.
A proposito del diritto alla salute va registrato l’appello a mettere in campo «azioni urgenti» per un equo accesso ai vaccini lanciato oggi, 5 febbraio, da Caritas Internationalis. In un’ampia nota si denuncia che, in questa pandemia, «l’accesso ai vaccini nel mondo non è stato così equo come dovrebbe essere». «È triste notare che non tutte le nazioni e coloro che vogliono o hanno bisogno del vaccino possono ottenerlo a causa di problemi di approvvigionamento, mentre nel nostro mondo interconnesso i vaccini devono essere resi disponibili in modo equo», si legge in un comunicato. «I poveri, le minoranze, i rifugiati, gli emarginati sono i più esposti al virus. Prendersi cura di loro è una priorità morale perché abbandonarli mette a rischio loro e la comunità globale. Il nostro benessere collettivo dipende da come ci prendiamo cura degli ultimi». «Mentre affrontiamo un’emergenza globale, i leader politici devono guardare oltre gli interessi delle loro nazioni e dei loro gruppi politici». «Questa pandemia è un problema di sicurezza umana globale che minaccia l’intera famiglia umana. Affrontare la questione dei vaccini dalla prospettiva di una strategia nazionale ristretta potrebbe portare a un fallimento morale nel soddisfare i bisogni dei più vulnerabili in tutto il mondo».