La lingua di Eduardo e la filosofia di Antonio Genovesi, la creatività dello scugnizzo e la determinazione del manager, la Chiesa del Concilio e la forza del sogno. L’elenco potrebbe continuare all’infinito, ma Antonio Loffredo, classe 1959, taglia corto: «Sono un parroco. Mi chiamassero come vogliono». Di recente riconfermato per il terzo mandato in uno dei quartieri più vivaci e complicati del centro storico di Napoli, racconta che quando è arrivato a Santa Maria della Sanità le altre dieci chiese distribuite sul territorio parrocchiale erano chiuse. Oggi le luci sono accese anche fino a notte inoltrata. Una ospita un laboratorio teatrale, un’altra è la sede dell’orchestra giovanile Sanitansamble, una è palestra di boxe, una è studio musicale, un’altra sede del doposcuola, quella più piccola espone quadri del Seicento napoletano e Il Figlio velato dello scultore Jago, il quale ha il laboratorio in un’altra chiesa...
«CELEBRIAMO LA VITA»
«Nessuna è stata sconsacrata», dice don Antonio: «celebriamo la vita, non siamo tridentini. Abbiamo rivisitato tutti i buchi. Dovevamo fare congreghe? Depositi della
spazzatura? Affittare? Non sono scelte confacenti alla mia vita di cristiano. La storia ci ha consegnato dei beni perché facessimo qualcosa per i poveri. E invece oggi per tanti, nelle diocesi, negli ordini religiosi, la preoccupazione è finanziarizzare». Loffredo vorrebbe convincere i suoi colleghi di ministero, a ogni livello, che «bisogna avere una visione, non fare i ragionieri! Devo amministrare le persone, non i beni. Solo così quella casa, quella chiesa diventa generativa». È una parola chiave – generatività – per capire perché nei locali parrocchiali si è inventato un bed and breakfast, Il monacone; perché ha deciso, con discrezione e gratuitamente, di dare accoglienza nei basamenti delle statue, negli spazi vuoti della basilica, alle ceneri dei parrocchiani cremati. Perché le decine di attività messe su vengano oggi gestite dalla Fondazione di comunità san Gennaro, che vede nei ruoli di responsabilità anche quei giovani che sono cresciuti con lui. «Sono come lievito per il quartiere. Vivevano tra il chiostro e la strada. Avevano abbandonato la scuola, alcuni rubavano. Ora hanno studiato, parlano le lingue». Il punto di forza di don Loffredo è probabilmente quella capacità visionaria di riuscire a vedere cose che ad altri sfuggono. C’è chi si ferma ai motorini che sfrecciano, a qualche strada poco illuminata e a qualche edificio “sgarrupato”. A lui brillano gli occhi: «Qui c’è una stratificazione straordinaria, abbiamo la stessa datazione di Pompei, di Ninive, solo che lì sono scheletri e qui abitiamo tutta questa storia. Stiamo passeggiando dove ci sono gli ipogei greci, il IV secolo avanti Cristo, e poi le catacombe, il periodo medievale, il rinascimento, il barocco e il contemporaneo».
ECONOMIA CIRCOLARE
In un continuo fluire tra il dialetto napoletano, la citazione colta e quella evangelica, il parroco guarda oltre ma ha i piedi saldamente per terra: «Ci sono delle pietre che gli altri hanno scartato: metterle insieme e farle diventare testate d’angolo è il mio lavoro. Per me prete il problema non è mettere a posto le chiese, ma far generare queste cose preziose». E la generatività sono 40 ragazzi che lavorano con un contratto, che si autosostengono senza dover chiedere la carità a nessuno. E le possibilità di lavoro e di economia circolare che l’apertura del quartiere ha portato. La madre di tutte le imprese è stata il recupero della catacombe di san Gennaro, la creazione di un itinerario che attraverso le viscere della collina di Capodimonte arriva alla Sanità, nella cappella che un tempo era il deposito dell’ospedale san Gennaro e oggi è un centro di arte e di conferenze. «Ci sta a cuore la catacomba, perché ci presentiamo diversamente al mondo e incassiamo soldi puliti. Alcuni ragazzi dell’orchestra si sono iscritti al conservatorio. Quelli del teatro fanno tournée nei migliori teatri italiani, hanno partecipato a produzioni importanti, come La paranza dei bambini o I bastardi di Pizzofalcone». Il quartiere è diventato set di numerose produzioni cinematografiche sono nati locali per la ristorazione, si è innestato un flusso turistico. «Per noi cristiani», dice don Loffredo, «dovrebbe essere un dogma: o il welfare si fa così o niente. Di quello ottocentesco, dell’assistenzialismo peloso, non ne abbiamo più bisogno».
FARE COMUNITÀ
La sua filosofia è chiara: «Non credo nell’assoluto dello Stato che deve nutrire tutti, ma nella triplice collaborazione: Stato, privati e società civile, quel terzo settore che ci dà la libertà di creare delle risposte, con un’economia reale e l’uomo al centro. O impariamo a fare comunità o nessun progetto è sostenibile. Noi siamo figli di Antonio Genovesi, non di Hobbes». Si sente l’eco dell’iniziativa The Economy of Francesco… «Certamente! E infatti uno dei miei ragazzi partecipa al progetto, li hanno chiamati come imprenditori». Dovendo dare un consiglio al nuovo arcivescovo di Napoli, cosa gli direbbe? «Abbiamo avuto vescovi che hanno aperto molto alla città, adesso ci vuole uno che prenda questa massa sgangherata di preti e crei una squadra, dove non ci siano personalismi, proteggendo, accompagnando, sostenendo, motivando. Senza una squadra puoi scrivere le più belle lettere ma non puoi fare il vescovo». Parla volentieri dei suoi ragazzi, poco di sé don Loffredo. Raccoglie la provocazione sul celibato: «È un valore, lo vivo, ma non credo sia legato al ministero presbiterale. Per il terzo millennio stiamo disegnando una Chiesa più vicina al primo millennio che al secondo». Una personalità forte, quella del parroco della Sanità, che ha incontrato la stima e l’amicizia di tanti intellettuali e imprenditori. Come quella di un grande napoletano, ateo, Ermanno Rea, che a lui si è ispirato per tratteggiare il personaggio di don Luigi Rega, «parroco controcorrente e indisciplinato», nel libro scritto prima di morire, Nostalgia, ambientato proprio alla Sanità. Figlio di un imprenditore, un fratello, due sorelle, prete dal 1986, Loffredo ha lavorato prima a Poggioreale poi alla Sanità. Oggi condivide la responsabilità di cinque parrocchie con don Peppe Rinaldi. Un perfetto compagno di strada, pugliese mite e determinato, poche parole, solida formazione teologica. Quello che hanno costruito – sostengono – affonda le radici nella storia fatta da altri.
GESÙ, IL SUO NUTRIMENTO
«Chi si mette sulle spalle dei giganti guarda lontano. Il mio predecessore, don Giuseppe Rassello, diceva: “Solo radicandovi sul passato potete dare un futuro alla Sanità”. E intendeva le catacombe e tutti i beni artistici», dice. E poi, aggiunge, c’è stata la fortuna di essere cresciuto con uomini e donne «che mi hanno insegnato la libertà come valore assoluto. Così ho imparato a relazionarmi ai ragazzi: non ho un approccio “mammone”, ma li invito a fare esperienza, a uscire. Si cresce anche sbagliando». Aver dato loro fiducia ha permesso di costruire relazioni comunitarie. «La Chiesa funziona anche senza di me», dice pensando a quando non dovrà più occuparsi della lista dei tetti da riparare, dei tubi che perdono acqua, del funzionario o del prelato con cui confrontarsi, delle mille incombenze che comunque richiedono la supervisione del parroco. Ma non sentirà la mancanza della comunità? «Cresco con una difesa nel cuore: ti do la vita, ma non sei tu il nutrimento della mia esistenza». Insomma, conclude, «mi ritrovo in quello che diceva don Lorenzo Milani: “I preti e le puttane si innamorano alla svelta delle creature. Se poi le perdono non hanno tempo di piangere. Il mondo è una famiglia immensa”. Il nutrimento della mia vita è Gesù. Quando si va via si scuote la polvere, resta quello che deve restare. Io non sono il padre, sono solo “l’amico dello sposo”».
CHI È
Età 59 anni
Professione parroco
Stile Collaborativo e generativo
Motto Occorre visione
GUIDA CINQUE PARROCCHIE
Prete dal 1986, sacerdote della diocesi di Napoli, don Antonio Loffredo è figlio di un imprenditore. Ha lavorato prima a Poggioreale poi, nel 2001, è approdato al rione Sanità dove risiede tutt’oggi. Attualmente gestisce – insieme con don Peppe Rinaldi – la basilica di Santa Maria e altre quattro parrocchie. Nel suo impegno pastorale punta molto sui giovani e la loro formazione. Fra le sue doti, quella di far conoscere la bellezza artistica.