«La porta si aprì e ci trovammo davanti la governante. Con timore, le dicemmo: “Avremmo una lettera per il signor De André”. Mentre stava per risponderci arrivò correndo un bambino: “Papà, papà! Ci sono due signori!”. Dietro il bambino — era Cristiano De André — intravedemmo un pigiama giallo, e dentro c’era Fabrizio. Erano circa le 11 del mattino, probabilmente si era appena alzato, e comunque stava già fumando. Mai visto nessuno fumare come lui. Non ci disse “Chi siete?” o “Cosa volete?”, ma solo: “Prego, accomodatevi”».
L’amicizia fra don Carlo Scaciga, oggi 75enne, e il grande cantautore genovese è nata quel giorno del 1969, è durata diversi anni e ha avuto un influsso importante sull’album La buona novella, ispirato ai Vangeli apocrifi. «Non vorrei passare per un clericalizzatore della figura di De André», chiarisce subito don Carlo, oggi collaboratore delle Parrocchie unite di Novara Centro, che incontriamo nella sua casa di Novara. «Posso dire, però, che Fabrizio aveva una sensibilità spirituale acuta e profonda. Aveva parole puntute contro la religione ingessata e interessata al potere e il perbenismo di chi giudica gli altri. Ma in lui non c’era acredine, c’era questa visione anarchica e scapigliata, però sostanzialmente rispettosa. E per certi versi profetica. Aveva una spiritualità semplice, da un lato, e molto complessa dall’altro. Quando l’abbiamo incontrato aveva già scritto la canzone Si chiamava Gesù». Per sapere, però, qual è il legame di don Carlo con La buona novella bisogna tornare a quel primo incontro del ’69.
DE ANDRÉ E I GIOVANI DEL ’69
«Ero un giovane prete di 26 anni ed ero stato destinato a Intra, una frazione di Verbania, sul Lago Maggiore», spiega don Carlo. «Collaboravo con un altro giovane sacerdote, don Donato Paracchini, direttore di un pensionato studentesco della diocesi, di cui presto sarei diventato coadiutore, la Famiglia giovani. De André era già noto. Con i ragazzi ascoltavamo le sue canzoni e ne discutevamo volentieri. Era il clima del post-concilio e anche noi due sacerdoti ci sentivamo interpellati, a volte “interpretati” da lui. Io, prima di entrare in seminario avevo vissuto anni molto belli nel movimento studenti dell’Azione cattolica, avevo respirato una fede libera e aperta alle domande. A un certo punto insieme agli studenti del pensionato decidemmo di invitarlo, per confrontarci con lui a partire dai testi del suo disco Tutti morimmo a stento. Non avevamo alcun contatto e non c’era internet, per cui partimmo dalla ricerca più banale: l’elenco telefonico di Genova. Fummo fortunati, c’era il suo indirizzo: De André Fabrizio, Corso Italia… Il numero non lo ricordo. Scrivemmo una lettera, poi con don Donato decidemmo di portarla di persona».
«Dopo averla letta, Fabrizio ci disse: “Allora siete dei preti”», continua a raccontare don Carlo. «Fece una serie di telefonate, convocò a casa alcuni suoi collaboratori e restammo a discutere fino al pomeriggio. Alla fine concordammo che la cosa si poteva fare. Sarebbe venuto a Intra la Domenica delle palme. “Sia chiaro, però, che non canto”, ci avvisò».
Le cose non andarono esattamente così. La voce si era sparsa, e quella domenica di marzo del ’69, ad aspettare De André al cinema Impero di Intra c’erano circa 800 giovani. «Era terrorizzato, voleva andarsene», racconta don Carlo. «In quel momento mi sono reso conto di quanto fosse emotivo e ipersensibile. Alla fine lo convincemmo a salire sul palco, ma era terreo in volto, gli tremavano le gambe».
«Prima dell’evento avevo avvisato tutti che non avrebbe cantato», continua don Carlo, «sennonché alla prima domanda dal pubblico si alzò un ragazzino che, spudorato, gli chiese: “Ci canta una canzone?”. Ricordo di averlo fulminato con gli occhi. Fabrizio provò a glissare, poi prese la chitarra malmessa che il ragazzino gli porgeva e cantò Si chiamava Gesù, in un silenzio irreale. La sua voce sembrava salirci dentro a partire dai piedi. Ci fu un’ovazione da far venire giù il teatro. Alla fine, lui che non voleva iniziare non si sarebbe mai staccato dai ragazzi, che continuavano a fargli domande. Dovemmo cacciare tutti fuori dopo tre ore e mezza».
UN ALBUM SU GESÙ
Da quel convegno a Intra nacque una frequentazione che durò alcuni anni. Don Carlo e don Donato andarono spesso a trovare De André. «Fu a casa sua, a Genova, che ci disse che voleva fare un disco su Gesù», racconta don Carlo. «Io lo prendevo in giro: “Per forza, hai dietro i Gesuiti e le Marcelline”. Suo padre, infatti, lo aveva iscritto a scuole cattoliche, sia alle elementari che al liceo, io invece avevo frequentato scuole pubbliche. “Poi cosa ti è successo?”, mi incalzava lui, ironizzando sulla mia vocazione. Per il disco che aveva in mente cercava dei testi ai quali ispirarsi. I Vangeli li conosceva ma, ci diceva, “quelli sono l’ufficio stampa ufficiale del Paradiso”. Gli spiegai che esistevano i Vangeli apocrifi, che raccolgono alcune tradizioni e a volte le infiorano, ma che sono comunque molto interessanti e hanno una valenza sia spirituale che storica. “Se vuoi partire dal Protovangelo di Giacomo è particolarmente ricco, c’è tutta la storia di Maria”, conclusi. Dei Vangeli apocrifi, che lui non conosceva, era appena uscita un’edizione economica e, nell’incontro successivo, gliela portammo. Non oserei mai dire che abbiamo ispirato La buona novella, ma gli abbiamo regalato un libro che forse a lui è servito. E anche le nostre chiacchierate credo siano servite».
«Ne La buona novella De André legge i Vangeli a partire dalla prospettiva delle donne, innanzitutto della madre di Gesù e della Maddalena, oltre che del ladrone in croce e di un vecchio falegname», fa notare don Scaciga. «È curioso come in tutto il disco non parli mai direttamente di Gesù, nonostante l’intenzione che ci aveva esplicitato fosse proprio fare un disco su di lui. Aveva questa esigenza di scavare, di leggere la realtà dalla parte nascosta».
Nella canzone Si chiamava Gesù, precedente a La buona novella, De André aveva scritto: «Non intendo cantare la gloria / né invocare la grazia o il perdono / di chi penso non fu altri che un uomo / come Dio passato alla Storia / ma inumano è pur sempre l’amore / di chi rantola senza rancore / perdonando con l’ultima voce / chi lo uccise tra le braccia di una croce».
IL VANGELO DEGLI SCARTATI
De André vedeva Gesù come un maestro di vita? «Forse sì, ma io sono convinto che ci sia stato molto di più, che è riassunto in quell’aggettivo “inumano”. Nel 45 giri uscito nel 1970, insieme a Si chiamava Gesù c’è Preghiera in gennaio, scritta dopo il suicidio di Luigi Tenco, in cui Fabrizio canta: “Dio di misericordia / il tuo bel Paradiso / l’hai fatto soprattutto / per chi non ha sorriso / Ascolta la sua voce / che ormai canta nel vento / Dio di misericordia / vedrai, sarai contento”. Non c’era ironia in quelle parole. Sant’Ireneo, del resto, diceva che Gesù è venuto “per insegnare all’uomo chi è Dio e per insegnare a Dio chi è l’uomo”. L’umanità che Fabrizio cantava era quella degli ubriachi, gli impiccati, le prostitute o le vittime della violenza e del potere». Gli «scartati», direbbe oggi papa Francesco.
«Non ho dubbi che la sua ispirazione fosse autenticamente evangelica», confida don Carlo. «Con gli anni perdemmo i contatti e non so come è proseguito il suo percorso, ma sono convinto che un po’ di stupore — “in quel guazzabuglio che è il cuore umano”, per citare una frase di Alessandro Manzoni — gli sia rimasto».
I LIBRI
Il libro Tutti morimmo a stento (Lampi di stampa), che riprende il titolo di un disco di De André, contiene un capitolo sull’amicizia fra don Carlo Scaciga e il cantautore. Per Edizioni Terra Santa è in uscita De André. La buona novella di Brunetto Salvarani.
Foto di Ugo Zamborlini