Sulla facciata del Politecnico di Milano è appeso un enorme striscione rosso, su cui campeggia la scritta Lauree@Polimi. Più in basso, all’entrata, tantissimi ragazzi festeggiano la conclusione del loro percorso di studi con la corona d’alloro sulla testa: ce l’hanno fatta e finalmente possono brindare al raggiungimento di un grande traguardo.
Davanti a questa scena, però, se ne presenta un’altra: sul prato di fronte all’università è seduta Ilaria Lamera, la studentessa ventitreenne che da un paio di giorni si è letteralmente accampata vicino all’ateneo per manifestare contro il prezzo esorbitante degli affitti milanesi. Riuscire a parlarle non è facile, perché un gruppo sempre diverso di giornalisti si alterna nel porle domande, nel volerla riprendere; lei dice di sì a tutti e sul suo viso provato si distinguono chiaramente l’orgoglio e la soddisfazione per ciò che sta facendo. «Sono molto stanca», ci dice infatti, «anche se questa seconda notte è andata meglio della prima, perché almeno sapevo cosa aspettarmi. Dormire è difficilissimo: i tram passano fino a tarda ora e al mattino iniziano a viaggiare molto presto, per me è impossibile pensare di addormentarmi prima di mezzanotte o di svegliarmi dopo le cinque e mezza».
La sua battaglia è un po’ quella di tutti i giovani – studenti in particolare, ma non solo – che faticano a trovare una sistemazione nella capitale meneghina, dove la ricerca di una stanza non solo è ardua, ma rischia di concludersi con un nulla di fatto, dal momento che l’affitto richiesto è quasi sempre spropositato rispetto alla soluzione offerta. «Al primo anno di università vivevo a Gessate», spiega infatti Ilaria, «ero riuscita a prendere una casa, anche se non costava poco. Poi è arrivato il Covid e sono tornata dai miei ad Alzano Lombardo, nel bergamasco. Da quando, a settembre di quest’anno, ho cominciato a cercare nuovamente un posto in cui vivere, ho visto una miriade di case: quando andava bene mi imbattevo in camere singole che partivano da 700 euro al mese, oppure solo un posto letto a 500. È una follia».
In piedi, sotto gli alberi di piazza Leonardo da Vinci, a pochi centimetri dalla tenda che ha fissato al suolo e dal cartello “Basta affitti insostenibili! #scoppiamolabolla”, la studentessa ci rivela che la spinta a protestare pacificamente per cambiare le cose le scorre nelle vene. «Diciamo che buon sangue non mente», dice ridendo. «I miei genitori sono nati negli anni Cinquanta e durante i Settanta e Ottanta scendevano nelle piazze per difendere i loro diritti: per questo mi sostengono e si preoccupano solo che io stia bene. Per il resto, sono fieri di me e della mia idea». Un’idea che Lamera ha avuto da sola, ma che è riuscita ad attuare concretamente grazie agli amici della sua lista di rappresentanza, La Terna Sinistrorsa, che di giorno le stanno accanto e la aiutano a gestire l’attenzione mediatica che sta ricevendo il suo caso, mentre di notte si danno i turni per farla stare in sicurezza.
Non sono ovviamente mancate le critiche all'iniziativa. «Quella che mi fanno più spesso è: “Ho fatto il pendolare anche io, lo fanno tantissime altre persone e lo puoi fare benissimo anche tu, di cosa ti lamenti?”. Io sono d’accordo, e infatti sono andata avanti così finora, non è questo il punto. Il fatto è che se vivo in una condizione di difficoltà, perché devo per forza continuare a rimanerci, quando invece posso cambiare le cose? Se posso migliorare la mia vita e quella dei futuri studenti, perché non farlo?». Una domanda lecita, se non fosse che «in Italia vige la politica del sacrificio: se tu non stai faticando abbastanza o non ti stai spremendo per ottenere qualcosa, allora non stai facendo una cosa buona, sei un fannullone che vuole “la pappa pronta”. E invece non è così. Non è giusto, perché io potrei essere già laureata se non avessi dovuto fare la pendolare tutto questo tempo».
Anche se alcuni la contraddicono, moltissime persone (studenti, ma spesso anche gente lontana dall’università o semplici curiosi) sostengono Lamera in qualsiasi modo, fermandosi a chiacchierare con lei, oppure portandole qualcosa da mangiare. «La gente è dolcissima, a volte mi fa commuovere: stamattina dei signori mi hanno persino portato una torta fatta in casa!», ci racconta la studentessa, che questa sera dormirà a casa sua. «Sono un po’ distrutta, non solo per il fatto che dormo in tenda, ma anche perché durante il giorno affronto moltissime interviste. Però domani notte torno qui, e ci rimarrò fino a domenica quando leverò tutto». Chissà che per allora la sua protesta smuova davvero qualcosa?