Come già accaduto in passato, Terrence Malick si è negato ai riflettori del Festival del cinema di Cannes: per lui niente red carpet, conferenze stampa o interviste. Il regista ha preferito rimanere in disparte lasciando che a parlare fosse il suo nuovo film A Hidden Life: una storia potente e toccante sulla figura di Franz Jägerstätter, beatificato da papa Benedetto XVI nel 2007. La pellicola si è aggiudicata il premio della Giuria ecumenica, svelando un Malick meno criptico e più abbordabile (anche se il film dura comunque 3 ore…), refrattario alla mera agiografia. A Hidden Life è infatti prima di tutto la storia di un uomo e del viscerale senso del bene. Più che le dissertazioni teologiche (poche nel film) a rapire l’attenzione è la determinazione di un cristiano, semplice ma inamovibile.
Originario di Sankt Radegund (Austria), Franz Jägerstätter era un contadino e padre di famiglia che viveva dei frutti della terra, immerso nella natura. Era sposato con Franziska e aveva tre figlie. La sua vita scorreva felice, alla luce della fede. Dal 1936 Franz divenne il sagrestano locale e si fece notare per la sua inclinazione a rifiutare le offerte in denaro per i funerali. A queste, preferiva le opere spirituali e di misericordia. Poi arrivò il nazismo e la sua esistenza fu stravolta: l’Austria fu annessa alla Germania e il 7 giugno del 1940 Jägerstätter fu chiamato al fronte.
L’esperienza sul campo militare lo sconvolse: si rese conto che prendere parte alla guerra, uccidere i propri fratelli e giurare fedeltà a Hitler erano atti profondamente sbagliati. Così, quando nel febbraio 1943 fu richiamato in servizio si rifiutò di combattere. La decisione non fu semplice: a Sankt Radegund era l’unico a nutrire dubbi sul nazismo, persino alcuni sacerdoti sconsigliavano di fare obiezione di coscienza, senza contare che tale scelta lo avrebbe diviso per sempre dalla propria famiglia, mettendola in difficoltà. Jägerstätter però non poteva compiere il male. Così si rifiutò e finì in carcere: prima a Linz, poi a Berlin-Tegel.
«IO SONO GIÀ LIBERO»
Più volte cercarono di dissuaderlo: in una delle scene più riuscite del film, un giudice nazista gli spiega che, se avesse firmato un foglio aderendo alla causa di Hitler, poteva essere libero e uscire dalla prigione. Risposta: «Io sono già libero». Nel 1943 fu sottoposto a processo e condannato alla ghigliottina: morì il 9 agosto dello stesso anno. Nella lettera che lasciò prima di morire scrive: «Preferisco avere le mani in catene che non la mia volontà. Né la prigione né le manette né la sentenza di morte possono derubare un uomo della fede e del suo libero arbitrio».
Il film di Malick ha il merito di riuscire a rendere tangibile la fermezza di Franz e, al contempo, contestualizzarla: se quest’uomo è stato così saldo, è anche perché ha vissuto in verità il proprio rapporto con la moglie, con il creato e con il prossimo. «Esistono tanti film sulla Seconda guerra mondiale e sugli obiettori di coscienza», commenta l’attore August Diehl che nel film interpreta Franz. «A Hidden Life non è la storia di un eroe, ma di un uomo che dice “no”: che vuole fare la cosa giusta. La sua è una scelta personale, che ci invita a interrogarci. Solleva delle domande prima ancora delle risposte». Secondo Diehl, il film è un invito a non arrendersi al male che ci circonda: «Non dobbiamo accettare la vita così com’è, sostenendo che non possiamo farci niente. Il terrorismo, la violenza, il razzismo non sono il vero volto del mondo. Il bene fa semplicemente meno rumore del male ma è più forte e più grande».
L’ALTRO FILM: GIOVANNA D’ARCO
Al festival di Cannes si è celebrata anche un’altra figura religiosa: quella di Giovanna d’Arco. A omaggiarla è il regista e sceneggiatore francese Bruno Dumont, nel film Joan of Arc. La pellicola, che si è aggiudicata la menzione speciale Un Certain Regard, è il sequel di Jeannette e racconta la battaglia di Giovanna D’Arco e la sua condanna a morte. «Non mi interessava ricostruire i fatti storici ma proporre un simbolo: Joan of Arc è la metafora del sacro e il cinema è il posto giusto dove parlare di Dio ed esplorare la fede», ha dichiarato Dumont. La storia si ispira ai testi di Charles Péguy, «che ha saputo indagare come pochi l’eterno mistero della Francia», e schiera come protagonista un’attrice di soli 10 anni (Lise Leplat Prudhomme), proprio per dimostrare la radicale genuinità della battaglia di Giovanna.