8 luglio 2014, Khan Yunis, nel sud della Striscia. In copertina: una ragazza nella sua casa distrutta in un attacco aereo nella città di Khan Yunis, nel sud della Striscia (Foto Unicef/El Baba).
A Gaza, secondo fonti ospedaliere sono oltre 600 i feriti e
130 le vittime civili, la metà donne e bambini. In Israele, invece, da nord a
sud le sirene d’allarme suonano in continuazione: in questi giorni sono stati sparati
centinaia di missili dai palestinesi, soprattutto ad Ashkod e nel porto
commerciale di Ashkelon.
Questo sciame di razzi è al 90% intercettato dalle
batterie antimissile, ma anche gli israeliani iniziano a contare i primi morti
e feriti.
«Bombardamenti intensi, con una media di 10 attacchi, di
notte anche di più», raccontano gli operatori di Medici Senza Frontiere, che
sono presenti nella Striscia – una delle zone più densamente popolate al
mondo – con un’équipe di 4 operatori internazionali e 70 locali.
Spiega Tommaso
Fabbri da Gerusalemme: «L’altra mattina, siamo riusciti a riaprire la clinica
post-operatoria a Gaza e abbiamo ricevuto una dozzina di pazienti. Gli ospedali
al momento sono ancora in grado di rispondere ai bisogni medici di emergenza,
ma data la già cronica scarsità di farmaci e di materiali monouso, la
situazione potrebbe peggiorare rapidamente; le sale di rianimazioni poi
iniziano a essere saturate».
L’Ong è pronta a offrire donazioni e risorse a
supporto, ma la paura rimane l’offensiva di terra: «Un’équipe chirurgica è già
in allerta». Effettivamente, i tank Merkava schierati dall’esercito israeliano
lungo la Striscia accendono i motori due volte al giorno e Hamas dichiara di
essere pronta a combattere per mesi.
8 luglio 2014, Khan Yunis, nel sud della Striscia (Foto Unicef/El Baba).
Mentre Obama si è offerto per una mediazione, Ban Ki-Moon
ha provato a chiedere un immediato cessate il fuoco. Secondo il segretario
dell’Onu, «i civili sono presi fra l’atteggiamento irresponsabile di Hamas e la
dura risposta di Israele», accusato di «intollerabile eccessivo uso della forza».
«Sono sempre i minori,
inevitabilmente, a subire le conseguenze peggiori dei conflitti armati»,
denuncia David Hassell, condirettore di
Save the Children nei Territori Occupati. In tre giorni, 19 bambini
palestinesi sono stati uccisi dagli attacchi aerei. Racconta: «I bambini sono terrorizzati e non ci sono luoghi sicuri
dove ci si possa rifugiare dalle bombe che continuano a cadere nelle operazioni
israeliane. Stessa situazione anche in Israele, dove le famiglie e i bambini
stanno vivendo nella paura dei missili che vengono lanciati indiscriminatamente».
Per Hassel, «l’uso di armi esplosive in aree popolate da civili uccide i
bambini e distrugge infrastrutture vitali. Nel frattempo, siamo preoccupati dal
progressivo esaurimento delle scorte essenziali di cibo, medicinali e
carburante nell’enclave palestinese, poiché nel corso degli ultimi 7 anni,
anche in condizioni di non conflitto aperto, si sono già verificate situazioni
di carenza grave, con un forte impatto sulla popolazione».
Unica notizia positiva degli ultimi giorni è la decisione
del Cairo di aprire il terminal di Rafah, al confine con la Striscia di Gaza,
per consentire l’evacuazione dei feriti. A causa del deteriorarsi delle
relazioni tra Hamas e l’Egitto di al-Sisi, da mesi le aperture del valico di
Rafah sono infatti drasticamente diminuite, facendo affluire col contagocce
tutte le risorse necessarie alla sopravvivenza dei palestinesi.
Parla per
questo di «territorio sigillato» Christian Cardon, responsabile della Croce
Rossa a Gaza, che sta lavorando insieme alla Mezzaluna Rossa per rifornire di
kit di emergenza le strutture sanitarie locali e coordinando lo spostamento di
ambulanze e medici sul terreno.
Accanto alla violenza, varie Ong esprimono preoccupazione anche
per l’impatto dell’escalation sull’economia palestinese, già paralizzata dall’embargo
israeliano. Un esempio concreto arriva da Oxfam: «Nella Striscia, dove le
famiglie stanno lottando ogni giorno per accedere ai servizi di base come l’acqua
potabile, la decisione israeliana di questa settimana di limitare la pesca
a non oltre tre miglia nautiche dalle coste di Gaza, sta incidendo in modo
significativo sulla vita di migliaia di famiglie».