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mercoledì 25 giugno 2025
 
musica
 

Giovanni Allevi: «Seguendo Bach il mio dolore è diventato un concerto»

03/06/2025  Il compositore dirigerà il 20 giugno alle Terme di Caracalla a Roma il Concerto MM22 per violoncello e orchestra d’archi, scritto mentre era ricoverato in ospedale secondo un particolare procedimento matematico di cui ci ha parlato in questa intervista

Se non fosse per la cascata di riccioli diventati bianchi, sembrerebbe il Giovanni Allevi di sempre: maglietta con l’immagine di Goldrake, scarpe da ginnastica e sorriso contagioso. Ma appena gli chiediamo se oggi ha toccato il pianoforte, si gira e dalla maglietta si intravede il busto che lenisce almeno in parte il dolore alla schiena che lo accompagna da oltre due anni, da quando ha scoperto di avere un mieloma multiplo, un raro tumore che colpisce il midollo osseo. «Non posso più suonare spesso, perché se sto seduto a lungo il male dopo un po’ diventa insopportabile». Giovanni ha raccontato questa fase della sua vita nel libro I nove doni, ha ripreso comunque a fare concerti, e soprattutto ha composto tanta nuova musica.

Nel libro dici che non accetti il dolore, lo accogli. In che senso?

«La parola accettazione mi fa pensare già a una sconfitta, mentre l’accoglimento del dolore significa predisporre il mio corpo ad ammorbidirsi nei suoi confronti per comprenderlo. Perché il mio dolore mi accompagna sempre, ma non è mai uguale a sé stesso. Per questo tengo un diario che mi aiuta a capire cosa lo fa variare: magari dipende da quello che ho mangiato, dalla ginnastica che ho fatto, oppure dal fatto che oggi è una bellissima giornata. Già solo guardare questo cielo così terso e luminoso mi fa respirare meglio e mi accorgo che il respiro influisce positivamente sulla percezione del mio dolore».

Giobbe, nella Bibbia, si arrabbia con Dio, si chiede che male ha fatto per meritare tutte le sventure che si sono abbattute su di lui. È una domanda che ti sei fatto anche tu?

«Mentre ero ricoverato all’Istituto dei tumori di Milano, accanto al mio lettino a fare un’infusione c’era una bambina di sette anni. Mi sono domandato il perché della sua sofferenza: è la grande domanda sul dolore innocente. Mia madre, che è catechista, mi avrebbe detto che Dio ha per ognuno di noi un progetto rivolto al bene, che il male è sempre il frutto del libero arbitrio dell’uomo. Ma per me una risposta non c’è».

Ti aiuta la preghiera?

«Tantissimo. Ma non chiedo a Dio di guarire, al massimo di aiutarmi a sopportare tutta questa sofferenza. Per me la preghiera è prima di tutto meditazione. Quando ero bambino, mia madre mi portava a sentire il Rosario. Le parole che ripetevano queste donne, molte delle quali anziane, si trasformavano in un mantra che mi avvolgeva a tal punto che ai miei occhi diventavano una cosa sola: era bellissimo. Quelle vecchine avevano colto l’essenza della preghiera, che poi è lo stesso obiettivo della meditazione orientale: abbandonare la propria individualità per entrare in una dimensione più allargata in cui ci sentiamo uniti a tutti. Allo stesso tempo, con la meditazione cerchiamo l’osservatore distaccato che ognuno ha dentro di sé, che osserva i pensieri e i dolori senza giudicarli, ma con compassione».

Ma cosa hai pensato quando hai saputo di essere malato?

«Per mesi sono stato tormentato da un mal di schiena che si è trasformato in un dolore lancinante durante un concerto a Vienna. Quando ho saputo di avere un mieloma, ho pensato: “Ok, adesso finalmente potremo fare qualcosa contro questo dolore”. E ora è come se la malattia mi avesse catapultato in un’altra dimensione, in cui sono cadute tutte le maschere, tutti i condizionamenti che la società ci vuole imporre: di essere sempre perfetti, brillanti e di successo. Quando tutto questo è crollato, l’ho vissuto come una liberazione».

C’è una frase che viene ripetuta così spesso da risultare stucchevole: la malattia mi ha cambiato in meglio. Di conseguenza, si potrebbe dire: “Quindi sono felice che la malattia sia entrata nella mia vita”. Cosa ne pensi?

«Dammi un quarto d’ora per riflettere… No, no, come posso essere felice di avere visto in faccia la morte? È un’esperienza spaventosa che vorrei non aver mai vissuto. Però è andata così e allora piuttosto che abbandonarsi alla disperazione, cerco di dare un senso alla mia malattia».

Perché hai deciso di condividere questo tuo percorso sui social?

«Nel 2019 avevo intrapreso un tour che ho dovuto interrompere a causa del Covid. Passata l’emergenza, mi sono ammalato. Tante persone che magari avevano comprato il biglietto aspettavano di vedermi su un palco e si facevano domande sui social. Allora ho risposto, cercando però di non fermarmi alla mia situazione individuale per aprire una discussione su questa società che rifiuta il dolore e, in ultima analisi, il concetto di morte».

Non temi che in questo modo il Giovanni Allevi malato prenda il sopravvento sul Giovanni Allevi musicista?

«No, perché il Giovanni Allevi malato si è dimostrato un Giovanni Allevi musicista all’ennesima potenza, molto più viscerale. Attraverso la musica che compongo ho la sensazione di trasformare il dolore in luce. Appena ho saputo di avere un mieloma, sono andato a vedere a quali note musicali corrispondessero le lettere di quella parola, secondo un procedimento matematico usato anche da Bach: Sono do – la bemolle – m– si – re – do – do. Suonate una dopo l’altra formano una melodia strana, molto romantica. Da questa sequenza è nato un concerto per violoncello e orchestra, un diario in musica delle emozioni che ho provato in ospedale e che non vedo l’ora di far sentire al pubblico».

E cambiato anche il tuo modo di suonare il pianoforte?

«Per anni ho inseguito la perfezione nell’esecuzione. La malattia mi ha liberato anche di questo fardello. In ospedale ho scritto il concerto per violoncello e orchestra, anche perché temevo che non avrei mai più suonato il pianoforte. Poi ho scritto un brano che si intitola Two Fingers, due dita, pensando che se il tremore alle mani che mi affligge fosse peggiorato, magari sarei comunque riuscito a suonare anche solo con due dita. Alla fine sono riuscito a tornare su un palco, ma a Locarno a causa del tremore alle mani ho dovuto interrompere la mia esecuzione. Quasi stavo per annunciare il mio definitivo ritiro dalle scene, quando ho capito che il pubblico non vuole la perfezione. Con questa consapevolezza, ora affronto i concerti animato da una gioia mai provata».

C’è un musicista che senti particolarmente vicino in questo momento?

«Ho riascoltato di recente le Variazioni Goldberg di Bach nelle due esecuzioni di Glenn Gould. Com’è noto, la seconda versione, registrata a fine carriera, è molto più lenta di quella realizzata in gioventù. Ho confrontato l’esecuzione di un mio brano, Back to life, fatta nel 2009 all’Arena di Verona e qualche mese fa e ho notato che anch’io tendo a suonare più lentamente, a concentrarmi di più su ogni singola nota».

Mentre eri in ospedale hai pubblicato una foto di te sdraiato con un gattino addormentato sul petto. Lo hai ancora?

«Sì, quando lo tengo in braccio, specie durante la meditazione, ho la sensazione che tutta la natura mi abbracci, perché il gatto contiene in sé tutte le sue qualità: la bellezza, l’eleganza, l’accoglimento, ma anche il lato selvaggio e imprevedibile».

Mangi sempre una torta al cioccolato prima di ogni concerto?

«Avevo smesso già da diversi anni prima che mi ammalassi perché ero diventato un maniaco dell’alimentazione. Ora mi viene da dire: mangiate quello che vi pare! A parte gli scherzi, continuo a stare attento, ma quando capita una fetta di torta al cioccolato la vivo come un’esperienza estatica, come se ascoltassi il Tristano e Isotta di Wagner».

Cosa significa per te la parola guarigione?

«Il mieloma è una neoplasia cronica, quindi al momento secondo la medicina non si guarisce mai. Allora ho cambiato prospettiva. Penso che non guarirò il giorno in cui le analisi mi confermeranno che il tumore non c’è più, magari quando avrò 90 anni, ma voglio guarire giorno dopo giorno. Se sono qui a parlare con te, se fuori c’è un sole bellissimo, se il mio mal di schiena oggi mi permette comunque di essere felice, allora sono guarito».

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