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domenica 09 febbraio 2025
 
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Auschwitz, gli ultimi giorni prima della luce

27/01/2025  Il 27 gennaio di 80 anni fa veniva liberato il più celebre dei campi di concentramento nazisti. «Abbiamo raccolto in un docufilm parole e immagini dei detenuti che, stremati e increduli, videro arrivare i soldati russi», dice il regista Max Serio

«Tornare alla commemorazione di Auschwitz, 80 anni dopo la mia liberazione, non sarà facile, ma sarò lì. Ho il dovere di essere presente a testimoniare», dice Michael Bornstein, sopravvissuto a soli 5 anni ad Auschwitz, un luogo dove l’inimmaginabile divenne realtà, come racconta lui stesso, tra i protagonisti del docufilm Auschwitz: gli ultimi giorni prima della liberazione diretto da Max Serio, su History Channel il 27 gennaio (canali 118 e 409 di Sky). Che spiega: «Inizio dall’ingresso del primo soldato russo nel campo, nei pressi dell’odierna Oswiecim, in Polonia, che osserval’orrore del genocidio commesso dai nazisti. Sotto un cielo grigio, come la neve mista alla cenere, i soldati trovarono 7 mila prigionieri. Stremati. Quasi increduli di esistere. Era il pomeriggio del 27 gennaio del 1945». I primi minuti catturano lo shock dell’Armata Rossa nello scoprire, per caso, l’immensa macchina dello sterminio di massa, speculare a quello dei prigionieri, sconcertati alla vista di uniformi diverse da quelle delle SS. «C’erano scheletri ricoperti di pelle affamati e malati. C’erano delle piramidi vertiginose nel campo. Una di vestiti, un’altra di pentole e padelle e una ancora di mascelle umane. È stato orribile, ma dovevo immortalarlo», dice Alexander Vorontsov, fotografo russo. Gli fa eco Vasilij Petrenko, comandante del 100° Reggimento di fanteria: «Abbiamo offerto loro ciotole di zuppa. Ci hanno infilato dentro le dita e ne hanno succhiato il nutrimento come fosse linfa».

Il 12 gennaio 1945, i sovietici scatenarono un’offensiva contro i nazisti. Obiettivo: arrivare a Berlino. «Tuttavia, non c’è una sola parola su Auschwitz nei documenti dell’esercito russo. Nessuno conosceva quel posto, almeno fino a mezzogiorno del 27 gennaio. E questo», aggiunge Serio, «lo abbiamo riscontrato anche tra i deportati intervistati. Per questo abbiamo messo al centro le emozioni che traspaiono dai racconti dei prigionieri e dei liberatori. Per noi è stato fondamentale indagare anche l’altra faccia della medaglia e in questi due anni di lavoro abbiamo raccolto le testimonianze dei carnefici e degli abitanti del posto. Singolare, ma di stimolo per il documentario, è stato girare in contemporanea a Jonathan Glazer che con La zona d’interesse (due premi Oscar nel 2024, ndr) racconta la vita della famiglia di Rudolf Höß, comandante del lager». A partire dal 2000 in Italia – e dal 2005 nel mondo –, il 27 gennaio, data della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz, si celebra il Giorno della memoria, per non dimenticare la Shoah e i milioni di vittime che produsse. Questo è anche il giorno di messa in onda del documentario di Serio su History Channel: «Avremo l’onore di proiettarne un estratto nel museo polacco, dove saranno presenti», chiosa il regista, «oltre 60 delegazioni, tra cui quella italiana guidata dal presidente Mattarella».

La produzione del docufilm è avvenuta in sinergia con il museo del campo, anche perché lo sceneggiatore Marek Zajac è segretario del Consiglio internazionale di Auschwitz e presidente dell’omonima fondazione. Grazie a questo legame, ci sono immagini girate nelle aree del lager inaccessibili ai visitatori. Inoltre, per mezzo di un montaggio thrilling, «volevo smuovere le coscienze dei giovani. Per questo, andando contro il parere di alcuni storici, abbiamo reso a colori le immagini e i video d’epoca in bianco e nero», sottolinea Serio. Che conclude: «Il film termina con la testimonianza di Stefania Wenik, che proprio in questi giorni compie 80 anni. È stata concepita poche settimane prima che la madre fosse deportata ed è riuscita a salvare sé stessa e la figlia nascondendo la pancia, visto che le donne incinte erano destinate alle camere a gas». «Oggi sono bisnonna di 14 nipoti. Sono stata partorita nel cuore dell’inferno, ma anche lì è riuscita a nascere la speranza», conclude Stefania.

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