A Natale, in Russia, è apparso un documento che ci riporta alla memoria i tempi delle comunità cristiane e dei gruppi di difensori dei diritti costretti a operare nella clandestinità per sfuggire a sanzioni e arresti, della circolazione del samizdat (autoeditoria libera). Un gruppo di cristiani russi – ortodossi, protestanti e cattolici – ha lanciato un coraggioso appello alla pace e all’unità. Hanno scelto di restare nell’anonimato, perché di giorno in giorno in Russia diventa sempre più pericoloso esporsi a qualunque tipo di protesta, ma di loro possiamo dire almeno due cose importanti: si sta creando un’esperienza di ecumenismo che punta all’essenziale, dove il comune denominatore è il legame tra fede e vita.
Inoltre, cosa tutt’altro che scontata, questi cristiani hanno instaurato una rete che coinvolge sia persone in Russia, sia persone che per i più diversi motivi – in particolare il rifiuto di combattere una guerra fratricida – oggi sono all’estero. Proprio a queste persone è stato affidato il compito di leggere (in un video diffuso anche dal sito La Nuova Europa) la Dichiarazione natalizia, frase per frase. Tutt’altro che scontata, viste le frequenti incomprensioni e divisioni esistenti, le reciproche accuse di «opportunismo», «tradimento» o «collaborazionismo», fomentate dalla propaganda.
Rispettando il loro anonimato e le sue ragioni, siamo tuttavia riusciti a raggiungere alcuni di loro, a un anno dallo scoppio della guerra. A rispondere alle domande di “Credere” sono (nomi di fantasia): Aleksej, maestro elementare, protestante; Boris, studente universitario ortodosso e infine Daniil, un insegnante, anch’egli ortodosso, che serve anche come accolito in parrocchia.
Nella vostra Dichiarazione chiamate la guerra con l’Ucraina «aggressione» e non «operazione militare speciale»: un gesto di grande coraggio. Che non viene compiuto, però, in quanto oppositori politici, bensì in forza della vostra fede. È corretta questa lettura?
«Sì, abbiamo scritto la Dichiarazione innanzitutto come cristiani, e ci basiamo innanzitutto sulla Parola di Dio. Tuttavia, dare un giudizio morale sugli avvenimenti senza avere una visione politica è impossibile. La posizione di fronte alla guerra tra Russia e Ucraina dipende dalle fonti che si leggono, dai politici a cui si presta fede, dalla visione politica che si condivide. Ad esempio, alcuni cristiani in Russia appoggiano la guerra non perché non abbiano letto il Vangelo, ma perché credono nella propaganda di Putin e sono convinti che in Ucraina ci siano veramente nazisti e satanisti che torturano e uccidono a centinaia i bambini perché non parlano in russo o amano la cultura russa. Se le cose stessero realmente così, la decisione di inviare truppe in Ucraina sarebbe pienamente giustificabile dal punto di vista della morale cristiana. Per questo anche la nostra Dichiarazione non è slegata dalla nostra visione politica. Tra di noi le posizioni possono differenziarsi, naturalmente, ma tutti noi siamo convinti che il regime autoritario esistente oggi in Russia arrechi un grave danno al nostro Paese e debba essere superato, i diritti e le libertà fondamentali della persona debbano essere ripristinati, e i detenuti politici lasciati tornare alle loro case. Non crediamo che in Ucraina sia al governo un regime nazista, non crediamo che la Russia sia circondata solo da nemici desiderosi di annientarla. Proprio questa visione ci dà la possibilità di giudicare la politica estera della Russia come non conforme all’insegnamento del Vangelo e ai valori cristiani».
Da quanto scrivete, si capisce che voi siete fieri di appartenere al popolo russo, siete orgogliosamente “patriottici”, ma intendete il patriottismo in un modo molto diverso rispetto dal regime di Putin. Potete spiegare meglio il vostro pensiero?
«Abbiamo posizioni diverse anche sul patriottismo, ma tutti noi sentiamo consonanti le parole di san Paolo secondo cui su questa terra siamo solo forestieri e pellegrini (Eb 11,13), mentre la nostra vera patria è il Regno dei cieli. Siamo tutti d’accordo sul fatto che nell’elenco delle nostre priorità Cristo viene al primo posto, e tutto il resto solo dopo, compresa la nostra identità civile e nazionale. In Russia adesso la parola “patriottismo” ha acquistato una sfumatura negativa, perché è diventata sinonimo di lealtà personale al presidente e un eufemismo per indicare le posizioni pro-guerra. Nella Dichiarazione facciamo un tentativo di recuperare e riabilitare questo concetto, ma parecchi di noi preferiscono usare il termine con cautela o non usarlo affatto, mettendo invece l’accento sulla responsabilità di ciascun cristiano per tutta la famiglia umana e per tutto il nostro pianeta. Per noi il patriottismo non equivale a fedeltà indiscussa ai governanti, ma a carità cristiana nei confronti del prossimo».
Un’altra frase molto forte del vostro documento recita: «Siamo inorriditi dal fatto che molti ministri delle Chiese e teologi, nel tentativo di giustificare l’invasione, distorcono il significato delle Sacre Scritture». Cosa significa questo, concretamente? E come si può “liberare” una lettura strumentale della Parola di Dio perché torni a risuonare nel suo significato autentico?
«Tutto dipende da come ci si accosta alle Scritture. Quando si prende in mano la Bibbia per conoscere Cristo, quando si è disposti ad ascoltare e udire le Sue parole, che piacciano o no, quando si è disposti a rinunciare a delle proprie opinioni se non coincidono con l’insegnamento di Cristo, si può essere certi che in questo caso Dio rivelerà la sua parola, aiuterà a comprendere rettamente il complesso testo delle Scritture. Quando invece si apre la Bibbia per trovare conferma alle proprie idee, quando non si è disposti ad accogliere l’insegnamento di Cristo nella sua interezza, ma se ne estrapola solo quello che coincide con le proprie opinioni, quando non si fa di Cristo l’unità di misura, ma si misura piuttosto Cristo sulle proprie idee, non si fa dell’esegesi ma dell’eisegesi, non ci si pone cioè in ascolto del testo, ma gli si impongono i propri presupposti o pregiudizi. Ad esempio, molti cristiani della Russia preferiscono “dimenticarsi” del precetto del Discorso della montagna di non opporsi al male con la violenza (Mt 5,39), lo respingono come qualcosa che non ha niente a che fare con la vita reale. Non si accorgono che queste parole impegnano, invece, il cristiano ad assumersi una responsabilità nei confronti della violenza: non parteciparvi, superarla, combatterla con la parola e l’agire. Come minimo non restare inerti, dando il proprio voto a governanti e propagandisti».