Il direttore della SoBiCaIn don Jose Pottayil, 72 anni
La pubblicazione della Bibbia in lingua araba si deve alla Società Biblica Cattolica Internazionale (SoBiCaIn), fondata dal beato Giacomo Alberione cento anni fa ad Alba e approvata dalla Santa Sede nel 1960. Ne parliamo con il direttore delegato don Jose Pottayil.
Qual è l'idea di fondo che ha ispirato la nascita e l’attività della SoBiCaIn?
«L’antesignana della Sobicain è la Pia Società di San Girolamo per la diffusione dei Santi Vangeli. A don Alberione, fondatore della Famiglia Paolina, non bastava più il motto: “Il Vangelo in ogni famiglia”; occorreva passare a “La Bibbia in ogni famiglia”. Da qui le diverse edizioni del testio sacro ma anche i corsi formativi che introducevano alla lettura dei testi e aiutavano a comprenderli. E ancora le missioni bibliche, le pubblicazioni di commentari e testi propedeutici di varia natura. Le lingue a cui la SoBiCaIn si è dedicata negli anni sono molteplici: spagnolo in primis, poi cinese, francese, inglese, portoghese, ma anche tagalog, cebuano, illongo, quichua, quechua, guaranì, bahasa… e, fresca di stampa, la versione araba».
Come si è evoluta la SoBiCaIn nel corso degli anni e come opererà nel mondo digitale di oggi e di domani?
«Se fino agli anni Settanta il servizio alla Parola di Dio – in Italia e nel mondo – si è concentrato essenzialmente sulla parte editoriale e formativa, successivamente si è cercato di dare maggior peso istituzionale alle presenze nelle diverse parti del mondo, con ottimi risultati in nazioni come Argentina, Brasile, Colombia, Perù, Venezuela. Dagli anni ’90 in poi l’attenzione si è spostata in Asia, soprattutto India e Filippine, con l’istituzione di Centri biblici dedicati alla formazione e a iniziative pastorali: si pensi al BibleQuiz nelle Filippine e in India o al Festival Biblico in Italia. L’era digitale ci porta a pensare a versioni interattive della Bibbia, a corsi online che approfondiscono il rapporto tra Bibbia e comunicazione, a valorizzare i nuovi linguaggi e il nuovo modo di fruire i contenuti, senza tuttavia perdere l’importanza di una lettura profonda e non individuale della Parola di Dio».
In quanti paesi del mondo è diffusa? Dov’è la sua base operativa?
«La SoBiCaIn è presente in tutti i paesi in cui i Paolini sono presenti. Le “vere pietre” che reggono la struttura della SoBiCaIn sono le persone, i Paolini e le Paoline appassionati alla Parola di Dio. La sede centrale si trova a Roma, presso la Casa Generalizia della Società San Paolo. Il Superiore Generale è il presidente della SoBiCaIn, anche se la guida attraverso un suo delegato o direttore che adesso sono io».
Come è nata l’idea di un’edizione così ampia della Bibbia in lingua araba, che diffusione avrà e ci saranno problemi nel distribuirla?
«Quando nel 2020 venne editata la versione italiana della Bibbia. Scrutate le Scritture, una copia fu recapitata al Patriarca latino di Gerusalemme, il cardinale Pierbattista Pizzaballa. Uno dei suoi sacerdoti appartiene, infatti, al team che ha diretto l’opera. Apprezzando il risultato, egli ha chiesto se si potesse fare qualcosa di simile in lingua araba. Ne parlò con gli altri vescovi e decisero di inviare una richiesta ufficiale all’allora Superiore generale della Società San Paolo, don Valdir José De Castro. Alla sua attenzione pervennero poi altre dieci lettere ufficiali, tutte con la medesima richiesta. Don Valdir, rispondendo affermativamente, chiese alla SoBiCaIn di realizzare il tutto, possibilmente prima del Giubileo del 2025. Ed eccoci oggi con l’edizione ormai pronta. Per quanto riguarda la diffusione, non si vedono problemi di carattere “ideologico”. Certamente molti dei destinatari, i cristiani arabi, vivono un momento di prova non indifferente ma questo rende ancor più prezioso e profetico il servizio che la SoBiCaIn svolge».
Esistevano altre versioni precedenti di una Bibbia in lingua araba?
«Sì, esistono già altre edizioni. La presente si differenzia in due tratti fondamentali: la ricchezza di note e introduzioni, che la rendono unica nel suo genere; la sintonia che ha caratterizzato i due gruppi di lavoro, uno in Libano e uno in Israele, mettendo tra l’altro a disposizione una nuova versione integrale di tutto il Nuovo Testamento, tradotto ex-novo dal greco all’arabo. L’Antico Testamento riproduce invece la versione araba dai testi antichi (ebraici e aramaici) curata da Dar el-Machreq, casa editrice dei Gesuiti libanesi».
Cosa ci dice sull’apparato critico? Si differenzia da quello presente nelle versioni nelle lingue europee, visto il diverso contesto culturale?
«Certamente ci sono degli adattamenti nelle note, ma senza inficiarne il messaggio e il contenuto. Nella redazione delle note, i biblisti che hanno collaborato hanno mantenuto i testi “aperti”, attingendo sia alla tradizione ebraica sia a quella patristica, lasciando sempre che sia la Parola – e non i biblisti che la commentano – a provocare il lettore». Chi ha collaborato con voi nella realizzazione dell’opera? «Dietro un’opera del genere i nomi da menzionare sarebbero molti. Ne cito solo due, senza i quali questa edizione della Bibbia non si sarebbe potuta realizzare: padre Jean Azzam, biblista libanese maronita che ha diretto l’intero lavoro, e don Francesco Voltaggio, biblista del Patriarcato latino di Gerusalemme».
Come giudica più in generale l’apostolato biblico della Chiesa oggi?
«L’amore alla Parola oggi scandisce il cammino della Chiesa: basti pensare a tutte le catechesi bibliche di papa Francesco, all’istituzione della Domenica della Parola di Dio, al Mese della Parola che viene celebrato in settembre o in ottobre in diverse parti del mondo. Abbiamo senz’altro imparato molto anche dall’amore per la Parola evidente nelle chiese della Riforma, arricchendolo da parte nostra con una sensibilità più ecclesiale, comunitaria. Parafrasando il passo degli Atti degli Apostoli potremmo dire che “dove la Parola si diffonde, il numero dei discepoli si moltiplica”, maturando nella fede, nella speranza e nella carità».