Copertina dell'ultimo romanzo di Carmen Mola, La Bestia
Il segreto del successo planetario riscosso da Carmen Mola, pseudonimo femminile ormai decaduto da circa due anni in favore dei tre reali autori, Jorge Díaz, Antonio Mercero e Agustín Martínez, lo si intuisce dalle loro stesse parole: un affiatamento, una complicità, un’alchimia senza pari che non sarebbe stata possibile in un lavoro individuale. La Bestia, il loro ultimo thriller psicologico edito da Salani sviscera (in parte letteralmente) una Madrid di inizio Ottocento, dilaniata da un’epidemia di colera, da una sanguinaria lotta di classe e da un efferato assassino che si aggira indisturbato per le anguste vie della città. Lo stile inconfondibile del romanzo conduce, anzi, costringe il lettore a una lettura serrata, veloce e instancabile. Ogni capitolo è segnato da un evento cruciale che cambia il corso della storia fino a quel momento narrata. abbiamo intervistato i tre autori per approfondire le dinamiche di un romanzo scritto a sei mani, una strada poco, se non raramente, frequentata da scrittori di tutte le epoche.
Come mai avete scelto uno pseudonimo femminile? Qui in Italia si dice che siate il corrispettivo di Elena Ferrante.
«Abbiamo deciso di scrivere un romanzo a sei mani, un progetto di creatività collettiva per due ragioni: innanzitutto, avevamo voglia di mettere alla prova il sistema di lavoro di sceneggiatura nella letteratura. Inoltre, pensiamo di vivere in un mondo molto individualista e riteniamo che un romanzo non debba essere letto per la persona che lo scrive, bensì per quello che racconta. Cosa importa chi l’ha scritto? Un uomo, una donna o un’equipe di persone. Abbiamo ritenuto che scegliere uno pseudonimo fosse una buona idea e abbiamo iniziato a pensare a quale potesse essere: maschile, femminile, nomi stranieri, spagnoli. Alla fine abbiamo optato per un nome spagnolo e quello per antonomasia più conosciuto e che si pronuncia nello stesso modo in tutte le lingue è proprio Carmen. Per la scelta del cognome abbiamo scelto una sorta di gioco di parole: Mola in spagnolo vuol dire che qualcosa di figo, divertente ed è rimasto così. Ci è piaciuta la sonorità e ce lo siamo tenuti».
Un romanzo a sei mani è piuttosto sui generis: come si lavora in tre alla stesura di un’opera così imponente e a chi è venuto per primo l’idea?
«L’idea originale è partita da Orge, ma a volte mescoliamo talmente tanto le idee che è difficile ricordare chi l’ha avuta per primo. Stavamo lavorando a una serie televisiva, l’adattamento di un romanzo e in quel processo abbiamo pensato che potessimo trasferire quel sistema di lavoro alla letteratura. Avevamo già scritto dei romanzi a titoli individuale, tutti e tre. Ci siamo riuniti per due o tre mesi con frequenza: abbiamo scelto la trama, i personaggi, le tematiche, lo stile, la voce che è la parte più importante del lavoro perché è da lì che prende forma in romanzo. Ognuno di noi doveva avere lo stesso romanzo in testa. È come se il processo interiore che avviene nella mente dello scrittore fosse diventato esterno. Poi c’era una parte tecnica: abbiamo scritto una scaletta molto precisa, anche di cinque pagine, dove ogni capitolo era dettagliatamente esposto. Ci siamo divisi il lavoro in tre: ognuno di noi ha scritto un terzo del romanzo. Poi, ciascuno ha riscritto il lavoro degli altri due. Alla fine, lo stile è stato omogeneizzato e il risultato, l’alchimia di tutto ciò è lo stile Carmen Mola. Nessuno di noi potrebbe scrivere così com’è scritto un romanzo a titolo personale».
C’è un rapporto esclusivamente lavorativo o anche amicale tra di voi?
«In realtà eravamo già amici da prima di dar vita a questo progetto. Questo progetto forse avrebbe potuto mettere a rischio l’amicizia. Di solito gli scrittori hanno un ego abbastanza sviluppato, quindi sarebbe potuta finire molto male. Invece non è andata così, anzi, l’amicizia si è rinforzata e si è approfondita. È sopravvissuta a cinque romanzi e noi siamo sopravvissuti come amici a tour promozionali estenuanti senza mai litigare, anzi divertendoci».
Quali autori hanno ispirato la vostra opera?
«Quando abbiamo iniziato a sviluppare l'idea della scrittura a tre non sapevamo bene che cosa scrivere. abbaimop puntato sul noir e il nostro primo romanzo è stato La sposa di sangue. C’erano autori che piacevano a tutti e tre, come Pierre Lemaitre. C’è stata una parte di ispirazione, ma non crediamo che sia stato così importante questo aspetto. Quando siamo arrivati a scrivere La Bestia, volevamo fare un ulteriore passo nel nostro progetto Carmen Mola. Avevamo già dimostrato di poter scrivere un noir ambientato nella contemporaneità, quindi ci siamo cimentati in un thriller storico con una documentazione potente sulla storia con gli ingredienti di sempre: violenza, scene un po' crude, forti e con i colpi di scena che offriamo sempre alla fine di un capitolo. Era come compiere un altro passo in avanti nella nostra carriera di Carmen Mola fino ad ora molto felice».
Avete fatto un imponente lavoro di ricerca per reperire le informazioni su questo determinato periodo storico?
«C’è un grosso lavoro di documentazione dietro, sia nel cartografare una Madrid che non esiste più oppure nel ricostruire nelle abitudini, gli eventi politici, economici che fanno da sfondo ai personaggi e alle loro peripezie. Il problema di qualunque romanzo storico è apprendere troppo del passato e avere la tentazione di raccontare tutto quello che è stato raccolto. A volte cerchiamo la documentazione funzionale alla trama, non cerchiamo di ampliare troppo il panorama perché troppa descrizione, troppe spiegazioni annoierebbero il lettore: non deve essere un trattato storico».
Essendo sceneggiatori, avete già pensato a una possibile trasposizione cinematografica per il romanzo?
«In realtà, proprio perché siamo tre sceneggiatori, se volessimo scrivere una serie o un film lo faremmo in modo diretto, come lo facciamo da trent’anni. In questo caso volevamo scrivere un romanzo: di tutti i romanzi che abbiamo scritto, li abbiamo scritti senza pensare a una trasposizione. Se poi viene fatta fantastico, è come dare doppia vita all’opera e arrivare a un pubblico più ampio. Non è però nelle nostre intenzioni prioritarie».
Un’epidemia di colera, stupro, prostituzione minorile, corruzione e anticlericalismo: qual è il messaggio di fondo del vostro de La Bestia?
«Ogni qualvolta iniziamo a scrivere, non abbiamo intenzione di fare un romanzo manifesto ma poi, via via che si indaga, si trovano cose, aspetti ed episodi che vogliamo raccontare. In questo caso di profonde disuguaglianze sociali. Noi ci siamo trovati con un romanzo su una città con una cinta muraria, dove i poveri erano all’esterno e i ricchi all’interno. Quindi, semplicemente il fatto di essere nati dentro o fuori segnava il destino delle persone e non solo. C’è un enorme differenza anche tra nascere donne e uomini. Quindi non è tanto ciò che si vuole raccontare, ma si finisce per raccontare le cose che ti preoccupano e ti impressionano. Quali sono gli argomenti portanti? Il colera, l’anticlericalismo ma in modo particolare l’intransigenza, le disuguaglianze sociale, l’ignoranza, tutti aspetti che si trovano via via che si scrive e inducono a una riflessione».
Come mai avete scelto proprio Madrid come ambientazione? È la vostra città di origine?
«Diciamo che è un po' vocazione di Carmen Mola utilizzare Madrid come ambientazione. Moltre altre città come Barcellona, Londra, Parigi, Roma sono sempre state protagoniste di opere letterarie. Avevamo l’impressione che Madrid fosse stata trascurata. Da lì, oltre il fatto che siamo tutti e tre madrileni, non di origine ma di adozione, ad eccezione di Antonio, abbiamo deciso di scrivere di Madrid. Amiamo molto la città e ci piace potervi ambientare le nostre storie».