Ospitalità. Sentire. Luoghi. Sono alcune delle parole che Giuseppina De Simone, coordinatrice della Specializzazione in Teologia fondamentale alla sezione san Luigi della Facoltà teologica dell’Italia meridionale, userà come chiavi di lettura per introdurre il primo giorno di lavori dei vescovi riuniti a Bari e dare qualche coordinata per il confronto sul tema della trasmissione della fede, in particolare alle giovani generazioni. De Simone parlerà infatti del «recupero delle dimensioni di senso che contraddistinguono la mediterraneità e che appartengono alla sostanza stessa del Vangelo». La prima coordinata è l’“ospitalità”, trasversale ai 3 monoteismi.
«La fede in Cristo è ospitale e inclusiva, genera incontro, un tema cui i giovani sono molto sensibili», dice la teologa. C’è poi il tema della centralità del “sentire”: «A volte guardato con sospetto, è il valore dell’affettività, che emerge con chiarezza nella religiosità dei popoli del Mediterraneo: una fede non disincarnata, fatta di sapori, colori, sentimenti, in cui trovano spazio i drammi e gli entusiasmi della vita. Un’affettività che occorre recuperare per ritrovare la tonalità calda dell’annuncio. Un’affettività che non neghi però la ragione ma la dilati, evitando tanto ogni forma di intellettualismo quanto un emozionalismo senza pensiero». E quindi “il rapporto della fede con i luoghi”, che diventano spazio dove Dio fa sentire la sua presenza. «Penso al significato del mare nella fede dei popoli, alle invocazioni “porto salvo”, “faro”, nomi che indicano l’esperienza di salvezza e di riparo dal rischio, nel rapporto con un Dio che è protezione. La fede ha inciso nella configurazione dei luoghi, attraverso una dimensione simbolica capace di esprimere il significato del tutto e rinviando oltre la pura materialità».
Come il fatto religioso caratterizza il bacino mediterraneo?
«Ciò che merita di essere considerato prima di tutto è che il fatto religioso non può essere ignorato, resiste a ogni tentativo di messa tra parentesi, di strumentalizzazione da parte di logiche di potere o di mercato. Nel Mediterraneo c’è una presenza religiosa plurale, fortemente differenziata. Ma la storia di questo mare e delle grandi tradizioni religiose che l’hanno segnato, attesta che la diversità può essere, ed è stata, motivo di scontro e di conflitto, ma che anche laddove si cerca di tracciare confini rigidi le identità sono di fatto l’una nell’altra, come è nella fisionomia dei territori, nelle architetture, nelle lingue, nei modi di vivere, negli scambi quotidiani….È la grande sfida del Mediterraneo che è tale anche per ciò che concerne le religioni, ma che è anche il suo tratto più paradossale e affascinante: essere insieme nella diversità. L’annuncio del Vangelo che è l’annuncio di una fraternità quale armonia di diversità, comunione, trova qui un contesto particolarmente significativo».
Lei arriva a Bari con l’esperienza della Facoltà teologica di Posillipo, a Napoli, che sul Mediterraneo sta ormai riflettendo da quattro anni. Come è nato questo interesse specifico?
«Quando i gesuiti italiani hanno allargato la loro Provincia, diventata Euromediterranea, anche la Facoltà loro affidata ha deciso di ripensare il modo di fare teologia. Nella nostra Sezione, e secondo la ratio studiorum della Compagnia di Gesù, la riflessione teologica non si è mai costruita in maniera astratta, ma si è sempre confrontata con la storia e con i diversi saperi. Da quattro anni abbiamo messo a fuoco il tema del Mediterraneo quale contesto a partire dal quale fare teologia. E così nato questo progetto, che attualmente coordino con il professor Armando Nugnes, di un Biennio di Specializzazione in Teologia fondamentale proprio sull’”esperienza religiosa nel Mediterraneo”, come ponte per una cultura dell’incontro, che ha tra i docenti anche professori musulmani ed ebrei. Il presupposto, che ha guidato anche il recente viaggio studio di novembre a Gerusalemme, è che il dialogo della vita non esclude uno sbocco nella riflessione teologica. La dichiarazione sulla fratellanza firmata ad Abu Dhabi d’altra parte non delinea solo una strategia di collaborazione, ma ribadisce la fede nell’unico Dio come principio dell’incontro e del dialogo possibile tra le religioni. È la fede in Dio che porta a riconoscerci come fratelli. L’incontro tra religioni deve avere un terreno comune ed è l’esperienza religiosa. Nel nostro percorso di studi partiamo da questa esperienza, ossia dall’esperienza di Dio che è presente nelle diverse religioni ma che è data di per sé a ogni essere umano, anche nell’assenza o nella negazione. Un’esperienza che ha nella rivelazione di Dio in Gesù Cristo il suo principio di comprensione e di verità».
Da questo lavoro confluito nel convegno che ha avuto come relatore anche Francesco, sono partite nuove iniziative che potrebbero servire da apripista all’appuntamento di Bari. Può spiegarci di cosa si tratta?
«Un progetto di ricerca triennale, con il contributo della Cei, intitolato “Il Mediterraneo come luogo teologico” che si sviluppa attraverso un percorso di studi seminariale con il coinvolgimento di docenti di alcune università del Sud, anche laiche, e di discipline diverse; una serie di incontri pubblici dedicati alle narrazioni del Mediterraneo - “Tra le terre” - inaugurati il 24 gennaio dall’analisi economica e politica di Romano Prodi; e iniziative che coinvolgono più direttamente gli studenti come gli scambi tra paesi del Mediterraneo avviati con l’esperienza dei corsi itineranti o l’incontro con testimoni di pace. Accanto a questo ci sono tutta una serie di iniziative che mettono la Facoltà al servizio del territorio. Si è avviato, infatti, un dialogo con i vescovi della Campania e del Meridione, con le istituzioni civili e quelle accademiche e uno dei risultati è il corso su “L’accoglienza, l’integrazione e l’educazione alla convivenza” in alcune scuole della diocesi di Teggiano-Policastro nelle quali si registra una considerevole presenza di giovani immigrati».