«La pazienza non è solo una necessità, è una chiamata: se Cristo è paziente, il cristiano è chiamato a essere paziente». Papa Francesco continua il ciclo di catechesi dedicato alle virtù e nell’udienza generale del mercoledì della Settimana Santa si sofferma su quella della pazienza.
Dopo il silenzio di domenica scorsa che aveva sostituito l’omelia della celebrazione della Domenica delle Palme durante la quale era apparso affaticato, Bergoglio arriva nell’Aula Paolo VI a piedi, camminando con l’aiuto di un bastone, e legge per intero la catechesi preparata, aggiungendo anche una testimonianza a braccio. «Oggi l’udienza era prevista in piazza, ma per la pioggia è stata trasferita qui dentro. È vero che sarete un po’ ammucchiati, ma almeno sarete non bagnati! Grazie della vostra pazienza», ha detto il Papa appena arrivato spiegando ai fedeli il motivo per cui l’udienza si è tenuta in Aula Paolo VI, invece che in piazza San Pietro.
«Siamo spesso carenti di pazienza. Nel normale siamo impazienti tutti», ha detto a braccio, spiegando che della pazienza «abbiamo bisogno come della vitamina essenziale per andare avanti, ma ci viene istintivo spazientirci e rispondere al male col male: è difficile stare calmi, controllare l’istinto, trattenere brutte risposte, disinnescare litigi e conflitti in famiglia, al lavoro, nella comunità cristiana. Subito viene la risposta: non siamo capaci di stare pazienti».
Ma «la pazienza non è solo una necessità, è una chiamata: se Cristo è paziente, il cristiano è chiamato a essere paziente»: e ciò, per il Papa, «chiede di andare controcorrente rispetto alla mentalità oggi diffusa, in cui dominano la fretta e il “tutto e subito”; dove, anziché attendere che maturino le situazioni, si spremono le persone, pretendendo che cambino all’istante. Non dimentichiamo che la fretta e l’impazienza sono nemiche della vita spirituale», il monito del Papa: «Dio è amore, e ci ama non si stanca, non è irascibile, non dà ultimatum, Dio è paziente, Dio sa attendere. Pensiamo al racconto del Padre misericordioso, che aspetta il figlio andato via di casa», l’esempio scelto da Francesco: «Soffre con pazienza, impaziente solo di abbracciarlo appena lo vede tornare; o pensiamo alla parabola del grano e della zizzania, con il Signore che non ha fretta di sradicare il male prima del tempo, perché nulla vada perduto. La pazienza ci fa salvare tutto!», dice Francesco a braccio a proposito della pazienza come “forza mite”, che ci ricorda come sia «proprio della virtù cristiana non solo operare il bene, ma anche saper sopportare i mali. Un bell’esercizio è anche quello di portare a lui le persone più fastidiose, domandando la grazia di mettere in pratica nei loro riguardi quell’opera di misericordia tanto nota quanto disattesa: sopportare pazientemente le persone moleste», la proposta per questo tempo pasquale: «E non è facile: pensiamo se noi facciamo questo». Francesco sottolinea che «La pazienza di Gesù non consiste in una stoica resistenza nel soffrire, ma è il frutto di un amore più grande».
San Paolo, ricorda il Pontefice, «congiunge strettamente amore e pazienza: Dio, di fronte alla nostra infedeltà, si mostra lento all’ira: anziché sfogare il proprio disgusto per il male e il peccato dell’uomo, si rivela più grande, pronto ogni volta a ricominciare da capo con infinita pazienza. Questo per Paolo è il primo tratto dell’amore di Dio, che davanti al peccato propone il perdono. Ma non solo: è il primo tratto di ogni grande amore, che sa rispondere al male col bene, che non si chiude nella rabbia e nello sconforto, ma persevera e rilancia».
Il Pontefice, citando sant’Agostino, ricorda che «alla radice della pazienza c’è l’amore. Uno è tanto più forte a sopportare qualunque male, quanto in lui è maggiore l’amore di Dio. Non c’è migliore testimonianza dell’amore di Cristo che incontrare un cristiano paziente. Ma pensiamo anche a quante mamme e papà, lavoratori, medici e infermieri, ammalati che ogni giorno, nel nascondimento, abbelliscono il mondo con una santa pazienza! Come afferma la Scrittura, “è meglio la pazienza che la forza di un eroe”».
Il Papa ha concluso la catechesi sulla “forza mite” della pazienza, come l’ha definita, indicando ai fedeli la testimonianza di due papà, seduti uno accanto all’altro in prima fila, in Aula Paolo VI. «Pazienza è saper sopportare i mali», ha detto Francesco a braccio: «E qui oggi, in questa udienza, ci sono due persone, due papà, uno israeliano e uno arabo. Ambedue hanno perso i loro figli in questa guerra. E ambedue sono amici. Non guardano all’inimicizia della guerra, ma guardano all’amicizia di due uomini che si vogliono bene e che sono passati per la stessa crocifissione. Pensiamo a questa testimonianza tanto bella di queste due persone, che hanno sofferto nelle loro figlie la guerra della Terra Santa», l’invito ai presenti: «Cari fratelli, grazie per la vostra testimonianza!».
I due padri citati dal Papa sono
Rami Elhanan e Bassam Aramin. Entrambi hanno perso una figlia nel conflitto in corso in Terra Santa. Smadar, la figlia 14enne di Rami, è stata uccisa da un kamikaze palestinese mentre faceva shopping con le amiche, nel centro di Gerusalemme. Abir, 10 anni, figlia di Bassam, è stata colpita a morte fuori dalla sua scuola da un giovane soldato israeliano. La loro storia è raccontata nel libro
Apeirogon (Feltrinelli) dello scrittore irlandese
Colum McCann.
Dopo la catechesi, il Papa ha ricorda ancora i fronti di guerra più cruenti: «Preghiamo per la pace: che il Signore ci dia la pace nella martoriata Ucraina che sta soffrendo tanto sotto i bombardamenti. Anche in Israele e Palestina: che ci sia la pace nella Terra Santa. Che il Signore ci dia la pace a tutti come dono della sua Pasqua». Poi ai fedeli presenti nell’Aula Nervi ha rivolto un pensiero: «Avvicinandosi la festa della Pasqua, portiamo nella mente e nel cuore le sofferenze dei malati, dei poveri e degli emarginati, ricordando anche le vittime innocenti delle guerre, affinché il Cristo, con la sua Resurrezione, conceda a tutti la pace e la consolazione».