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Uganda: finita la guerra, non la tirannia

25/11/2015  Il Paese si sta lentamente risollevando. Ha chiuso la stagione del conflitto, ma non quella della democrazia negata: da 30 anni ha lo stesso presidente, Yoweri Museveni, e vede “scomparire” uno dopo l’altro gli oppositori.

L’Uganda sta ancora facendo i conti con la sua lunga e sanguinosa guerra civile. È durata 20 anni, ha provocato almeno 100 mila vittime e oltre un milione di sfollati. Si è conclusa nel 2007, soltanto otto anni fa. È stato uno dei conflitti più atroci del continente: qui l’Lra, il cosiddetto Esercito di liberazione del Signore (foto in alto), guidato da Joseph Kony, utilizzava sistematicamente il saccheggio, la distruzione dei villaggi e l’arruolamento forzato dei bambini e delle bambine, per rimpinguare le sue truppe. Sono state sequestrate intere scolaresche, e ancora oggi non si sa che fine abbiano fatto molti di quei minori. Non sono mai tornati a casa. Il Nord era diventato una sorta di immenso campo profughi. Nessuno più stava nei villaggi, dove le incursioni dei ribelli erano frequenti. Si era diffuso un fenomeno mai verificatosi prima: i bambini erano diventati “pendolari della notte”, perché di sera andavano in città, dov’erano più protetti, e al mattino tornavano in famiglia.

Il Paese si sta lentamente risollevando. Ha chiuso la stagione della guerra, ma non quella della democrazia negata: da 30 anni ha lo stesso presidente, Yoweri Museveni, e vede “scomparire” uno dopo l’altro gli oppositori. Il cammino della giovane Uganda è ancora lungo. Anche per sconfiggere la povertà: un terzo della popolazione vive sotto la famosa soglia di un dollaro al giorno di reddito. In Uganda è l’intera popolazione ad attendere il Papa: i cattolici sono quasi la metà, un altro 30% della popolazione, sempre cristiano, appartiene alla Chiesa anglicana.

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