L’Uganda sta ancora facendo i conti
con la sua lunga e sanguinosa guerra civile. È durata 20 anni, ha
provocato almeno 100 mila vittime e oltre un milione di sfollati. Si
è conclusa nel 2007, soltanto otto anni fa.
È stato uno dei conflitti più
atroci del continente: qui l’Lra, il cosiddetto Esercito di
liberazione del Signore (foto in alto), guidato da Joseph Kony,
utilizzava sistematicamente il saccheggio, la distruzione dei
villaggi e l’arruolamento forzato dei bambini e delle bambine,
per rimpinguare le sue truppe. Sono state sequestrate intere
scolaresche, e ancora oggi non si sa che fine abbiano fatto molti di
quei minori. Non sono mai tornati a casa.
Il Nord era diventato una sorta di
immenso campo profughi. Nessuno più stava nei villaggi, dove le
incursioni dei ribelli erano frequenti. Si era diffuso un fenomeno
mai verificatosi prima: i bambini erano diventati “pendolari della
notte”, perché di sera andavano in città, dov’erano più
protetti, e al mattino tornavano in famiglia.
Il Paese si sta lentamente
risollevando. Ha chiuso la stagione della guerra, ma non quella della
democrazia negata: da 30 anni ha lo stesso presidente, Yoweri
Museveni, e vede “scomparire” uno dopo l’altro gli oppositori.
Il cammino della giovane Uganda è ancora lungo. Anche per
sconfiggere la povertà: un terzo della popolazione vive sotto la
famosa soglia di un dollaro al giorno di reddito.
In Uganda è l’intera popolazione ad
attendere il Papa: i cattolici sono quasi la metà, un altro 30% della popolazione, sempre cristiano, appartiene alla Chiesa anglicana.