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sabato 26 aprile 2025
 
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Il Papa: «Non basta portare al collo la croce, bisogna amare gli altri»

14/09/2021  Nella Divina Liturgia celebrata in Slovacchia insieme con i fedeli di rito greco-cattolico, il Papa invita a non strumentalizzare la croce, a non usarla come amuleto, ma come sprone a seguire la via di Cristo, che ha dato la vita per tutti

«Non riduciamo la croce a un oggetto di devozione, tanto meno a un simbolo politico, a un segno di rilevanza religiosa e sociale». Papa Francesco celebra la divina liturgia bizantina di San Giovanni Crisostomo nel piazzale del palazzetto dello sport a Presov. Sull’altare l’icona della Madonna di Klokov, portata dall’omonimo santuario. Una presenza importante perché, inginocchiati ai suoi piedi, i fedeli greco cattolici, 350 anni fa, durante le guerre di religione con i calvinisti, fa la videro lacrimare. Quando i soldati irruppero nella chiesa e uno di essi colpì al volto l’immagine con una sciabola, le lacrime scorsero più copiose. Il santuario contnuò a essere meta di pellegrinaggi clandestini anche sotto la persecuzione comunista. Nella liturgia si usa lo slovacco e lo slavo ecclesiale, la lingua storica delle genti che qui hanno abbracciato il cristianesimo attraverso la missione di Cirillo e Metodio. Ci sono preghiere in ungherese, in rumeno, nella lingua dei rom… Una riconciliazione tra le genti dopo che, nel 1950, la Chiesa greco cattolica era stata abolita dal regime comunista e dopo che, tornata allo scoperto dopo la primavera di Praga del 1968, è stata riorganizzata in una nuova struttura ecclesiastica nel 2008 diventando Chiesa metropolitana sui iuris. Un nuovo inizio dopo gli anni di persecuzione e incomprensione anche con i cattolici di rito latino.

Papa Francesco, nel giorno in cui si celebra l’esaltazione della Croce prende spunto dalle parole dell’apostolo Paolo che «non nasconde che la croce, agli occhi della sapienza umana, è “scandalo” e “stoltezza”». Davanti a oltre 40mila fedeli (sono 400 mila quelli di rito bizantino in tutto il Paese) il Pontefice ricorda che San Giovanni ai piedi di Gesù crocifisso vede, da un lato, quello che vedono tutti: «Gesù, innocente e buono, muore brutalmente tra due malfattori. Una delle tante ingiustizie, uno dei tanti sacrifici cruenti che non cambiano la storia, l’ennesima dimostrazione che il corso delle vicende nel mondo non muta: i buoni vengono tolti di mezzo e i malvagi vincono e prosperano. Agli occhi del mondo la croce è un fallimento». Dall’altro, però, l’evangelista vede anche «nella croce l’opera di Dio. Ha visto che Egli, malgrado le apparenze, non è un perdente, ma è Dio che  volontariamente si offre per ogni uomo. Perché lo ha fatto? Avrebbe potuto risparmiarsi la vita, avrebbe potuto tenersi a distanza dalla nostra storia più misera e cruda. Invece ha voluto entrarci dentro, immergersi in essa. Per questo ha scelto la via più difficile: la croce. Perché non ci dev’essere in Terra nessuna persona tanto disperata da non poterlo incontrare, persino lì, nell’angoscia, nel buio, nell’abbandono, nello scandalo della propria miseria e dei propri sbagli. Proprio lì, dove si pensa che Dio non possa esserci, Dio è giunto».

Una testimonianza che vale anche per noi che rischiamo di «non accettare la logica della croce; non accettare che Dio ci salvi lasciando che si scateni su di sé il male del mondo. Non accettare, se non a parole, il Dio debole e crocifisso, e sognare un dio forte e trionfante». Ma, ribadisce il Papa, ««un cristianesimo senza croce è mondano e diventa sterile».

La lezione che il cristiano impara seguendo Gesù è che «la croce è come un libro che, per conoscerlo, bisogna aprire e leggere». Non basta portarla «al collo, in macchina, in tasca». Dobbiamo aprirgli il cuore, piangere «davanti al Dio ferito d’amore per noi». Altrimenti la croce resta come un libro non letto «di cui si conoscono bene il titolo e l’autore, ma che non incide nella vita». E poi l’invito che vale per tutti, non solo in Slovacchia a non ridurre «la croce a un oggetto di devozione, tanto meno a un simbolo politico, a un segno di rilevanza religiosa e sociale». Il crocifisso va contemplato per testimoniare. E la testimonianza, sulle orme dei santi che ci hanno preceduto, deve essere limpida, non «inficiata dalla mondanità e dalla mediocrità».

La croce, continua Francesco, «non vuol essere una bandiera da innalzare, ma la sorgente pura di un modo nuovo di vivere», in mondo del Vangelo, quello delle Beatitudini. «Il testimone che ha la croce nel cuore e non soltanto al collo non vede nessuno come nemico, ma tutti come fratelli e sorelle per cui Gesù ha dato la vita». E ancora, il testimone della croce non usa l’inganno, né la potenza mondana, «non vuole imporre sé stesso e i suoi, ma dare la propria vita per gli altri. Non ricerca i propri vantaggi per poi mostrarsi devoto: questa sarebbe una religione della doppiezza, non la testimonianza del Dio crocifisso. Il testimone della croce persegue una sola strategia, quella del Maestro: l’amore umile».

Un amore contagioso perché la fede, conclude il Papa, si diffonde così: «Non con la potenza del mondo, ma con la sapienza della croce, non con le strutture, ma con la testimonianza».

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