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lunedì 09 settembre 2024
 
libri
 

Il thriller "Catilina" nel racconto di Luciano Canfora

12/04/2023  Un volume rigoroso e appassionante ricostruisce la vicenda dell'aristocratico che dette l'assalto alla Repubblica romana

Grazie al celeberrimo esordio con cui Cicerone apre la prima Catilinaria («Quousque tandem abutere, Catilina, patientia nostra?», fino a quando, Catilina, abuserai della nostra pazienza?) Lucio Sergio Catilina si è guadagnato l’eternità più come personaggio proverbiale che come protagonista storico, (a meno che non si possegga una laurea in Lettere o in Storia, al netto di qualche reminescenza liceale). Se il filosofo e giurisperito greco Carneade è divenuto l’autore ignoto per antonomasia grazie al Manzoni, il giovane aristocratico romano è sinonimo di golpista fallito per via dell'opera di Cicerone, uno dei più grandi autori della letteratura latina. In realtà si tratta di un personaggio complesso che ha fatto la fortuna del grande oratore, console nel 63 avanti Cristo, anno cruciale della Storia di Roma, dove si svolgono le premesse di tutto quello che verrà dopo: il patto triumvirale di Cesare, Pompeo e Crasso, l'attraversamento del Rubicone e la marcia su Roma del condottiero vittorioso nelle Gallie, la guerra civile, la sconfitta di Pompeo e dei senatori a Farsalo, la conquista dell’Egitto, la guerra lampo nel Ponto («veni, vidi, vici»), la campagna di Spagna, la Repubblica trasformata in dittatura dal divo Giulio, le 23 coltellate dei cesaricidi guidati da Bruto al grido di sic semper tyrannis (che verrà ripetuto dall’omicida accoltellatore del presidente americano Abramo Lincoln 18 secoli più tardi). E infine, a segnare una nuova era, l’avvento del giovane erede Ottaviano, primo imperatore di Roma col titolo di Augusto, vendicatore del gran nemico del padre adottivo Cesare. L'arpinate infatti non partecipò direttamente al tirannicidio ma era un suo nemico giurato e scrisse il suo rimpianto per non aver partecipato “a questo banchetto di sangue”.

La biografia di Luciano Canfora (Catilina, una rivoluzione mancata, Laterza) ci permette di ricostruire una vicenda cruciale e intrigante nutrita dalla competenza storica e filologica di uno dei maggiori classicisti italiani. Non avendo capacità militari Cicerone ha basato la sua fortuna politica sulla retorica, amplificando le responsabilità e le potenzialità sovversive di questo nobile romano decaduto che voleva portare al potere i delusi e i diseredati sillani radunati intorno sé, insieme con strati della plebe urbana, di giovani aristocratici “inquieti e malleabili” e persino di schiavi (pare ci fossero anche alcune donne). Catilina tentò la sua personale goffa marcia su Roma (dopo quelle di Silla e Cesare) radunando quest’accozzaglia di gente senza alcuna speranza, talmente goffa da confidare, durante l’ebbrezza dei vari banchetti notturni, i progetti cospiratori a nobildonne e cortigiane “assoldate” da Cicerone, a cominciare da Flavia, l’aristocratica intorno alla quale ruotava la rete spionistica del console. Questo aristocratico sovversivo, scrive Canfora, sconfitto per tre volte alle elezioni,  «era già un sorvegliato speciale» e la rete che lo spiava era già stata attivata l’anno precedente il consolato ciceroniano, nel 64 avanti Cristo.

Tutto si concluse a Pistoia, in un ultimo, disperato, tentativo di assalto alla Repubblica da parte dei catilinari, ingenui ma coraggiosi (non furono trovate sul campo di battaglia corpi con ferite alla schiena). In questo rigoroso quanto appassionante volume Canfora approfondisce uno dei thriller di questa vicenda: Cesare fu un catilinario “sotto traccia”, tesi avallata dallo stesso Cicerone? Appoggiò la conspiratio anche se non lasciò mai prove, ma solo indizi? Vittime di una soffiata e di un’imboscata a Ponte Milvio, molti cospiratori finirono nelle prigioni della Repubblica. Alcuni di loro erano giovani o addirittura adolescenti, abbagliati dal carisma di Catilina. Cicerone, che si atteggiò a salvatore della patria, li fece giustiziare senza pietà in prigione, senza sottoporli a un giudice, contravvenendo oltre tutto a un principio repubblicano, quella della provocatio ad populum, il processo d'appello pubblico con il popolo giudicante per tutti i cittadini romani condannati a morte. Fu lo stesso oratore a dare l’annuncio dopo che furono strangolati salendo sul Foro e pronunciando l'espressione “Vixerunt!”, una tipica trovata delle sue per dire in modo edulcorato “sono morti”. Lo stesso Foro dove vennero inchiodati, anni dopo, precisamente sui rostri del Senato, la sua lingua e le sue mani per volere del futuro Augusto, che lo fece raggiungere da suoi sicari a Formia. La località dove l'arpinate venne ucciso esiste ancora oggi e si chiama - non a caso -  Vindicta, vendetta.
 

 
 
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