Si moltiplicano i commenti all'Esortazione apostolica Evangelii gaudium di papa Francesco. Tra gli altri, interviene anche il presidente nazionale dell'Azione cattolica italiana, il filosofo Franco Miano, che àncora la sua riflessione a un passaggio particolare del documento: «La gioia del Vangelo
riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con
Gesù».
«È questo il senso più profondo dell’esortazione di papa
Francesco», osserva Miano. «È un testo bellissimo, che spinge tutta la Chiesa a mettersi
in cammino, a rinnovare se stessa e a comunicare quel grande tesoro
di vita buona che deriva dall’incontro con il Signore. La gioia del
Vangelo è prorompente, non può non essere comunicata agli altri,
non può non portare all’incontro con gli altri. Cambia così la
prospettiva anche della vita della Chiesa, che non può rimanere
chiusa in se stessa. Cambia così l’impostazione della pastorale.
Vengono provocati alla conversione tutti i credenti, a cui è chiesto
di mettersi in moto, di uscire, di incontrare tutti, di privilegiare
i poveri, il dialogo, la pace. La profondità dell’incontro con il
Signore, accolto nell’intimo del nostro cuore, va di pari passo con
la forza di una mentalità nuova e di un impegno missionario a tutto
campo».
Anche la sociologa Chiara Giaccardi, docente all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, preferisce muoversi da un punto preciso dell'Esortazione. «"A
partire da alcuni temi sociali, importanti in ordine al futuro
dell’umanità, ho cercato (…) di esplicitare l’ineludibile
dimensione sociale dell’annuncio del Vangelo, per incoraggiare
tutti i cristiani a manifestarla sempre nelle loro parole,
atteggiamenti e azioni"», esordisce: «Così si conclude il quarto capitolo dell'Evangelii gaudium, al
n. 238.
Papa
Francesco, arrivato dall’altra parte del mondo, ha una sensibilità
sociale sviluppatissima, che si esprime in due nuclei centrali:
l’amore per l’umano, in tutte le sue forme, specie quelle più
fragili, che vanno accostate, accolte, sostenute, difese e messe in
primo piano; e la consapevolezza che nessuna evangelizzazione è
possibile se non sappiamo in che mondo viviamo. Un mondo che si
conosce solo camminandoci dentro, accorciando le distanze, costruendo
‘prossimità itinerante’, ‘comunione missionaria’ (23). Per
una Chiesa che non ha paura di sporcarsi le vesti. Una Chiesa ‘in
uscita’.
Basterebbero
l’inizio, (n. 2), dove si fa una diagnosi lucidissima del disagio
contemporaneo, o le pagine sulla città come luogo privilegiato di
evangelizzazione, con tutte le sue contraddizioni ma anche la sua
palpitante umanità (71 segg) per capire in che mondo viviamo e
iniziare, con gioia e speranza, a fare del nostro meglio, insieme.