Marco Chiesara, presidente di WeWorld, in un incontro con Ansa (foto Ansa).
Si chiama violenza invisibile: sono le forme più subdole di molestia, in ambito familiare sociale, lavorativo, quelle che non vengono percepite come tali, sia da parte degli uomini che le commettono sia da parte delle donne che le subiscono. Una piaga strisciante, molto diffusa, pericolosa: secondo la ricerca "La cultura della violenza. Curare le radici della violenza maschile contro le donne" realizzata dalla Ong WeWorld con Ipsos, meno del 40% delle donne è consapevole di aver subìto una forma di molestia, abuso o maltrattamento almeno una volta nella vita. Eppure, più del 40% delle donne ha subìto almeno una forma di violenza o controllo in cotesti sentimentali e familiari; e quasi il 70% delle lavoratrici è stata vittima di discriminazioni in ambito professionale.
La ricerca, diffusa a pochi giorni dalla Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, che ricorre il 25 novembre, mira a indagare la percezione delle cause della violenza di genere in Italia, a fotografare il grado di consapevolezza della violenza da parte delle donne, analizzando in particolare quanto siano diffusi, anche in modo incosciente, gli stereotipi di genere nei bambini. Il quadro che emerge è quello di un Paese in cui la cultura patriarcale e maschilista è ancora forte e radicata, creando le condizioni per forme di prevaricazione maschile e di discriminazione nei riguardi delle donne che minacciano le fondamenta della parità di genere.
In molti casi la prevaricazione si esplica in forme di violenza invisibile, psicologica ed economica ad esempio, che sono più difficilmente riconoscibili e, per questo, molto insidiose. Se, infatti, la violenza fisica è universalmente riconosciuta, quella psicologica si insinua e agisce sulla donna in modo graduale, più nascosto. Così come, ad esempio, il cosiddetto catcalling (la molestia di strada nelle forme di commentia a sfondo sessuale, offese, gesti, fischi, avance, palpeggiamenti di passanti...), non viene riconosciuto come molestia da più di una donna su tre, nonostante più del 50% delle donne intervistare dall'indagine Ipsos abbia affermato di aver subìto catcalling almeno una volta nella vita.
Quanto alle molestie sui luoghi di lavoro, quasi tre lavoratrici su 10 dichiara di aver ricevuto domande sulla propria volontà di sposarsi o fare figli ad un collquio di lavoro. Due donne su dieci ha ricevuto battute o offese a sfondo sessista; una su quattro ha ricevuto domande invadenti sulle proprie relazioni personali.
Per combattere la violenza di genere in ogni sua forma, è fondamentale e urgente lavorare sugli uomini, sugli stereotipi che interiorizzano, sulla mentalità con la quale crescono e si formano: secondo la ricerca, tre uomini su dieci individuano ancora nelle donne, che provocano e che umiliano, le cause della violenza. E' importante, dunque, cambiare il mondo di narrare la violenza di genere e agire con programmi educativi sulle nuove generazioni, per scardinare pregiudizi e stereotipi fin dall'infanzia.
«Certe forme invisibili di violenza sono parte integrante di dinamiche di coppia e sociali, proprio perché mancano strumenti culturali per individuarle come tali. Vittima e maltrattante non hanno - soprattutto in alcuni contesti - gli strumenti per riconoscere che quella è violenza, perché stanno dentro automatismi inconsapevoli intrisi di cultura patriarcale», commenta Marco Chiesara, presidente di WeWorld. «Come WeWorld lavoriamo ogni giorno nei nostri Spazi Donna con attività volte a favorire l’empowerment femminile – da intendersi come presa di coscienza, potenziamento del sé – al fine di aiutare le donne a dotarsi degli strumenti necessari a riconoscere la violenza, e parallelamente avviando un cambiamento culturale che vada alle radici del problema».
(Foto Ansa in alto: scarpette rosse blu in ceramica a Roma per la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne)