Ci si sveglia nel cuore della notte
per la necessità di urinare.
Anche di giorno aumentano le
volte in cui si ha bisogno del bagno:
lo stimolo sembra presente in continuazione.
Superati i cinquant’anni un
uomo su quattro soff re di questi disturbi,
dopo gli ottanta il problema diventa
quasi fi siologico per la maggioranza della
popolazione maschile. All’inizio i sintomi
delle basse vie urinarie sono generalmente
sopportabili, ma con il passare
del tempo possono aggravarsi.
Il professor Roberto Giulianelli, responsabile
del reparto di Urologia presso
la Casa di cura Nuova Villa Claudia, ospite
a Tv2000 della trasmissione Il mio medico,
ci spiega tutte le terapie per curare
l’ipertrofi a prostatica e, in particolare,
una nuovissima tecnica da lui ideata per
tornare ad avere una vita normale in tempi
più brevi e con meno dolore.
Professore quando possiamo parlare di ingrossamento della prostata, quindi di ipertrofia prostatica?
«Quando si esamina al microscopio la
prostata di un individuo, già a partire
dai 30-40 anni si individuano alterazioni
definite iperplasia prostatica benigna,
cioè la presenza di un progressivo aumento
delle dimensioni della zona centrale.
Queste alterazioni microscopiche
possono essere o meno accompagnate,
inizialmente, da un reale ingrossamento
della prostata. Quindi, pressoché tutti
gli uomini a partire da una certa età hanno
un’iperplasia prostatica benigna, ma
non tutti hanno una prostata aumentata
di volume. Con il trascorrere degli anni
però, inevitabilmente, l’aumentare di dimensioni
della zona di transizione determinerà
il costituirsi di un vero e proprio
adenomioma, con il progressivo schiacciamento
del condotto urinario (l’uretra)
e quindi i sintomi».
L’ingrossamento della prostata comporta dei disturbi?
«Per la sua posizione strategica subito al
di sotto della vescica, la parte centrale
della prostata, la zona transizionale, avvolge l’uretra a manicotto. Per questo,
quando questa zona va incontro a un aumento
di dimensioni, inevitabilmente interferisce
con la funzione urinaria, provocando
una progressiva ostruzione allo
svuotamento della vescica e conseguenti
disturbi di tipo irritativo. Distingueremo,
quindi, assortiti e presenti in vario modo
fra loro, una progressiva diminuzione
nella forza e nel calibro del getto urinario,
un’esitazione minzionale, cioè la
necessità di comprimere o sforzarsi per
iniziare la minzione, oppure una minzione
intermittente, cioè la necessità di interrompere
e riprendere l’atto della minzione
più volte. Sempre più frequente
sarà l’osservazione di uno sgocciolamento
di urina al termine della minzione o
la sensazione di incompleto svuotamento
della vescica. Potremo osservare una
pollachiuria diurna o notturna, ossia
l’aumentata frequenza delle minzioni, in
genere con intervalli minzionali al di sotto
delle due ore, sia di giorno sia di notte
o la cosiddetta “sindrome del garage” ovvero
quell’irrefrenabile desiderio di correre
a urinare, con a volte una perdita di
alcune gocce di urina (urge incontinence),
presente spesso al rientro a casa dopo
una giornata lavorativa o semplicemente
una passeggiata. Tutto questo insieme di
sintomi è riunito in un acronimo, Luts».
Intanto ricordiamo sempre che questi disturbi non appartengono a un tumore della prostata. Si tratta di una formazione benigna…
«Queste due malattie sono da tenere ben
distinte, in quanto originano di norma da
due zone diverse della ghiandola. Il carcinoma
prende origine, nella maggior parte
dei casi, dalla zona periferica, mentre l’iperplasia benigna origina dalla
porzione centrale, detta zona transizionale,
della ghiandola. Quindi, l’iperplasia
non è un cancro e non può, da essa,
svilupparsi un cancro. In altri termini,
l’iperplasia e il carcinoma prostatico sono
due malattie relativamente frequenti,
che colpiscono lo stesso organo, e che,
sebbene possano coesistere nella stessa
ghiandola, non hanno nulla a che vedere
l’una con l’altra».
Per curare l’ipertrofi a prostatica benigna è sempre necessario l’intervento chirurgico o può essere innanzitutto impostata una terapia farmacologica?
«La sola presenza di un ingrossamento della prostata non rappresenta un’indicazione
assoluta per il suo trattamento.
L’ingrossamento deve essere curato solo
se provoca sintomi urinari (Luts) che interferiscono
con la vita quotidiana della
persona aff etta. Al contrario, è assolutamente
necessario ricorrere a una terapia
in presenza di un incompleto svuotamento
vescicale».
Quando è necessario effettuare un intervento chirurgico?
«È indicato quando il trattamento farmacologico
non ha prodotto benefici o anche,
in assenza di un pregresso tentativo
con farmaci, quando la vescica presenta
persistentemente un elevato residuo urinario
dopo la minzione. L’indicazione
all’intervento chirurgico è assoluta quando
si ha un impedimento cronico a urinare,
che ha comportato una ritenzione
urinaria con necessità di portare un catetere
vescicale. Indicazioni assolute sono
anche la presenza di calcoli in vescica,
formatisi per la presenza di residuo
urinario, o la presenza di infezioni urinarie
ricorrenti».
Professore, lei ha messo a punto una tecnica chirurgica meno invasiva e che permette al paziente di tornare alla normalità in tempi più brevi e con meno dolore…
«Da oltre cinque anni insieme al mio
gruppo abbiamo messo a punto una nuova
tecnica di asportazione dell’adenoma
prostatico, definita B-Tueb. Questa tecnica
sfrutta le grandi potenzialità offerte
da un bisturi bipolare, Olympus, che
grazie all’utilizzo di un’ansa di forma discoidale,
permette di “scollare” l’adenoma dall’interno della ghiandola prostatica
per poi asportarlo. La procedura è
sicura, effettuata in anestesia locale, con
al termine il posizionamento di un catetere
vescicale».
Quanto dura l’intervento? dopo quanto tempo si torna a casa?
«La durata dell’intervento varia a seconda
delle dimensioni dell’adenoma affrontato
e delle capacità endoscopiche
dell’operatore. Grazie a questa procedura
l’operatore può finalmente affrontare
e trattare con successo adenomi voluminosi
per cui, fino a oggi, il trattamento
endoscopico era sconsigliato. Il tessuto
adenomatoso asportato può essere sottoposto
a esame istologico, condizione
questa irrinunciabile, a mio avviso, e
che rende tale metodica da preferire rispetto
all’utilizzo del laser, in cui nella vaporizzazione
tale condizione è impossibile
da attuare. In genere l’intervento è
in anestesia locale, per cui il paziente è
lucido, interattivo con l’ambiente e già
dall’uscita dal blocco operatorio in grado
di idratarsi e mangiare autonomamente.
In genere dopo 48 ore dall’intervento il
paziente è dimesso dalla struttura, privo
di catetere e ha già ripreso una minzione
valida e spontanea».
Possono emergere complicanze dopo il trattamento chirurgico e quali sono i consigli da seguire nel periodo post operatorio?
«Nella nostra esperienza non abbiamo
osservato complicanze particolari nel
post operatorio, e la percentuale di ritrattamento
a 12 mesi è stata del 4 per cento.
Nessun paziente, tuttavia, ha presentato
complicanze gravi. Nel post operatorio,
comunque, abbiamo sempre consigliato
un breve periodo di riposo domiciliare
ai pazienti, che hanno potuto riprendere
una normale attività sia sociale sia lavorativa
in termini estremamente rapidi e
tornare a condurre la propria vita con un
notevole miglioramento».