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giovedì 03 ottobre 2024
 
 
Benessere

Ipertrofia prostatica, quell’impulso di correre in bagno

15/01/2016  Dopo i 50 anni la ghiandola maschile che si trova fra l’uretra e la vescica tende a ingrossarsi, dando origine a sintomi molto fastidiosi. Se i farmaci non bastano, una nuova tecnica chirurgica permette di risolvere il problema in tempi brevi e con meno dolore.

Ci si sveglia nel cuore della notte per la necessità di urinare. Anche di giorno aumentano le volte in cui si ha bisogno del bagno: lo stimolo sembra presente in continuazione. Superati i cinquant’anni un uomo su quattro soff re di questi disturbi, dopo gli ottanta il problema diventa quasi fi siologico per la maggioranza della popolazione maschile. All’inizio i sintomi delle basse vie urinarie sono generalmente sopportabili, ma con il passare del tempo possono aggravarsi.
Il professor Roberto Giulianelli, responsabile del reparto di Urologia presso la Casa di cura Nuova Villa Claudia, ospite a Tv2000 della trasmissione Il mio medico, ci spiega tutte le terapie per curare l’ipertrofi a prostatica e, in particolare, una nuovissima tecnica da lui ideata per tornare ad avere una vita normale in tempi più brevi e con meno dolore.

Professore quando possiamo parlare di ingrossamento della prostata, quindi di ipertrofia prostatica?

«Quando si esamina al microscopio la prostata di un individuo, già a partire dai 30-40 anni si individuano alterazioni definite iperplasia prostatica benigna, cioè la presenza di un progressivo aumento delle dimensioni della zona centrale. Queste alterazioni microscopiche possono essere o meno accompagnate, inizialmente, da un reale ingrossamento della prostata. Quindi, pressoché tutti gli uomini a partire da una certa età hanno un’iperplasia prostatica benigna, ma non tutti hanno una prostata aumentata di volume. Con il trascorrere degli anni però, inevitabilmente, l’aumentare di dimensioni della zona di transizione determinerà il costituirsi di un vero e proprio adenomioma, con il progressivo schiacciamento del condotto urinario (l’uretra) e quindi i sintomi».

L’ingrossamento della prostata comporta dei disturbi?

  

«Per la sua posizione strategica subito al di sotto della vescica, la parte centrale della prostata, la zona transizionale, avvolge l’uretra a manicotto. Per questo, quando questa zona va incontro a un aumento di dimensioni, inevitabilmente interferisce con la funzione urinaria, provocando una progressiva ostruzione allo svuotamento della vescica e conseguenti disturbi di tipo irritativo. Distingueremo, quindi, assortiti e presenti in vario modo fra loro, una progressiva diminuzione nella forza e nel calibro del getto urinario, un’esitazione minzionale, cioè la necessità di comprimere o sforzarsi per iniziare la minzione, oppure una minzione intermittente, cioè la necessità di interrompere e riprendere l’atto della minzione più volte. Sempre più frequente sarà l’osservazione di uno sgocciolamento di urina al termine della minzione o la sensazione di incompleto svuotamento della vescica. Potremo osservare una pollachiuria diurna o notturna, ossia l’aumentata frequenza delle minzioni, in genere con intervalli minzionali al di sotto delle due ore, sia di giorno sia di notte o la cosiddetta “sindrome del garage” ovvero quell’irrefrenabile desiderio di correre a urinare, con a volte una perdita di alcune gocce di urina (urge incontinence), presente spesso al rientro a casa dopo una giornata lavorativa o semplicemente una passeggiata. Tutto questo insieme di sintomi è riunito in un acronimo, Luts».

Intanto ricordiamo sempre che questi disturbi non appartengono a un tumore della prostata. Si tratta di una formazione benigna…

«Queste due malattie sono da tenere ben distinte, in quanto originano di norma da due zone diverse della ghiandola. Il carcinoma prende origine, nella maggior parte dei casi, dalla zona periferica, mentre l’iperplasia benigna origina dalla porzione centrale, detta zona transizionale, della ghiandola. Quindi, l’iperplasia non è un cancro e non può, da essa, svilupparsi un cancro. In altri termini, l’iperplasia e il carcinoma prostatico sono due malattie relativamente frequenti, che colpiscono lo stesso organo, e che, sebbene possano coesistere nella stessa ghiandola, non hanno nulla a che vedere l’una con l’altra».

Per curare l’ipertrofi a prostatica benigna è sempre necessario l’intervento chirurgico o può essere innanzitutto impostata una terapia farmacologica?

  

«La sola presenza di un ingrossamento della prostata non rappresenta un’indicazione assoluta per il suo trattamento. L’ingrossamento deve essere curato solo se provoca sintomi urinari (Luts) che interferiscono con la vita quotidiana della persona aff etta. Al contrario, è assolutamente necessario ricorrere a una terapia in presenza di un incompleto svuotamento vescicale».

Quando è necessario effettuare un intervento chirurgico?

«È indicato quando il trattamento farmacologico non ha prodotto benefici o anche, in assenza di un pregresso tentativo con farmaci, quando la vescica presenta persistentemente un elevato residuo urinario dopo la minzione. L’indicazione all’intervento chirurgico è assoluta quando si ha un impedimento cronico a urinare, che ha comportato una ritenzione urinaria con necessità di portare un catetere vescicale. Indicazioni assolute sono anche la presenza di calcoli in vescica, formatisi per la presenza di residuo urinario, o la presenza di infezioni urinarie ricorrenti».

Professore, lei ha messo a punto una tecnica chirurgica meno invasiva e che permette al paziente di tornare alla normalità in tempi più brevi e con meno dolore…

  

«Da oltre cinque anni insieme al mio gruppo abbiamo messo a punto una nuova tecnica di asportazione dell’adenoma prostatico, definita B-Tueb. Questa tecnica sfrutta le grandi potenzialità offerte da un bisturi bipolare, Olympus, che grazie all’utilizzo di un’ansa di forma discoidale, permette di “scollare” l’adenoma dall’interno della ghiandola prostatica per poi asportarlo. La procedura è sicura, effettuata in anestesia locale, con al termine il posizionamento di un catetere vescicale».

Quanto dura l’intervento? dopo quanto tempo si torna a casa?

«La durata dell’intervento varia a seconda delle dimensioni dell’adenoma affrontato e delle capacità endoscopiche dell’operatore. Grazie a questa procedura l’operatore può finalmente affrontare e trattare con successo adenomi voluminosi per cui, fino a oggi, il trattamento endoscopico era sconsigliato. Il tessuto adenomatoso asportato può essere sottoposto a esame istologico, condizione questa irrinunciabile, a mio avviso, e che rende tale metodica da preferire rispetto all’utilizzo del laser, in cui nella vaporizzazione tale condizione è impossibile da attuare. In genere l’intervento è in anestesia locale, per cui il paziente è lucido, interattivo con l’ambiente e già dall’uscita dal blocco operatorio in grado di idratarsi e mangiare autonomamente. In genere dopo 48 ore dall’intervento il paziente è dimesso dalla struttura, privo di catetere e ha già ripreso una minzione valida e spontanea».

Possono emergere complicanze dopo il trattamento chirurgico e quali sono i consigli da seguire nel periodo post operatorio?

  

«Nella nostra esperienza non abbiamo osservato complicanze particolari nel post operatorio, e la percentuale di ritrattamento a 12 mesi è stata del 4 per cento. Nessun paziente, tuttavia, ha presentato complicanze gravi. Nel post operatorio, comunque, abbiamo sempre consigliato un breve periodo di riposo domiciliare ai pazienti, che hanno potuto riprendere una normale attività sia sociale sia lavorativa in termini estremamente rapidi e tornare a condurre la propria vita con un notevole miglioramento».

 
 
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