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lunedì 17 marzo 2025
 
 

Israele-Palestina, chi cerca la pace e chi no

17/08/2013  Si riaprono i negoziati, ma nel frattempo il governo di Tel Aviv annuncia 1.200 nuovi alloggi per i coloni. L'Unicef denuncia che 700 minori palestinesi sono nelle prigioni israeliane. Intanto l'economia palestinese si regge sempre più sull'aiuto umanitario. Come spiega la responsabile di Echo per la Palestina.

A meno di tre giorni dalla seconda tornata di negoziati (che si è svolta con grande riservatezza il 14 agosto), il governo israeliano ha dato il via libera alla costruzione di altri 1.200 nuovi alloggi nelle colonie della Cisgiordania e di Gerusalemme Est. Una vera doccia fredda sulle speranze riposte nella ripresa dei colloqui fortemente voluti dagli Stati Uniti.

Per la costruzione delle nuove unità abitative destinate ai coloni israeliani il governo ha annunciato l'apertura di una gara d'appalto per realizzarne 793 a Gerusalemme Est e 394 in Cisgiordania. La portata dell’annuncio ha sminuito il gesto distensivo, annunciato poche ore prima, della liberazione da parte di Israele di 104 detenuti politici palestinesi nei prossimi quattro mesi.

I negoziati erano bloccati da quasi tre anni. La ripresa – un primo incontro era avvenuto a fine luglio a Washington – era stata ottenuta grazie all’impegno del segretario di Stato americano, John Kerry. Il portavoce del governo palestinese Ihab Bassiso ha subito comunicato che l’Anp «è molto preoccupata dalla volontà di Israele di continuare a costruire colonie nel bel mezzo della ripresa dei colloqui di pace», e ha ricordato che anche gli Stati Uniti e l’Unione Europea sono contrari alla politica degli insediamenti, considerati illegali dalla comunità internazionale.

Riguardo alla posizione europea, peraltro, l'UE ha annunciato poche settimane fa (il 23 luglio scorso) il parere negativo su qualunque finanziamento o sostegno a nuovi insediamenti israeliani, confermando di considerare illegali tutte le colonie israeliane nei territori occupati. Una posizione che sembra essere la logica conseguenza delle pesanti conclusioni espresse nel rapporto annuale (di febbraio scorso) presentato dai responsabili delle Missione UE a Gerusalemme, in cui si denunciava la politica israeliana di occupazione come una violazione dei diritti umani e come il principale ostacolo a un accordo di pace.

Il rapporto dell'Unione Europea, del resto, segue di pochi mesi (marzo 2013) quello pubblicato dall'Unicef sui minori palestinesi arrestati e detenuti in Israele: settecento bambini all'anno, denuncia l'agenzia dedicata dall'infanzia delle Nazioni Unite. Una media di 2 al giorno e un totale di 7000 negli ultimi dieci anni. In totale violazione delle leggi internazionali che tutelano i minori.

L'età varia dai 12 ai 17 anni e sono quasi tutti maschi, scriveva ancora l'Unicef. Vengono prelevati nella notte, senza spiegazioni, si fanno spesso un lungo viaggio che può durare anche un giorno, bendati, legati, a volte privati dei servizi igienici di base fino all'arrivo nelle basi militari dove sono poi interrogati, minacciati e spesso forzati a confessare.

Un quadro pesante, insomma, quello che si presenta a questa nuova fase di negoziati (il prossimo incontro si svolgerà verso la fine di agosto), mentre la situazione dei Territori occupati, e soprattutto della Striscia di Gaza, continuano a rimanere pesantissime, sia dal punto di vista economico che sociale, sostenuto in gran parte dalle agenzie umanitarie e dalle Ong.

Oxfam Italia, nel suo ultimo rapporto di qualche mese fa, rilevava dati secondo i quali, ad esempio, a Gaza 8 abitanti su 10 vivono di aiuti umanitari, e sono disoccupati; le attività economiche, nei cinque anni di blocco, si sono ridotte del 60%, con un costo di miliardi di euro per il commercio. Il peso dell'aiuto umanitario nella sopravvivenza della Palestina lo conferma Fadwa Baroud, responsabile regionale di Echo, il Dipartimento aiuti umanitari della Commissione Europea.

- Qual è il quadro complessivo delle attività e dei progetti finanziati da Echo sia nei Territori occupati che nella Striscia di Gaza?

«Dal 2000, la Commissione europea ha distribuito piu di 642 milioni di euro in aiuti umanitari per rispodnere ai bisogni primari dei palestinesi in Cisgiordania e nella Strisca di Gaza, e per i rifugiati palestinesi che vivono in Libano. Nel 2012, il budget totale di Echo è di 42 milioni di euro. Il 60% dei fondi è dedicato ai programmi di Gaza. E' utilizzato per rispondere ai bisogni delle fasce piu vulnerabili della popolazione per gli aiuti alimentari, le cure mediche, la riabilitazione di strutture sanitarie e di accesso all’acqua, il supporto psicosociale. Nel 2013, Echo ha destinato alla Palestina 35 milioni di euro. Questi fondi sono stati presentemente allocati a vari progetti la cui analisi dei bisogni è in corso. I fondi vengono distribuiti attraverso Ong, Croce Rossa, movimento della Mezzaluna Rossa, e agenzie specializzate delle Nazioni Unite e sono direttamente distribuiti alla popolazione più vulnerabile senza distinzioni etniche, religiose o politiche».

- La questione israelo-palestinese ha bisogno urgente di soluzioni politiche. L'intervento d'emergenza allevia, per quanto è possibile, una situazione pesante della popolazione palestinese. Ma può l'intervento umanitario aiutare il progredire verso una soluzione politica?

«L’obiettivo degli interventi umanitari è di salvare vite e alleviare le sofferenze, non di contribuire a soluzioni politiche. Non è nel nostro mandato, né abbiamo i mezzi per farlo. Detto ciò, è nostro dovere rispondere alle inadempienze ripsetto al Diritto umanitario internazionale».

- L'intervento d'emergenza è per sua natura di breve durata. In Palestina siamo di fronte a una situazione che dura da decenni. Non c'è bisogno di passare a strategie di intervento che mirino decisamente allo sviluppo, con progetti che diano stabilità e prospettiva di lunga durata?

«Noi siamo d’accordo che in molte parti della Palestina soluzioni a lungo termine potrebbero e dovrebbero rispondere ai bisogni della popolazione in un modo piu appropriato e sostenibile. Perciò gli attori dello sviluppo devono impegnarsi nel dialogo con le autorità israeliane sulle restrizioni che impediscono all’economia palestinese di crescere. Ad esempio, è necessario che cessi l'isolamento di Gaza e dei Territori palestinesi per consentire uno sviluppo sostenibile. Attualmente, una strategia di post-emergenza è messa in atto laddove i progetti di Echo vengono realizzati col finanziamento della Cooperazione allo Sviluppo e dell'Unione Europea.

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