A meno di tre giorni dalla seconda
tornata di negoziati (che si è svolta con grande riservatezza il 14
agosto), il governo israeliano ha dato il via libera alla costruzione
di altri 1.200 nuovi alloggi nelle colonie della Cisgiordania e di
Gerusalemme Est. Una vera doccia fredda sulle speranze riposte nella
ripresa dei colloqui fortemente voluti dagli Stati Uniti.
Per la costruzione delle nuove unità
abitative destinate ai coloni israeliani il governo ha annunciato
l'apertura di una gara d'appalto per realizzarne 793 a Gerusalemme
Est e 394 in Cisgiordania.
La portata dell’annuncio ha sminuito il
gesto distensivo, annunciato poche ore prima, della liberazione da
parte di Israele di 104 detenuti politici palestinesi nei prossimi
quattro mesi.
I negoziati erano bloccati da quasi tre
anni. La ripresa – un primo incontro era avvenuto a fine luglio a
Washington – era stata ottenuta grazie all’impegno del segretario
di Stato americano, John Kerry.
Il portavoce del governo palestinese Ihab
Bassiso ha subito comunicato che l’Anp «è molto preoccupata dalla
volontà di Israele di continuare a costruire colonie nel bel mezzo
della ripresa dei colloqui di pace», e ha ricordato che anche gli
Stati Uniti e l’Unione Europea sono contrari alla politica degli
insediamenti, considerati illegali dalla comunità internazionale.
Riguardo alla posizione europea,
peraltro, l'UE ha annunciato poche settimane fa (il 23 luglio scorso)
il parere negativo su qualunque finanziamento o sostegno a nuovi
insediamenti israeliani, confermando di considerare illegali tutte le
colonie israeliane nei territori occupati. Una posizione che sembra
essere la logica conseguenza delle pesanti conclusioni espresse nel
rapporto annuale (di febbraio scorso) presentato dai responsabili
delle Missione UE a Gerusalemme, in cui si denunciava la politica
israeliana di occupazione come una violazione dei diritti umani e
come il principale ostacolo a un accordo di pace.
Il rapporto dell'Unione Europea, del
resto, segue di pochi mesi (marzo 2013) quello pubblicato dall'Unicef
sui minori palestinesi arrestati e detenuti in Israele: settecento
bambini all'anno, denuncia l'agenzia dedicata dall'infanzia delle
Nazioni Unite. Una media di 2 al giorno e un totale di 7000
negli ultimi dieci anni. In totale violazione delle leggi
internazionali che tutelano i minori.
L'età varia dai 12 ai 17 anni e sono
quasi tutti maschi, scriveva ancora l'Unicef. Vengono prelevati nella
notte, senza spiegazioni, si fanno spesso un lungo viaggio che può
durare anche un giorno, bendati, legati, a volte privati dei servizi
igienici di base fino all'arrivo nelle basi militari dove sono poi
interrogati, minacciati e spesso forzati a confessare.
Un quadro pesante, insomma, quello che si
presenta a questa nuova fase di negoziati (il prossimo incontro si
svolgerà verso la fine di agosto), mentre la situazione dei
Territori occupati, e soprattutto della Striscia di Gaza, continuano
a rimanere pesantissime, sia dal punto di vista economico che
sociale, sostenuto in gran parte dalle agenzie umanitarie e dalle
Ong.
Oxfam Italia, nel suo ultimo rapporto di qualche mese fa,
rilevava dati secondo i quali, ad esempio, a Gaza 8
abitanti su 10 vivono di aiuti umanitari, e sono disoccupati; le
attività economiche, nei cinque anni di blocco, si sono ridotte del
60%, con un costo di miliardi di euro per il commercio.
Il peso dell'aiuto umanitario nella
sopravvivenza della Palestina lo conferma Fadwa Baroud, responsabile
regionale di
Echo, il Dipartimento aiuti umanitari della Commissione Europea.
- Qual è il quadro
complessivo delle attività e dei progetti finanziati da Echo sia nei
Territori occupati che nella Striscia di Gaza?
«Dal 2000, la
Commissione europea ha distribuito piu di 642 milioni di euro in
aiuti umanitari per rispodnere ai bisogni primari dei palestinesi in
Cisgiordania e nella Strisca di Gaza, e per i rifugiati palestinesi
che vivono in Libano. Nel 2012, il budget totale di Echo è di 42
milioni di euro. Il 60% dei fondi è dedicato ai programmi di Gaza.
E' utilizzato per rispondere ai bisogni delle fasce piu vulnerabili
della popolazione per gli aiuti alimentari, le cure mediche, la
riabilitazione di strutture sanitarie e di accesso all’acqua, il
supporto psicosociale. Nel 2013, Echo ha destinato alla Palestina 35
milioni di euro. Questi fondi sono stati presentemente allocati a
vari progetti la cui analisi dei bisogni è in corso. I fondi
vengono distribuiti attraverso Ong, Croce Rossa, movimento della
Mezzaluna Rossa, e agenzie specializzate delle Nazioni Unite e sono
direttamente distribuiti alla popolazione più vulnerabile senza
distinzioni etniche, religiose o politiche».
- La questione
israelo-palestinese ha bisogno urgente di soluzioni politiche.
L'intervento d'emergenza allevia, per quanto è possibile, una
situazione pesante della popolazione palestinese. Ma può
l'intervento umanitario aiutare il progredire verso una soluzione
politica?
«L’obiettivo degli
interventi umanitari è di salvare vite e alleviare le sofferenze,
non di contribuire a soluzioni politiche. Non è nel nostro mandato,
né abbiamo i mezzi per farlo. Detto ciò, è nostro dovere
rispondere alle inadempienze ripsetto al Diritto umanitario
internazionale».
- L'intervento
d'emergenza è per sua natura di breve durata. In Palestina siamo di
fronte a una situazione che dura da decenni. Non c'è bisogno di
passare a strategie di intervento che mirino decisamente allo
sviluppo, con progetti che diano stabilità e prospettiva di
lunga durata?
«Noi siamo d’accordo
che in molte parti della Palestina soluzioni a lungo termine
potrebbero e dovrebbero rispondere ai bisogni della popolazione in un
modo piu appropriato e sostenibile. Perciò gli attori dello sviluppo
devono impegnarsi nel dialogo con le autorità israeliane sulle
restrizioni che impediscono all’economia palestinese di crescere.
Ad esempio, è necessario che cessi l'isolamento di Gaza e dei
Territori palestinesi per consentire uno sviluppo sostenibile.
Attualmente, una strategia di post-emergenza
è
messa
in atto laddove i progetti di Echo vengono realizzati col
finanziamento della Cooperazione allo Sviluppo e dell'Unione Europea.