La Corte costituzionale ha deciso in merito ai ricorsi di cinque Tribunali - Messina il primo nel febbraio 2016 - sulla legge elettorale che conosciamo come Italicum, modello pensato per un sistema monocamerale, in vista dell’abolizione del Senato previsto dalla riforma costituzionale che, poi, il Referendum del 4 dicembre scorso ha bocciato. La Corte costituzionale ha deciso a favore della costituzionalità del premio di maggioranza al partito votato da almeno il 40% degli elettori, dichiarando illegittimi il ballottaggio e la disposizione dell'Italicum che consentiva al capolista eletto in più collegi di scegliere a sua discrezione il proprio collegio d'elezione.
Si trattava di decidere se la legge elettorale, al momento in vigore per la Camera dei deputati, rispondesse ai requisiti di costituzionalità. Sul tavolo diverse questioni: il premio di maggioranza al partito che superi il 40%, il ballottaggio, le liste in parte bloccate, la possibilità per i capilista di candidarsi contemporaneamente in 10 collegi diversi, finendo per determinare con la scelta successiva del collegio in cui entrare effettivamente il destino dei secondi non eletti nei collegi non eletti.
Le motivazioni della sentenza saranno rese pubbliche attorno a metà febbraio, e solo allora conosceremo il ragionamento giuridico che sta alla base della decisione assunta il 25 gennaio 2017, ma possiamo già dire che, come già sostenevano i giuristi nei giorni, scorsi la legge che esce dalla Corte è pronta all’uso, suscettibile di immediata applicazione dal momento della pubblicazione della sentenza: di certo il risultato non corrisponderà all’auspicio di tutti i partiti – ciascuno ha un’idea diversa – ma garantisce l’applicabilità in caso di elezioni, cosa che non impedisce ovviamente al Parlamento di assumersi, com’è nelle sue prerogative, il compito di modificarla, anche rispondendo all’esigenza, ribadita più volte anche dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, di garantire un meccanismo elettorale sufficientemente omogeneo tra le due Camere da non pregiudicare la governabilità.
Il problema della Corte non era ovviamente risolvere il problema politico di quale legge elettorale, cosa che spetta al Parlamento, ma di valutare la costituzionalità di quella già scritta e in caso di parziale incostituzionalità di evitare di congelare il Paese in un vuoto normativo: «Bisogna distinguere il piano giuridico da quello politico – spiegava nei giorni scorsi Stefano Ceccanti, ordinario di diritto amministrativo alla Sapienza di Roma - tutte le sentenze sono autoapplicative, la Corte non può lasciare vuoti legislativi, tanto più in materia elettorale, o comunque non può lasciare vuoti che non siano sanabili con un decreto. Altrimenti si paralizzerebbe l'elezione del Parlamento». «È assolutamente pacifico», condivideva il costituzionalista Gianluigi Pellegrino, «per fermissima giurisprudenza della Consulta, che qualsiasi sua pronuncia in materia elettorale debba lasciare una legge applicabile, perché le leggi elettorali sono costituzionalmente necessarie: il Paese non può stare senza».
Spetterà ora alla politica decidere se lasciare alla Consulta la decisione definitiva, accettando così com’è la legge uscita dalla Corte o se assumersi la responsabilità di trovare in Parlamento una mediazione condivisa che tenga conto delle questioni costituzionalità sollevate per scrivere una legge nuova.
Non è la prima volta che la Consulta decide della costituzionalità di una legge elettorale, era già accaduto nel 2014, quando 8 anni dopo la sua entrata in vigore, dichiarò parzialmente incostituzionale la legge Calderoli, ribattezzata dalla stampa “porcellum”, anche a causa di un infelice ammissione del relatore medesimo che la definì “una porcata”. Proprio allo scopo di evitare l’effetto di una legge rimasta a lungo in vigore nonostante l’incostituzionalità, la riforma della Costituzione bocciata dal referendum del dicembre scorso prevedeva un controllo preventivo di costituzionalità da parte della Consulta, cosa che al momento non è prevista, dato che la Corte può decidere della costituzionalità di una legge soltanto su ricorso da parte di un giudice.