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l'analisi
 

Don Roberto Regoli: «Con Ratzinger la fine del vecchio, l'inizio del nuovo»

28/06/2021  A 70 anni dall'ordinazione sacerdotale di colui che sarebbe diventato Benedetto XVI, parla uno dei più noti ed esperti biografi del Papa emerito, autore del libro "Oltre la crisi della chiesa. Il pontificato di Benedetto XVI" (Lindau)

Don Roberto Regoli, 46 anni
Don Roberto Regoli, 46 anni

Tra i più autorevoli biografi di Benedetto XVI c’è un sacerdote romano che è anche storico, don Roberto Regoli, direttore del Dipartimento di Storia della Chiesa dell’Università Gregoriana e Direttore della rivista Archivum Historiae Pontificiae. Il suo libro Oltre la crisi della Chiesa. Il pontificato di Benedetto XVI (Edizioni Lindau) è un racconto del pontificato di papa Ratzinger nel più largo contesto della storia della Chiesa. Regoli mostra la grande figura di questo Papa-teologo che doveva affrontare molteplici crisi nella Chiesa ma anche nel mondo. È anche un tentativo di fare un bilancio del suo pontificato.

Il 18 aprile 2005, dopo uno dei più brevi conclavi della storia, è stato scelto come vescovo di Roma, il cardinale Joseph Ratzinger. Il nuovo Papa ha scelto il nome di Benedetto per richiamarsi a Benedetto XV, il papa della Prima guerra mondiale, e san Benedetto di Norcia, padre del monachesimo occidentale e patrono d’Europa. Perché proprio questi due personaggi?  

«Nel nome scelto c’è una chiara visione politica del cattolicesimo e del Papato nel mondo. L’Europa è centrale nella visione di Ratzinger, ma qui l’orizzonte papale supera i confini continentali. Il riferimento alla pace sembra inevitabile dopo l’11 settembre 2001 e in presenza di diverse zone di guerra nel 2005. In ogni caso, come disse lo stesso Ratzinger pochi giorni dopo la sua elezione, nel riferimento a papa Benedetto XV, uomo di pace al tempo della prima guerra mondiale, si vede il desiderio dello stesso Ratzinger di essere «a servizio della riconciliazione e dell'armonia tra gli uomini e i popoli», e nel riferimento a san Benedetto da Norcia, che, grazie al suo Ordine, «ha esercitato un influsso enorme nella diffusione del cristianesimo in tutto il continente», si vede «un fondamentale punto di riferimento per l'unità dell'Europa e un forte richiamo alle irrinunciabili radici cristiane della sua cultura e della sua civiltà».

Nel 2005 cominciava il pontificato dell’ex prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, uno dei più stretti e fidati collaboratori di Giovanni Paolo II. Per tanti, il suo pontificato, programmaticamente, è visto come la continuazione del pontificato di Giovanni Paolo II. Secondo Lei, che cosa nel pontificato di Benedetto XVI segna la continuazione e quali dossiers sono stati nuovi?   

«Ratzinger è stato l’anima teologica del pontificato di san Giovanni Paolo II e di fatto nella sua elezione i cardinali volevano una continuazione delle linee del pontificato precedente. Questa impostazione la si individua con facilità nei temi antropologici, nelle questioni di etica sessuale, bioetica, difesa della vita, nell’impegno ecumenico, nell’attuazione del Concilio Vaticano II e nella ricerca dell’unità della Chiesa. Ovviamente ci sono delle differenze. Come il modo di impostare il dialogo interreligioso (con Benedetto XVI più culturale e per niente teologico), una ridotta attenzione ai rapporti politici e i modi concreti di attuare l’unità (con il tentativo concreto del recupero con il mondo lefebvriano e con la costituzione degli ordinariati per gli anglocattolici)»

Joseph Ratzinger era ben preparato per occupare la Cattedra di Pietro: un grande teologo della Chiesa (probabilmente il più grande), conoscitore della Curia (per più di 25 anni ha diretto una delle più importanti Congregazioni della Curia) e delle Chiese locali (ha incontrato i vescovi da tutto il mondo durante le visite “ad limina”). Ma dall’altro lato non era un politico né amministratore (la Santa Sede fa politica internazionale, la Città del Vaticano va amministrata). Come questo ha influenzato sullo svolgimento del pontificato?     

«Indubbiamente questo è stato il lato debole del suo pontificato. Benedetto XVI non è stato un politico. Lungo le decisioni del suo pontificato non si è preoccupato di trovare il consenso e implementarlo, ma si è solo posto la domanda sul giusto, il vero e il buono, fornendo la propria risposta. Purtroppo, ciò lo ha esposto enormemente ad attacchi, senza trovare adeguati sostegni alla sua opera. Lui copriva gli altri, ma chi copriva lui?»

Benedetto XVI aveva tanti nemici, anche dentro la Chiesa. Prima di tutto la sua elezione fu ostacolata dal cosiddetto “gruppo” di San Gallo. Gli ecclesiastici di alto rango invitati dal vescovo di San Gallo in Svizzera (tra cui cardinali Martini, Silvestrini, Murphy-O’Connor e Danneels) che volevano la Chiesa “aperta” e criticavano la Chiesa durante l’ultima fase del pontificato di Giovanni Paolo II. Il loro bersaglio fu prima di tutto il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, cioè Ratzinger, perché, secondo loro, esercitava un'influenza centralizzante e conservatrice. Come se non bastasse anche nella sua patria tanti cattolici e vescovi tedeschi criticavano apertamente il Papa ("In Germania alcune persone cercano da sempre di distruggermi", ha detto il papa emerito in un libro-intervista). Come Benedetto XVI reagiva a questi attacchi e le critiche?

«Rimaneva al suo posto. Non si scomponeva. Continuava la sua politica ecclesiastica. Come abbiamo saputo dalle parole dello stesso cardinale Danneels e dalla sua biografia autorizzata, esisteva una rete di cardinali e vescovi che si riunivano per promuovere la loro agenda ecclesiale. Ratzinger non ha mai avuta una sua rete/struttura, né si è preoccupato di crearsene. Da teologo qual era aveva una chiara consapevolezza dell’opera di Dio nella Chiesa e nel mondo per cui queste dinamiche molto umane non lo interessavano particolarmente. Conosceva le critiche, era consapevole degli attacchi e la sua risposta era a livello delle argomentazioni e non di una politica di repressione. Lui voleva convincere e non imporre. Qui appare una caratteristica di Ratzinger, che è allo stesso tempo la forza e la debolezza del suo pontificato».

Il Papa che veniva spesso presentato come “conservatore” ha fatto un gesto “revoluzionario”: la rinuncia al pontificato. Mons. Georg Gänswein commentando tale rinuncia di Benedetto XVI ha detto: “Dall’elezione di Francesco il 13 marzo 2013 non vi sono due papi, ma de facto un ministero allargato – con un membro attivo e un altro membro contemplativo”. Come lei interpreta queste parole del segretario di Papa emerito?  

«L’arcivescovo Gänswein ha voluto ribadire che c’è un solo papa e allo stesso tempo ha cercato di spiegare la novità della situazione. Non venne capito e le sue parole vennero estrapolate, tagliate e comunque non citate nella loro completezza. C’è sempre chi cerca di creare confusione. In realtà Gänswein, nel ribadire l’unicità del governo papale, tentò di avviare una riflessione teologica sulla rinuncia, impiegando un linguaggio analogico sul ministero petrino «allargato», all’interno del quale rientravano – a detta dello stesso Gänswein – due biografi di Benedetto XVI, Peter Seewald e io stesso, e altri ancora. Quindi questo ministero «allargato» non sembra tanto pericoloso nel momento in cui vi rientrano anche semplici studiosi. Non tutti prestarono attenzione all’integrità del discorso. Non ci fu volontà di capire».

Il Papa teologo ha lasciato l’eredità straordinaria del suo Magistero: 16 volumi di Insegnamenti e anche tre libri su Gesù di Nazaret. Oggi si sta verificando un rinnovato interesse per gli scritti di Benedetto XVI. Perché?

«Perché rimangono attuali. Sono letti da molti giovani, non solo studenti di teologia ma anche di altre discipline. L’interesse rimane vivo perché Ratzinger-Benedetto XVI ha saputo toccare temi centrali della vita dei credenti e degli uomini in genere, impiegando un linguaggio semplice e accessibile, che sapeva andare al cuore delle questioni, senza banalizzare le domande e tantomeno le risposte. Per la sua capacità di andare al centro del Cristianesimo e di spiegarlo chiaramente, c’è chi lo considera da tempo come un nuovo “dottore della Chiesa».

Nella su biografia di Benedetto XVI lei tenta di fare un bilancio del suo pontificato (anche se Papa Ratzinger vive ancora e svolge il suo “ministero contemplativo”). Quale sono le sue conclusioni?

«Se all’inizio (2005) poteva considerarsi un Papato di transizione, soprattutto a causa dell’età dell’eletto e della probabile continuità magisteriale con Giovanni Paolo II, alla fine (2013) il giudizio non coincide con le aspettative iniziali. Si può parlare di un pontificato significativo, per alcuni «cardine» nella storia del cattolicesimo, non solo a causa della rinuncia dell’11 febbraio 2013. Si nota un primo periodo del pontificato con forti riforme. L’apice viene raggiunto nel 2009 (riforme ecumeniche, liturgiche e canonistiche). Poi non più. Di sicuro dopo il 2010 sono evidenti i rallentamenti della macchina curiale, probabilmente per rispondere agli attacchi mediatici, come pure è innegabile una certa stanchezza degli attori della Curia. Non si è trattato di un pontefice «restauratore», come alcuni temevano e altri auspicavano, ma di un consolidatore, che ha saputo anche giocare al rilancio, rischiando. Con originalità e determinazione ha affrontato il dossier degli abusi sui minori da parte del clero, senza lasciarsi sopraffare dalla critica mediatica o dalle inadempienze episcopali. Ha saputo dare orientamento all’atteggiamento ecclesiale in materia. Si può comprendere il pontificato di Benedetto XVI solo nell’ottica del riformismo ecclesiale e soprattutto papale. Non a caso il papa ha posto in essere nello stesso tempo riforme del sistema liturgico, teologico in chiave ecumenica (massimamente per quanto riguarda i rapporti con i lefebvriani e gli anglicani) e canonistico (riforme di parte del codice del 1983 e creazione degli «ordinariati personali»)».

Ma in ultimo come valutare il pontificato di Benedetto XVI?

«Appare rivelatrice la risposta di Benedetto XVI a una domanda di Peter Seewald. L’intervistatore chiedeva: «Lei è la fine del vecchio o l’inizio del nuovo?». Il papa rispose: «entrambi». Domanda e risposta azzeccate. Il suo pontificato non è incasellabile in definizioni rigide. Mi permette una aggiunta?»

Dica pure…

«Esiste una valutazione del proprio pontificato da parte dello stesso Benedetto XVI, fornita ai fedeli il 27 febbraio 2013, cioè il giorno prima della sede vacante. La sua è una lettura chiaramente teologica, ma affascinante per capire la mente del papa. È una citazione lunga, ma che vale la pena riprodurre integralmente: « È stato un tratto di cammino della Chiesa che ha avuto momenti di gioia e di luce, ma anche momenti non facili; mi sono sentito come san Pietro con gli apostoli nella barca sul lago di Galilea: il Signore ci ha donato tanti giorni di sole e di brezza leggera, giorni in cui la pesca è stata abbondante; vi sono stati anche momenti in cui le acque erano agitate e il vento contrario, come in tutta la storia della Chiesa, e il Signore sembrava dormire. Ma ho sempre saputo che in quella barca c’è il Signore e ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è Sua. E il Signore non la lascia affondare; è Lui che la conduce, certamente anche attraverso gli uomini che ha scelto, perché così ha voluto. Questa è stata ed è una certezza, che nulla può offuscare».

Oltre la crisi della chiesa. Il pontificato di Benedetto XVI

€ 29,50 € 28,02 -5% Editore: Lindau Collana: I leoni Pubblicazione: 16/05/2016 Pagine: 512 Formato: Libro in brossura ISBN: 9788867084999 La figura di Benedetto XVI è stata più volte oggetto di dibattito da parte di ampi settori del mondo cattolico e più in generale dell'opinione pubblica, sia durante il suo pontificato sia in seguito alla rinuncia all'esercizio attivo del ministero petrino (11 febbraio 2013). Rispetto all'ampia letteratura esistente sul tema, "Oltre la crisi della Chiesa", lungi dal voler essere una biografia di Joseph Ratzinger, intende offrire al lettore una prima visione d'insieme della storia del suo operato come papa e nello stesso tempo suggerisce alcune chiavi interpretative per meglio illuminare il presente e il futuro del cattolicesimo contemporaneo.

 
 
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