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venerdì 04 ottobre 2024
 
Proteggiamo le donne
 

L'appello delle associazioni femminili anti violenza per limitare i centri che ospitano uomini maltrattanti

14/09/2022  Si chiede di modificare i requisiti dei C.U.A.V. (Centri per Uomini Autori o potenziali autori di Violenza di genere) per impedire che ci sia un contatto tra le vittime e i loro aggressori anche se per motivi giudiziari

Fondazione Pangea Onlus, Associazione Nazionale Volontarie Telefono Rosa, UDI (Unione Donne in Italia), Rete antiviolenza Reama, Associazione Nosostras e UIL si occupano a vario titolo di proteggere le donne vittime di violenza. E ora formano una voce unica per inviare una richiesta ufficiale alle Ministre Bonetti e Gelmini e al Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome  per la convocazione urgente di un tavolo di revisione per modificare il documento sui requisiti minimi previsti per i C.U.A.V (Centri per Uomini Autori o potenziali autori di Violenza di genere), che verrà approvato oggi nella Conferenza Stato Regione”. 
«Quel documento» fanno sapere le associazioni che proprio ieri hanno inviato un telegramma alle ministre «verrà approvato in assenza di una reale consultazione e discussione sul documento finale non consentendo la possibilità di un vero confronto con chi da anni lavora e si spende per contrastare la violenza di genere. Sono molte perplessità e i punti critici di cui chiediamo la modifica: mancato rispetto di quanto previsto dalla Convenzione di Istanbul in termini di protezione della donna e dei minori rispetto al percorso di autonomia dal maltrattante, sbilanciamento tra Cav e C.U.A.V nell’erogazione dei finanziamenti in relazione all’impegno richiesto di tempo e al numero degli accessi effettivi avuti solo per dirne alcuni.
 
Denunciamo il rischio della mediazione familiare, fatta passare all’art. 6 come “Sicurezza della vittima” a protezione per le donne ma che in realtà lascia aperto uno spiraglio di “contatto con il partner” maltrattante che non può sussistere nei casi di violenza come richiesto dalla Convenzione di Istanbul.  Chi si occupa di sostegno alle vittime di violenza sa quanto il contatto con l’uomo maltrattante sia pericoloso. L'art. 6 infatti può essere male interpretato e si rischia che una donna, se rifiuta il contatto con il partner violento, sia considerata ostativa dalle autorità competenti in sede investigativa, giudiziaria o da assistenti sociali e settore sanitario. Una donna che con fatica decide di intraprendere un percorso di uscita dalla violenza, vuole essere accolta, creduta e protetta per poter raggiungere la sua libertà. Non deve essere forzata ad avere contatti con l’autore delle violenza che negli anni ha abusato di lei e dei figli, o con i CUAV . Conseguentemente neanche un centro antiviolenza o una casa rifugio devono essere costrette a condividere informazioni con associazioni per uomini maltrattanti se viene valutato un rischio per la donna e i suoi eventuali figli. Crediamo che lo Stato non possa essere ostativo dei percorsi di protezione  e autonomia dalla violenza delle donne e dei loro figli. Questo documento sui C.U.A.V lo è.
Non sono i C.U.A.V che si devono occupare della sicurezza delle donne e della protezione dei minori ma i Centri antiviolenza.
 
Sarebbe opportuno, invece, che questo documento definisca la responsabilità dei C.U.A.V nei confronti dei percorsi che svolgono con gli uomini maltrattanti e che ne rispondessero rispetto alla loro reale efficacia sia per numero di accessi che per i risultati raggiunti sul lungo periodo. Per questo chiediamo subito di essere convocate intorno a un tavolo di revisione dei criteri per evitare l’approvazione di un documento che minerebbe l’autonomia del percorso di uscita della violenza delle donne e il lavoro dei Centri Antiviolenza». 


 

 
 
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