Quella di Enrico Angelini è l'Italia più bella, quella che deve valere come esempio per i giovani, per i politici, per tutti coloro che hanno a cuore la sostanza morale e civile del nostro Paese.
Novant'anni, di Foligno, quando ha appreso che un luogo simbolo della resistenza, la Cascina Raticosa, sopra Foligno, era stato deturpato da qualche vandalo, anziché lamentarsi sul degrado dei nostri tempi, sulla memoria negata, sull'ingratitudine delle nuove generazioni, si è armato di solvente e raschietto, è salito sul luogo e ha cancellato l'orrenda svastica che era stata disegnata al posto della targa che commemorava i martiri della lotta antifascista.
Infine, ha deposto una rosa rossa.
Fosse per lui, probabilmente non avrebbe speso nemmeno una parola. Interpellato dai giornali, che hanno scoperto il suo gesto, ha rilasciato dichiarazioni colme di buon senso e di intelligenza: «Di cuore vi dico che mi piacerebbe incontrarli questi ragazzi, parlargli, non ho paura di loro. Vorrei spiegare che cosa è stata la mia gioventù rispetto a quella che stanno vivendo loro».
Potrebbe raccontare che «in quella cascina fra le montagne, dove si riunì la prima Brigata Garibaldi, tre miei amici furono catturati e morirono nel Lager di Mathausen. Io scampai miracolosamente al rastrellamento. Torno spesso in questi luoghi, perché mi ricordano l'infanzia. Queste cose non devono succedere».
Tornato lì, in quel luogo, Enrico Angelini ha versato qualche lacrima: «È un brutto vedere, un vecchio che piange».