È giunto alla nona edizione. Organizzato dalla diocesi di Vicenza e dalla Società San Paolo, il Festival Biblico quest’anno ha un tema di estrema attualità: “Se conoscessi il dono di Dio (Gv 4,10a). Fede e libertà secondo le Scritture”. Intende mettere a fuoco un rapporto che non è e non dev’essere conflittuale, quello tra fede e libertà appunto, e che si snoda attraverso due prospettive: una più prettamente sociopolitica, attinente alla spinosa questione della libertà religiosa; e l’altra più esistenziale e antropologica, che va a toccare con lo sguardo la vita di ognuno,laddove il dono-chiamata alla libertà è parte integrante dell’atto del credere nel Dio che si rivela donando liberamente a tutti il suo amore.
Di questo e di molto altro il Festival Biblico vorrebbe parlare a
tutti con i suoi circa 160 eventi, coinvolgendo i partecipanti in un mix
eterogeneo di linguaggi e proposte articolato nei “quattro percorsi
attraverso le Scritture”: una bussola per chi intende intraprendere
un viaggio affascinante finalizzato a conoscere meglio la Bibbia,parola
di Dio rivolta a ogni persona e grande codice culturale dell’intero
Occidente. Il programma prevede conferenze, dibattiti e meditazioni,ma
anche spettacoli, concerti,degustazioni, laboratori, mostre, spazi di
intrattenimento. Il Festival è una proposta “ecumenica”, che ha fatto
breccia nel cuore del pubblico laico,intercettandone domande e curiosità
ma sapendo accompagnare anche le esigenze di chi vuole approfondire la
propria fede.
Roberto Tommasi, diocesi di Vicenza
Ampelio Crema, Società San Paolo
Quando si parla di libertà in riferimento alla fede biblica la reazione istintiva è quella di pensare subito a una serie di divieti in campo morale: «Non fare questo, non fare quell’altro». Ma la sfida lanciata dalla Bibbia va oltre questa visione precettistica e capovolge la prospettiva. Per l’uomo, unica creatura chiamata da Dio a contribuire alla creazione, infatti, il problema non è «Che cosa devo fare? Che cosa mi è proibito fare?», ma esattamente l’opposto: «Cosa posso fare per offrire il mio contributo alla creazione?». È su questo capovolgimento che si è concentrata la riflessione del filosofo Silvano Petrosino nella sua lectio al teatro comunale di Vicenza per l’anteprima del Festival Biblico di quest’anno.
– Professore, qual è l’idea di libertà umana proposta dall’Antico e dal Nuovo Testamento?
«A differenza di ciò che si pensa di solito, nella Bibbia il concetto di libertà non è riferito subito alla morale, alla scelta cioè tra il bene e il male, ma a un valore che fa riferimento all’atto stesso della creazione. La parola “creatura”nella Bibbia è sinonimo di libertà. Creato vuol dire liberato. Questo concetto si rivela in modo sorprendente in relazione all’uomo perché vuol dire che esso non è un burattino nelle mani di un despota o della natura ma è libero nel senso che è capace, con le sue forze e la sua intelligenza, di contribuire alla creazione.Questo è il punto essenziale. Il discorso biblico sulla libertà si caratterizza nel dire all’uomo: «Coraggio, tu sei un co-creatore». Da qui il duplice invito che Dio rivolge alla creatura umana affinché coltivi e custodisca il giardino».
– Nell’Eden c’è spazio per tutti o solo per chi crea grandi cose come i pittori o i musicisti?
«Il giardino biblico coincide con una vocazione spirituale: l’uomo, ogni uomo,è posto al suo interno affinché possa dimostrare ciò di cui è capace. Ognuno di noi tutte le volte che fa del bene partecipa alla creazione, anche se si trattasse di preparare un buon piatto di pastasciutta.Il bene è collaborare alla creazione,la quale è perfetta ma non è compiuta».
– Cosa significa?
«Non è compiuta perché attende la risposta di ogni singolo uomo. Dal punto di vista filosofico, infatti, l’uomo non è creatore in sé stesso ma, in quanto creato, è reso libero e chiamato a creare cose nuove. Un esempio? Dio non è “capace” di dipingere la Gioconda perché non lo vuole fare e perché la Gioconda appartiene solo a Leonardo. Ma affinché Leonardo dipinga quel capolavoro deve essere creato capace di realizzarlo. Un papà che vede il figlio che sta tirando il rigore in campo non dice: “Lo tiro io, così faccio gol”, perché il rigore è del figlio. Così agisce Dio nei confronti dell’uomo. Questo è un punto fondamentale perché affranca il tema della libertà dalla dimensione morale, dalla cappa ossessiva del divieto, e fa emergere l’aspetto positivo».
– Nel capitolo 2 della Genesi dopo un esordio positivo, con l’invito a «coltivare e custodire», si precipita nel clima cupo del peccato originale. Questo che conseguenze ha sulla libertà?
«Il disegno originario non ha funzionato perché c’è stato il peccato da parte dell’uomo.E la conseguenza del peccato è la paura.L’uomo, reso libero, diventa schiavo della paura che è l’effetto del peccato originale. Quindi,l’uomo diventa schiavo del peccato. Attenzione:l’uomo non è schiavo rispetto a Dio ma è schiavo della sua stessa paura. Questo è il grande insegnamento di Gesù (Gv 8,31-36)che ai Giudei che gli dicono di essere liberi risponde invece che non lo sono perché schiavi del peccato. Gesù parla di una schiavitù ontologica, rispetto a sé stessi,non in riferimento a un despota esterno:è il tuo peccato, afferma, che ti rende schiavo».
– Da liberi, dunque, a prigionieri della paura. Come se ne esce, professore?
«Noi abbiamo continuamente bisogno di essere liberati dalla paura. E
questa è un’esperienza quotidiana. Ogni volta,ad esempio, che
incontriamo una persona che ci vuole bene e ci ama facciamo esperienza
di qualcuno che ci libera dalla paura. Si dice, ed è vero, che chi trova
un amico trova un tesoro perché si incontra una persona che ti aiuta a
superare la paura. In senso assoluto, questo essere liberati dalla paura
è esattamente ciò che è e ciò che fa Cristo, colui che chiama Dio
padre. La buona notizia del cristianesimo è che il giudice coincide con
il salvatore,il giudice è padre, colui che ti salva.Da qui l’invito a
non avere paura».
– La libertà così delineata nel testo biblico sembra strizzare
l’occhio all’ideologia liberale che esalta l’autonomia soggettiva. È
così o c’è differenza tra le due concezioni?
«L’ideologia liberale è astratta, pone la libertà come un dato ovvio e
scontato. Essa censura l’idea che l’uomo è invece sempre una libertà da
liberare. Ha una concezione del soggetto poco realistica: un individuo
che non ha limiti, peccati, paure, senza inconscio insomma. Se l’uomo è
un tutto pieno, perfetto,gli ostacoli, secondo quest’ideologia, possono
solo provenire dall’esterno: lo Stato, gli altri.Il liberalismo dice:
“Lasciateci fare, non dateci vincoli e vedrete che andrà tutto bene”. Il
concetto biblico di libertà è diverso perché molto più realistico ma
anche complicato,afferma che l’uomo è sì creato libero, ma attende
sempre di essere liberato dalla paura».
– Come mai parte del mondo cattolico declina il tema della libertà in
termini moralistici come se fosse solo una questione di divieti?
«È una scappatoia rispetto alla
responsabilità, quasi un’ammissione che non siamo mai all’altezza della
vocazione a cui siamo chiamati: essere uomini. C’era un comico, qualche
anno fa, che ripeteva questo tormentone: “Dimmi quello che devo fare e
io lo faccio”. Dio non ti può dire come devi dipingere la Gioconda. A
volte l’uomo di fronte all’abisso del positivo – l’invito di Dio a
contribuire alla creazione – si ritrae. Questa è la vera nozione di
peccato. Il peccato, più che il male compiuto,è il bene non fatto. Se
Leonardo non avesse dipinto la Gioconda non avremmo detto:“Che
peccato!”, nel senso di occasione mancata.È come se una parte del mondo
cattolico scegliesse la via breve: “Dimmi quello che devo fare e lo
faccio”. Ma questo è venir meno alla vocazione a cui Dio ci chiama, è un
tradimento dell’ordine della creazione. È come se l’uomo al “coltiva e
custodisci il giardino e sii libero”di Dio rispondesse “non ce la
faccio”, riducendo questo invito grandioso all’obbedienza di una legge
esterna. La libertà diviene così negativa e assume la forma del no».
Antonio Sanfrancesco
È noto che associare il nome di Dio alla nozione di “legge” può essere fuorviante e sovente lo è. Dio, infatti, dà la legge,ma non è legge. Dio è amore e libertà. La legge di Dio rivela la sua volontà, non la sua natura. È noto anche che il termine ebraico tradotto con “legge” significa anzitutto“insegnamento”. Si trattava, all’origine, di un insegnamento orale, impartito, in Israele, dai Leviti e dai sacerdoti, presso i santuari. I loro insegnamenti furono poi messi per iscritto in diverse antiche raccolte, oggi riunite nel Pentateuco. Così la legge non fu più l’insegnamento vivo dei sacerdoti, ma divenne un testo scritto commentato e spiegato dagli scribi. Comunque la legge fu ed è, per Israele, il contenuto del Patto tra Dio e il popolo: nell’antico Patto la legge è scritta «su tavole di pietra», nel nuovo su «tavole che sono cuori di carne» (2Corinzi 3,3; Geremia 31,33; Ezechiele 36,26-27).
Perché il contenuto del Patto è la legge? Perché la legge è vitale per l’uomo, sia come individuo sia come comunità. Senza legge la vita umana precipita nel caos, nel quale prevale inevitabilmente la legge del più forte, cioè l’arbitrio e la prepotenza. Il valore della legge è massimo, tanto più se si tratta della legge di Dio: non c’è civiltà, si può anche dire che non c’è umanità senza legge. D’altra parte la legge è e resta, anche come legge scritta, di Dio che, come s’è detto, non è legge, ma amore e libertà. Questo significa che la legge non può prendere il posto di Dio, che non si annulla nella sua legge, ma ne resta il Signore e proprio per questo anche l’interprete, l’ermeneuta. Occorre perciò interpretare la legge a partire da Dio, e non Dio a partire dalla legge. Qual è il contenuto della legge? È ben illustrato dal Decalogo, sia in sé con i suoi due poli fondamentali, Dio e il prossimo; sia nell’approfondimento che ne ha fatto Gesù nel Sermone sul Monte (Matteo 5,17-48). È importante ricordare che il Decalogo è introdotto da un’auto presentazione di Dio come Colui che libera, cioè che crea libertà: lo scopo della legge di Dio è aiutare l’uomo a restare libero, e non, come molti pensano, restringere o addirittura cancellare gli spazi della sua libertà. In sostanza, la legge di Dio, che Gesù ha riassunto nel doppio comandamento dell’amore (Marco 12,28-34),è quella che l’apostolo Giacomo chiama «la legge perfetta, che è la legge della libertà»(Giacomo 1,25).
In questo quadro si capisce il Salmo 119, che è un canto di felicità che scaturisce dal possesso e dalla conoscenza della legge di Dio. E la legge degli uomini? Svolge anch’essa una funzione vitale, sia a livello individuale sia sociale. Vale anche per la legge degli uomini quel che s’è detto della legge di Dio. Nessuna vita umana è possibile senza la legge. È però noto a tutti che le leggi umane possono essere giuste o inique, possono agevolare la vita oppure soffocarla, possono essere una benedizione oppure una maledizione. Possono ispirarsi e conformarsi alla legge di Dio, ma possono anche allontanarsene e contraddirla. In quest’ultimo caso, il credente seguirà la parola rivolta da Pietro e dagli altri apostoli al sinedrio di Gerusalemme: «Bisogna ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini» (Atti 5,29). Detto questo, è compito di tutti (famiglie, scuola, istituzioni) inculcare nei cittadini non solo il rispetto, ma l’amore per la legge, senza la quale la civiltà ridiventa barbarie.
Paolo Ricca
Torna anche quest’anno, all’interno
del Festival Biblico, l’incontro “Linfa
dell’ulivo”, organizzato dall’Ufficio
pellegrinaggi della diocesi di Vicenza.
Ci parla di quest’iniziativa don Raimondo
Sinibaldi, direttore dell’Ufficio diocesano
pellegrinaggi di Vicenza.
– Cosa avete ideato per questa edizione?
«La proposta che presentiamo quest’anno
all’interno di un “contenitore” che si chiama
“Linfa dell’ulivo” è quella di fornire un metodo
per capire come leggere la Bibbia, un metodo
che chiamiamo contestuale. In sintesi:
se capisco sempre di più e bene il contesto
storico, religioso, geografico, archeologico
di ciò che leggo, acquisirò ancor più elementi
utili per comprendere meglio quel testo,
altrimenti lo leggerò e lo interpreterò soltanto
con le mie categorie culturali occidentali,
che sono molto diverse da quelle semitiche.
Con il rischio, inoltre, di dare alla lettura
una prospettiva di carattere moralistico,
se si rimane sganciati dal contesto. Maggiore
conoscenza del testo vuol dire, dunque,
che la forza della Parola, messa maggiormente
in evidenza, potrà interpellare di più
la vita delle persone. Il secondo criterio
di “Linfa dell’ulivo”, strettamente legato al
metodo contestuale di lettura della Bibbia,
rappresenta proprio il motivo per cui abbiamo
invitato archeologi, esperti in linguistica
e in varie discipline legate al mondo biblico
a parlare per fornire una maggiore conoscenza
dei luoghi della Bibbia. Terzo elemento importante: il tema di quest’anno del Festival
è fede e libertà».
«Noi, da questo punto
di partenza, vogliamo affrontare il tema molto
delicato che riguarda la fede di Gesù. Perché,
di solito, si guarda a Gesù come vero Dio
e non come vero uomo. Certo, lui conosceva
tutte le cose in quanto figlio di Dio e così,
spesso, il lato umano viene quasi messo
in second’ordine. Vorremmo capire, dunque,
come si è formata ed evoluta la fede di Gesù
all’interno di questo contesto specifico.
Ne parleremo partendo dal luogo del battesimo
di Gesù, vicinissimo proprio a Qumran, per poi
passare ad altri luoghi vicini, come Masada
e porre l’accento, quindi, sugli accadimenti
della zona: la fede fondamentalista
e rivoluzionaria, cioè un messianismo
che non è proprio di Gesù, che è quello, invece,
della consolazione. Questa zona, inoltre, è a
cavallo tra Israele, la Palestina e la Giordania,
cioè del luogo del battesimo di Gesù
e dove troviamo la comunità degli Esseni.
Questa è l’idea di fondo della nostra
iniziativa di quest’anno che verrà
indagata dai nostri relatori».
– Viene anche ripresa e aggiornata
la questione relativa ai rotoli del Mar Morto.
Chi interviene? Su quali profili?
«Su quest’argomento sono previste le relazioni
di tre esperti. Il primo è Marcello Fidanzio,
dell’Istituto di cultura e archeologia delle
terre bibliche presso la facoltà di Teologia
dell’Università di Lugano, che è impegnato
nello studio della ceramica di Qumran,
importantissima per datare i rotoli stessi.
È come mettere sotto l’ascella un termometro
che ci dice qual è la nostra temperatura.
Lo studio della ceramica di Qumran ci può,
dunque, far capire meglio la datazione dei rotoli.
Simone Paganini, ordinario di teologia biblica
ad Aquisgrana, invece, evidenzia l’aspetto
del collegamento tra Giovanni Battista, Gesù
e gli Esseni. Mentre il teologo tedesco Rainer
Riesner, grande conoscitore del Mar Morto,
indaga il nesso tra ciò che è stato trovato
a Qumran e il modo di essere maestro di Gesù,
il divenire della fede di Gesù a partire
da ciò che è stato trovato a Qumran».
– Lei crede che possano esserci novità?
«Io spero che ci siano: la questione Qumran
è conosciuta, ma in questa occasione
potrebbero esserci delle nuove notizie.
La realtà è in movimento e i tre studiosi
stanno ancora operando sul campo».
Manuel Gandin
Edoardo Bennato in concerto nell’ultima
serata del Festival Biblico, sabato 8 giugno. «Perché no?
Io per mestiere faccio canzonette e se
ho qualcosa da dire qualsiasi contesto
è buono. E poi sono molto incuriosito dalla
parola “biblico”: è così densa di significati
e si presta a così tante interpretazioni che
mi interessa molto sentire in quali modi sarà
declinata». Il cantautore confessa di avere
«come tutti i napoletani un rapporto molto
particolare con la fede, che è difficile da
spiegare». E, a parte Gesù, la figura religiosa
che più lo ha affascinato è sant’Agostino: «Da
ragazzo ho letto con passione Le confessioni.
Il racconto di quest’uomo che si mette
continuamente in discussione, tormentato dai
dubbi, mi ha molto segnato». Edoardo coglie
anche l’occasione per chiarire un equivoco
che dura dal 1975, quando pubblicò il brano
Affacciati affacciati, che è stato sempre letto
come un attacco all’allora pontefice Paolo VI.
«Non mi riferivo direttamente a lui. Era
un’esortazione alla Chiesa in quanto istituzione
a non rinchiudersi, ad aprirsi di più al mondo,
a scendere nelle strade per diffondere
il messaggio evangelico. Da questo punto
di vista, papa Francesco mi è simpaticissimo:
lui non solo si affaccia, ma appena può cerca
l’abbraccio della gente e sa trovare le parole
giuste per arrivare ai cuori». Tornando
al Festival Biblico, il tema di quest’anno è
il rapporto tra fede e libertà: «Chiunque neghi
la libertà, quindi anche la libertà di professare
la propria fede, mi trova contro». Ma più
in generale, cos’è per Bennato la libertà?
«Il mio amico Giorgio Gaber diceva che
è partecipazione. Sono d’accordo, ma per
me la libertà è soprattutto un fatto mentale».
Su questo tema, ha scritto una canzone, Falsa
libertà. «È quella prodotta dai manipolatori del
pensiero che ti fanno credere di essere libero
perché puoi comprare degli oggetti». Tornano
alla mente i versi di un altro suo vecchio pezzo,
Venderò: «Ogni cosa ha il suo prezzo e nessuno
lo sa quanto costa la mia libertà». «Mi è
capitato di dover scendere a compromessi,
sarei un bugiardo a non ammetterlo», conclude
il cantautore, «ma nel complesso mi è andata
bene. Mi sento in pace con me stesso».
Eugenio Arcidiacono