Qui e in copertina momenti del convegno di Milano. Al centro: l'intervento di Gabriele Nissim.
GariwoNetwork, ovvero la rete per unire gli 80 Giardini dei Giusti in Italia e nel mondo. E per affermare un principio: si può sempre dire un sì e un no, la responsabilità individuale è un punto fermo. Questa alleanza per il bene è stata presentata a Milano nel convegno “La responsabilità nel nostro tempo”, organizzato dalla onlus Gariwo per riunire amministratori pubblici, sindaci, insegnanti, semplici cittadini che in questi anni hanno promosso il messaggio dei Giusti.
Ma chi sono i Giusti? Persone che, spinte da un’etica di responsabilità, hanno lottato contro le persecuzioni e aperto la strada del dialogo e della riconciliazione, anche in contesti storici differenti. Due città in questi anni hanno arricchito di significato il concetto: Gerusalemme, dove è stato teorizzato, e appunto Milano, da cui è partita la diffusione dei giardini in Europa e nel mondo. Spiega il presidente di Gariwo Gabriele Nissim: «L’idea di Giusto è nato con il memoriale di Yad Vashem in Israele per ricordare i non ebrei che sono andati in soccorso degli ebrei». La maggior parte non credeva di aver fatto qualcosa di eroico, ma solo il proprio dovere. Alla base della legge sui Giusti del Parlamento israeliano del 1953, c’è quanto affermato nella Bibbia: «Chi salva una vita, salva il mondo intero».
La più recente cerimonia nel Giardino dei Giusti di Milano. Da sinistra: Gabriele Nissim, il sindaco di Milano Beppe Sala e Riccardo Noury, presidente di Amnesty International Italia.
Nel 2001 nel capoluogo lombardo, Nissim, figlio di sopravvissuti alla Shoah, e Pietro Kuciukian, il cui padre era scampato al genocidio degli armeni, fondano Gariwo con l’idea di unire le memorie. Il termine non è più circoscritto all’Olocausto, ma diventa un punto di riferimento per ricordare quanti in tutti i genocidi e totalitarismi si sono prodigati per difendere la dignità umana. L’unicità della Shoah non è messa in discussione, ma, proprio in quanto apice del Male nel Novecento, illumina la lettura della storia e del presente. È stata un’operazione culturale non scontata: «Abbiamo dovuto superare – ricorda Nissim – le resistenze di chi, coltivando una visione indulgente del comunismo sovietico, rifiuta di accostare il Gulag alla soluzione finale hitleriana; quelle di chi ritiene che porre la Shoah accanto ad altri orrori novecenteschi finisca per banalizzarla; quella di chi preferisce tenere un profilo basso sul genocidio degli armeni per non compromettere i rapporti con la Turchia».
La questione di fondo posta sul tappeto da Gariwo è a cosa serva la memoria. La direttrice Ulianova Radice ha risposto nel corso del convegno: «Parlare dei Giusti permette di superare gli schemi fissi di narrazioni cristallizzate del male. Ragionare sulla possibilità umana della scelta, in ogni condizione, anche di fronte all’aberrazione estrema, aiuta a trovare spazi positivi di azione comune». È l’insegnamento raccolto nella “Carta della Responsabilità”, proposta da Gariwo nel 2017 e con il sindaco Beppe Sala come primo firmatario.
Il Giardino dei Giusti nato in Giordania.
Nel 2003 a Milano, con l’appoggio del Comune e dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, nasceva il primo “Giardino dei Giusti di tutto il mondo” al Monte Stella, costruito con le macerie della Seconda guerra mondiale. Nello stesso anno in Bosnia con Svetlana Broz veniva creato Gariwosa (Gariwo Sarajevo) per onorare chi si era opposto alla pulizia etnica nell’ex Jugoslavia. Ma la rete dei Giusti andava anche oltre i confini europei, dall’Africa del genocidio in Rwanda all’Asia della tragedia cambogiana e all’America Latina dei desaparecidos argentini. Sottolinea Radice: «L’intervento a favore dei perseguitati è il filo rosso che unisce ogni genocidio, ogni crimine contro l’Umanità. Vincere la comodità dell’indifferenza e la paura delle conseguenze è una forma di resistenza morale che non ha confini geografici o temporali, che ci accompagna nel cammino dell’esistenza come un’opportunità da cogliere».
Intanto oggi il network conta 69 Giardini in Italia e 10 nel mondo, in Giordania e a Tunisi i primi nei Paesi arabi. A Milano sono stati piantati oltre 50 alberi al Monte Stella durante cerimonie che ogni anno vedono la partecipazione sempre più attiva di scuole e cittadini, mentre gariwo.net propone i giardini virtuali per raccogliere storie sconosciute. Esperienze didattiche – dalle visite ai Giardini alla scatola gioco “I sentieri dei Giusti” e il concorso “Adotta un Giusto” – hanno coinvolto oltre 500 insegnanti di ogni ordine.
La targa del Giardino dei Giusti di Tunisi.
Nel 2012 il Parlamento europeo ha stabilito la Giornata europea in memoria dei Giusti per il 6 marzo, nella data che ricorda la scomparsa di Moshe Bejski, l’artefice del Viale dei Giusti di Gerusalemme. Dovrebbe mancare poco anche in Italia: la Camera ne ha già approvato l’istituzione e la Commissione Affari Costituzionali del Senato voterà il 6 dicembre in via definitiva l’istituzione della Giornata.
Milena Santerini, docente di Pedagogia alla Cattolica di Milano, è la prima firmataria della legge: «Qualcuno si è chiesto il senso di un’altra Giornata. Vedo un duplice compito: ritrovare i Giusti di ieri e riconoscere quelli di oggi». Molti Giusti ancora sono nascosti: «È quindi un dovere di memoria che affidiamo alle giovani generazioni: cercarli nelle pieghe della storia e riconoscerli», spiega la deputata. Ma soprattutto «occorre riconoscere i Giusti, ordinari o straordinari, che sono in mezzo a noi, per esempio tra chi salva le vite dei profughi nel Mediterraneo in un tempo in cui questo valore viene svilito fino a farlo sembrare una colpa».
I cippi commemorativi che saranno piantati a Milano a marzo 2018 commemoreranno proprio i “Giusti dell’accoglienza”: il console cinese a Vienna Ho Feng Shan, che dopo l’annessione dell’Austria al Reich fornì agli ebrei i visti per l’espatrio; il capo yazida Shero Hammo, che nel 1915 accolse nel Sinjar migliaia di fuggiaschi armeni; il pescatore Costantino Baratta di Lampedusa, che ha accolto decine di profughi e ne ha salvati diversi durante la strage del 3 ottobre 2013; l’albergatrice di Lesbo Daphne Troumpounis, che nel 2015 è stata arrestata per aver accompagnato dei profughi sbarcati in auto al traghetto per Atene e la cui protesta ha ottenuto regole più umane sull’isola per l’accoglienza dei migranti.
Insomma, con il metro di giudizio del Bene (che è contagioso quanto il Male) e della responsabilità individuale dei Giusti si può capire e interpretare il mondo. Continua Santerini, che al Consiglio d’Europa guida l’Alleanza No Hate: «Il Novecento è stato il secolo dei genocidi, ma nel XXI secolo la violenza continua in forme diverse, dalla Siria all’Ucraina, dal Sud Sudan allo Yemen. È forte la tentazione di non sapere e non vedere le immagini di morte che sfilano davanti ai nostri occhi. Con l’occhio della pietà, invece, si può tentare una comprensione più larga, universale, che rende giustizia alla vita umana». Come insegnano le biografie raccolte da Gariwo, c’è sempre un momento per dire “tocca a me” di fronte a vite dimenticate o a persone sconosciute che non significano nulla per noi. Quelli che chiamiamo Giusti ci ricordano il legame che abbiamo con loro.