di Sergio Casali
Mentre per la prima volta nella sua storia la Volkswagen chiudeva alcuni stabilimenti e il gigante dell’acciaio Thyssenkrupp licenziava migliaia di dipendenti, poche settimane fa la Süddeutsche Zeitung, uno dei principali quotidiani tedeschi, usciva con un titolo di grande impatto: «La paura della povertà è diventata socialmente esplosiva».
Perché la Germania, storicamente la “locomotiva d’Europa”, prima economia europea per dimensioni del PIL è oggi l’unico tra i paesi avanzati a trovarsi ad affrontare una recessione, e questa non è solo la causa dei sommovimenti politici che scuotono il Paese, ma anche la ragione di scosse sotterranee che attraversano la società tedesca e fanno emergere fantasmi antichi. I tedeschi la chiamano Abstiegsängste, “paura del declino”, una paura che solo in parte si aggancia ai dati reali, ma soprattutto riguarda qualcosa di più profondo e inconscio.
Ed è forse a questa paura che bisogna guardare, se si vogliono interpretare le ragioni dello spazio che sta trovando l’estrema destra nelle preferenze politiche dei tedeschi.
Il tema è stato affrontato da Felicitas Hillmann - sociologa che si occupa principalmente di migrazione e integrazione presso l’Istituto di pianificazione urbana e regionale della Technische Universität di Berlino – durante l’incontro di dialogo italo-tedesco “Vivere da esclusi” organizzato dal Goethe Institut a Genova il 19 novembre nell’ambito del ciclo “Sguardi condivisi”.
Nonostante la Germania sia uno dei Paesi più ricchi del mondo, quasi 18 milioni di cittadini tedeschi (il 21% della popolazione) sono poveri o sono in procinto di diventarlo. Rischiano una vita di insicurezza ed esclusione sociale soprattutto i bambini, i pensionati, i genitori single e le persone con una storia di migrazione: nel 2023 oltre il 22% dei migranti era a rischio povertà.
«In una società in crisi e attraversata da pesanti diseguaglianze, però – spiega Hillmann – non c’è solo il lato materiale della povertà, ma anche quello emotivo e soggettivo: le persone temono di non poter più partecipare alla vita sociale, di non avere i mezzi, di dover dipendere sempre di più dallo Stato. È questo che ha portato ad una diffusione dell’estrema destra».
La paura del declino si misura in due dimensioni, spiega ancora la sociologa: «in primo luogo, come paura di perdere il lavoro, paura di un declino personale immediato, poi come timore di un declino a medio o lungo termine, preoccupazione per la propria situazione finanziaria futura, timore che la pensione non sia sufficiente a vivere dignitosamente».
La società tedesca è attraversata da grandi contraddizioni: da un lato, un grandissimo fabbisogno di forza lavoro, dall’altro, la disoccupazione in crescita nei settori tradizionalmente trainanti dell’economia tedesca. «Queste ambiguità vanno spiegate – afferma Hillmann – anche aiutando le persone a non demonizzare i migranti, a creare società inclusive, che non isolino nessuno. L’unico antidoto alla paura è parlare con gli altri, dialogare, per non rimanere soltanto nella bolla in cui noi siamo abituati a vivere».
Ed è proprio a questo antidoto che si aggancia anche Mario Marazziti, storico esponente della Comunità di Sant’Egidio, che non fatica a trovare nella condizione dei più fragili in Germania analogie molto strette con la situazione italiana “anche se con qualche anno di ritardo”. «Il fatto però – spiega – è che ciò che spaventa non è tanto il problema reale, per esempio gli immigrati, ma la paura di perdere il proprio status: è questo che permette ai populismi di avanzare».
Quello che serve, allora è una “contro narrazione”: «Occorre dire semplicemente la verità e cioè che la paura si combatte solo integrando e che, laddove la società si fa accogliente, non solo non perde l’identità, ma al contrario ritrova le radici, e si riappropria della grande storia europea. Bisogna costruire comunità, perché è nella solitudine che fermenta la paura e ci sono paure che restringono lo spazio della democrazia».