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lunedì 04 novembre 2024
 
La nostra intervista
 

La storia vera che ha ispirato la fiction "Buongiorno, mamma!"

17/03/2023  Riproponiamo l'intervista a Nazzareno Moroni, l'uomo di Avezzano che ha assistito per trenta anni la moglie in coma crescendo le loro cinque figlie. A sostenerlo una grande fede. Stasera l'ultima puntata su Canale 5, dove a interpretare l'uomo è Roul Bova e la moglie Maria Chiara Giannetta

Angela Moroni con le cinque figlie poco prima di entrare in coma
Angela Moroni con le cinque figlie poco prima di entrare in coma

Ci sono storie così esemplari che sembrano quasi il copione di un flm: come quella di Nazzareno Moroni, che ha cresciuto le cinque figlie da solo dopo che la moglie Angela, a causa di un arresto cardiaco, è entrata in uno stato neurovegetativo, e lui l’ha accudita in casa per trent’anni. Una storia che ha ispirato il personaggio di Guido, interpretato da Raoul Bova, nella serie tv Buongiorno, mamma!, do cui stasera su Canale 5 va in onda  l’ultima puntata della seconda stagione. Nella  fiction la moglie è interpretata da Maria Chiara Giannetta. Nazzareno Moroni continua a vivere ad Avezzano (L’Aquila) dove è nato, in una casa vuota da quando la moglie è morta il 29 marzo 2017 e le cinque figlie sono andate a vivere altrove, seguendo la loro strada. «Quando i produttori della Lux Vide sono venuti a parlarmi del progetto», ci racconta Nazzareno Moroni, «io ho pensato che una fiction poteva trasmettere un messaggio positivo su che cosa dev’essere un legame d’amore e un matrimonio. Non mi considero un eroe, sono un uomo semplice, la mia è una storia di dedizione alla famiglia, mentre purtroppo vedo tanti casi in cui le famiglie si sfaldano di fronte alla difficoltà e alla malattia». Facciamo un passo indietro, a quando Nazzareno e Angela si conoscono. Sono coetanei, nata il 25 aprile 1952 lei, il 29 aprile lui. Già dall’infanzia vivevano vicini, ma è solo al liceo che cominciano a frequentarsi; in comune hanno la fede e la partecipazione alle attività della chiesa. Dieci anni di fidanzamento e poi il matrimonio nel 1978 celebrato dal vescovo. «Facevamo parte del movimento neocatecumenale, l’idea era quella di accogliere la vita in ogni sua forma e tutti i gli che Dio avrebbe voluto per noi. Io lavoravo e lei faceva la mamma, e insieme seguivamo i corsi prematrimoniali, il catechismo. Sono arrivate le nostre cinque bambine, Clara, Benedetta, Stefania, Noemi ed Elisabetta. La più grande aveva 9 anni, la più piccola 15 mesi quando è cambiato tutto. Era il 23 gennaio 1988. Da un paio di giorni Angela non si sentiva bene. Quel giorno era rimasta a letto e si era alzata solo per pranzare con noi. Aveva la più piccola in braccio quando ha avuto un mancamento e ha perso conoscenza. All’ospedale si sono accorti che aveva avuto un arresto cardiaco per una carenza di potassio, che aveva causato danni irreversibili al cervello. Una fatalità del tutto imprevista, perché Angela era una donna sana e forte. Non si è più risvegliata e, dopo qualche mese in cui è rimasta ricoverata in diverse strutture, l’ho portata a casa». Angela ha vissuto così per 29 anni senza più riprendere conoscenza: respirava autonomamente, veniva nutrita da un sondino nasogastrico, due volte al giorno messa a sedere, portata fuori in balcone nelle giornate di sole, circondata di attenzioni, musica: 29 anni in cui è stata una presenza silente ma tangibile, per Nazzareno e le sue figlie. «Io sono sempre stato convinto che dentro a quel corpo immobile ci fosse ancora l’anima di Angela. Sentivo che percepiva l’amore intorno a lei. In tante situazioni in cui le ho chiesto aiuto, lei me lo ha fatto arrivare, me ne accorgevo dai minimi movimenti del viso. La vita non dipende solo da cervello, non siamo corpi  alimentati da una pila, c’è altro. E rifiuto l’idea di chi vuole porre  fine alla vita di persone in questo stato: non c’è nessuna spina da staccare, l’unica soluzione è quella di non alimentarle più e lasciarle morire di fame. E invece lei si è spenta da sola, dopo 29 anni. Io ringrazio Dio per la mia vita e rifarei tutto da capo». Se nei primi tempi per gestire la moglie e le cinque bambine ha dovuto ricorrere all’aiuto di amici e parenti, pian piano questa straordinaria famiglia si è resa autonoma, perché le figlie, crescendo, si occupavano loro della madre. «Sono cresciute bene e hanno trovato tutte la loro strada. Hanno fatto studi universitari, inseguono i loro sogni, hanno le loro famiglie allietate da tanti bambini. Ho in tutto 11 nipoti, e la figlia che non riusciva ad averne di suoi ha adottato una bambina con la sindrome di down e ora sta facendo le pratiche per accogliere un altro bambino disabile. Sono fiero di lei, credo sia il frutto delle scelte che ho fatto. Io sono in pensione, ma continuo a collaborare con la Curia vescovile. E quindici anni fa sono stato ordinato diacono. Vivo solo, è vero, ma nel mio spazio di silenzio ci sto bene: a chi lo sa ascoltare il silenzio parla». 

 
 
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