Alda Merini con il marito e le prime due figlie, Emanuela e Flavia
Se davvero è labile il confine tra i poeti e i folli, chi forse lo ha varcato più di tutti è Alda Merini, la cui vita tra genio e malattia è ricostruita nel film Folle d'amore di Roberto Faenza in onda stasera su Rai Uno. La chiave di lettura di una vita travagliata e intensa il regista l’ha trovata nel libro di Enza Alfano Perchè ti ho perduto (Perrone) che immagina la poetessa legata sentimentalmente al ricordo del suo primo amore, il poeta Giorgio Manganelli che incontrò quando era un’adolescente, la apprezzò come poetessa in erba e poi se innamorò anche se era già sposato. Un legame che fu poi interrotto dall’uomo per non compromettere il suo matrimonio. E forse fu anche quell’abbandono a condizionare le scelte future di Alda, che si sposò un operaio, un uomo semplice che non riuscì a comprendere i turbamenti della moglie, i suoi cambi di umore, la sua estrema sensibilità, e che quando una notte fu accolto dalla moglie con una scena isterica cercando di colpirlo con un ombrello la fece internare in manicomio.
Alda Merini era nata il 21 marzo 1931 a Milano. Suo padre Nemo era il primogenito degli otto figli di un conte comasco diseredato per aver sposato una contadina. Faceva l’impiegato ma amava la lettura e la musica. La madre, Emilia Pianelli, era una donna semplice che faceva la casalinga. Alda amava studiare e già si dilettava a scrivere poesie e dopo essere stata costretta dai genitori a fare l’avviamento professionale tentò lo stesso l’esame di ammissione al ginnasio, ma venne bocciata a causa di un tema di italiano ritenuto insufficiente. Sin dall’infanzia rivelò un carattere malinconico, mutevole, con cristi mistiche, che la madre non comprendeva e puniva. La sua insegnante di lettere però capì che quella ragazzina aveva talento e la presentò ad Angelo Romanò che, a sua volta, la mise in contatto con Giacinto Spagnoletti. Quando, ormai quindicenne, tornò a casa con una recensione di una sua poesia scritta da Spagnoletti e la mostrò al padre che l’aveva sempre incoraggiata a coltivare la lettura e le aveva preso anche un pianoforte, ricevette un’altra grande delusione: il padre stracciò la recensione dicendole “La poesia non dà il pane”. La prima vera e propria crisi nervosa arrivò nel 1947, e Alda venne ricoverata nella clinica psichiatrica di Villa Turro. Gli amici poeti la indirizzarono a Cesare Musatti, uno dei primi a praticare in Italia la psicanalisi, ma il colloquio con il luminare fu per lei deludente. Due anni dopo il matrimonio con Ettore Carniti nasce la prima figlia, Emanuela, che fu battezzata da David Maria Turoldo, anch’egli poeta e suo amico fino alla morte di lui nel 1992. Nacque la figlia Flavia, uscirono diverse raccolte di poesie; poi l’internamento nel manicomio Gaetano Pini e il lungo buio. Le condizioni dei manicomi erano terribili, una delle cure più praticate era l’elettroshock: in anni 14 anni di ricovero, alternati da brevi periodi in cui rientrava a casa (e rimanendo incinta altre due volte, ma alla fine tutte e quattro le figlie furono affidate ad altre famiglie) Alda Merini subì 47 elettroshock. Uno psichiatra illuminato, il dottor Enzo Gabrici capì che più di ogni altra cosa a salvarla dalla follia poteva essere la poesia, e le regalò una penna invitandola a riprendere a scrivere. Con la chiusura dei manicomi Alda Merini rientrò a casa e riprese a comporre poesie. Dopo la morte del marito nel 1984 iniziò una relazione, prima solo telefonica, con il medico e poeta. Michele Pierri, molto più anziano di lei, e padre di tredici figli. Diventata sua moglie, con lui lasciò Milano per andare a vivere a Taranto. Una nuova ricaduta la costrinse a un altro ricovero nel reparto di psichiatria. Alla morte del marito tornò a Milano e si inserò sempre di più nel tessuto culturale cittadino, stringendo sodalizi con diversi artisti, comparendo in trasmissioni televisive, recitando e anche cantando le sue poesie a teatro. Divenne una figura molto popolare, sia come poetessa sia come autrice di aforismi. Tra le sue tante raccolte Terra santa, Superba è la notte, Ballate non pagate. Molto bello il legame con Alberto Casiraghi, l'editore delle Edizioni Pulcinoelefante nonché grande amico della poetessa, che pubblicò molti aforismi in piccoli libricini numerati. Nel 1986 la Merini scrisse il suo primo libro in prosa L'altra verità. Diario di una diversa. Nel 2004 le sue parole diventarono musica, cantate da Milva nell'album Milva canta Merini.
Fu proposta nel 1996 per il premio Nobel per la Letteratura dall'Académie française. Merini ha vinto numerosi riconoscimenti tra cui il Viareggio, il Procida-Elsa Morante, il Librex-Guggenheim Eugenio Montale per la Poesia e, nel 1999, il premio della Presidenza del Consiglio dei ministri per la Poesia Morì il 1º novembre 2009, all'età di 78 anni, per un tumore osseo all'Ospedale San Paolo di Milano,I funerali di Stato furonoi celebrati nel pomeriggio del 4 novembre nel Duomo di Milano, dopodiché fu tumulata nel Cimitero Monumentale di Milano, nella Cripta del Famedio dei milanesi illustri. La sua casa sui Navigli due anni fa è diventata un museo. Una delle sue biografie più belle è quella scritta dalla poetessa e romanziera Maria Grazia Calandrone, Una creatura fatta per la gioia (Solferino)
Una sua poesia
Sono nata il ventuno a primavera
Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
Così Proserpina lieve
vede piovere sulle erbe,
sui grossi frumenti gentili
e piange sempre la sera.
Forse è la sua preghiera.
(da “Vuoto d’amore”)