In queste prime settimane dopo la rottura della coppia di Fedez e Chiara Ferragni, sta facendo notizia la scomparsa improvvisa della presenza dei loro due figli all’interno delle stories presenti sui profili social dei due ex (almeno per ora) coniugi. Leone e Vittoria erano personaggi fissi  – a volte addirittura prevalenti – all’interno della narrazione autobiografica dei due imprenditori digitali, nonché artisti, nonché influencers. La loro presenza sin dai primi giorni di vita dei due bambini è stata costante ed ha contribuito certamente ad  aumentare l’affezione ai due personaggi ma anche l’engagement dei loro followers. Chi si muove nel web, sa che al pari di quelle con gattini e cagnolini, le stories che hanno per protagonisti i bambini sono quelle più amate, seguite, condivise e commentate. E va anche detto che i due bambini, la simpatia dei followers se la meritavano tutta. Simpatici, bellissimi, sempre sorridenti, ingenui e naif quel tanto che basta, ci avevano quasi convinto che la vita della famiglia Ferragnez fosse al di sopra di ogni fragilità e rischio di rottura. E invece…. Ciò che appare evidentemente non corrisponde a ciò che è. Però, forse la scomparsa dei volti di Leone e Vittoria dai profili dei loro celeberrimi genitori, potrebbe essere una inaspettata cosa buona che questa crisi coniugale ha prodotto.

Come adulti non dovremmo mai dimenticare che l’identità e l‘immagine dei nostri figli è la cosa più intima e privata che essi possiedono. Loro dipendono da noi in tutto e per tutto, ma giustappunto non possono diventare “richiami” e sorgente di “engagement” per i nostri obiettivi social. Non possiamo generare un “sentiment positivo” verso di noi, sfruttando la simpatia che i bambini portano con se. Uso volutamente parole che sono al di fuori del vocabolario corrente della maggioranza di noi, perché questi termini sono quelli usati nel mondo degli influencers spesso occupati e preoccupati di capire quali ingredienti delle loro stories comportano un aumento progressivo – se non esponenziale – del numero dei followers. Così, chi non ha figli sa che raccontarsi in compagnia dei propri animali domestici procura sempre qualche vantaggio. Mentre chi cresce bambini, a volte cede alla tentazione di coinvolgerli nella narrazione di sé, per attrarre attenzione e simpatia.

Da una parte, è bello vedere famiglie che si raccontano anche attraverso i momenti di quotidianità e intimità familiare. Ci dà un senso di tenerezza e famiglia e ci permette di comprendere che la vita ha un sapore migliore e un altro gradiente emotivo se hai al tuo fianco dei figli. Di questi tempi, in cui la denatalità rappresenta un problema reale per il nostro paese, vedere famiglie che sanno “reggere” la sfida di crescere dei figli potrebbe rappresentare un elemento da non trascurare sul piano sia sociologico che psicologico. Il problema però emerge quando attraverso i figli si attuano operazioni commerciali, dirette o indirette. Comincia allora la saga dell’unboxing (aprire pacchi dono con prodotti ricevuti da aziende che ti fanno doni per i tuoi figli), oppure chiedere ai bambini di posare in specifici contesti (parchi gioco, ristoranti, spettacoli teatrali) in cui si viene invitati con la richiesta di darne testimonianza ai followers. In questo caso i bambini diventano al tempo stesso oggetto e soggetto delle narrazioni, senza nemmeno comprendere cosa stia realmente accadendo. Infine ci sono le sponsorizzazioni vere e proprie: ovvero ricevere denaro per pubblicizzare prodotti attraverso video e foto che coinvolgono anche i minori. Questa è una pratica più diffusa di quel che si pensi, in cui i minori si trovano coinvolti in contesti lavorativi senza alcuna tutela.

Al di là di sponsor e ricerca di followers, tutti noi abbiamo di tanto in tanto sentito la pulsione o l’urgenza di postare foto di famiglia in cui sono presenti anche i nostri figli. Lo facciamo perché ci piace dare testimonianza di chi siamo, di come è composta la nostra famiglia, di quanto belli sono i nostri figli. È un’operazione apparentemente innocua, ma che nasconde più di un effetto collaterale. Gli stessi bambini buttati nell’arena online, tra qualche anno saranno preadolescenti che dovranno fare un uso parco e regolato della propria immagine all’interno dei social. Noi genitori saremo quelli che dovranno dare le regole. Ma se per anni abbiamo postato le loro immagini in modo sregolato, la nostra credibilità e coerenza educativa sarà di scarsa ispirazione per le scelte dei nostri figli. Inoltre, accade spesso alla scuola secondaria di primo o secondo grado, che qualche compagno di classe vada a cercare le foto dei suoi amici sui profili dei genitori. così, improvvisamente vengono condivise nelle chat di classe, immagini di bambini in costume da bagno, oppure nudi dentro alla vasca o ancora vestiti con improbabili costumi di Carnevale. Improvvisamente un 13enne che sta cercando di conquistarsi una reputazione nel proprio gruppo di appartenenza, si scopre messo alla berlina attraverso foto di cui non ha mai autorizzato la pubblicazione, che quando sono state scattate generavano affetto e tenerezza, ma che dieci anni dopo possono ispirare ben altre emozioni e sentimenti ai diretti interessati.

Insomma, fare “sharenting” (termine inglese che significa condividere foto della propria famiglia all’interno dei propri profili social) è un’arma che spesso si rivela a doppio taglio. E sembra che gli stessi Ferragnez abilissimi imprenditori della propria immagine digitale, se ne stiano rendendo conto in questa fase di crisi della loro relazione amorosa.  Il loro cambio di rotta potrebbe rappresentare per tutti noi, genitori del terzo millennio, un monito e un esempio al tempo stesso.