Gesù non risorge per vendicarsi di chi lo aveva ucciso, rinnegato, tradito. Papa Leone, nella catechesi del mercoledì, incentrata sul tema «La risurrezione. “Pace a voi!”».
Si tratta del «centro della nostra fede e il cuore della nostra speranza si trovano ben radicati nella risurrezione di Cristo». Un mistero sorprendente non solo «perché un uomo – il Figlio di Dio – è risorto dai morti, ma anche per il modo in cui ha scelto di farlo. Infatti la risurrezione di Gesù non è un trionfo roboante, non è una vendetta o una rivalsa contro i suoi nemici. È la testimonianza meravigliosa di come l’amore sia capace di rialzarsi dopo una grande sconfitta per proseguire il suo inarrestabile cammino. Quando noi ci rialziamo dopo un trauma causato da altri, spesso la prima reazione è la rabbia, il desiderio di far pagare a qualcuno ciò che abbiamo subito. Il Risorto non reagisce in questo modo».
Gesù, sottolinea il Pontefice, «non si prende nessuna rivincita. Non torna con gesti di potenza, ma con mitezza manifesta la gioia di un amore più grande di ogni ferita e più forte di ogni tradimento. Il Risorto non sente alcun bisogno di ribadire o affermare la propria superiorità. Egli appare ai suoi amici – i discepoli – e lo fa con estrema discrezione, senza forzare i tempi della loro capacità di accoglienza. Il suo unico desiderio è quello di tornare a essere in comunione con loro, aiutandoli a superare il senso di colpa». I suoi amici sono chiusi nella paura, ma Lui entra nella stanza chiusa «portando un dono che nessuno avrebbe osato sperare: la pace. Il suo saluto è semplice, quasi ordinario: “Pace a voi!”». Un saluto «accompagnato da un gesto talmente bello da risultare quasi sconveniente: Gesù mostra ai discepoli le mani e il fianco con i segni della passione. Perché esibire le ferite proprio davanti a chi, in quelle ore drammatiche, lo ha rinnegato e abbandonato? Perché non nascondere quei segni di dolore ed evitare di riaprire la ferita della vergogna?», si chiede il Papa. E spiega che «il motivo è profondo: Gesù è ormai pienamente riconciliato con tutto ciò che ha sofferto. Non c’è ombra di rancore. Le ferite non servono a rimproverare, ma a confermare un amore più forte di ogni infedeltà. Sono la prova che, proprio nel momento del nostro venir meno, Dio non si è tirato indietro. Non ha rinunciato a noi».
Gesù si mostra «nudo e disarmato. Non pretende, non ricatta. Il suo è un amore che non umilia; è la pace di chi ha sofferto per amore e ora può finalmente affermare che ne è valsa la pena». Noi, invece, ricorda Leone, per orgoglio o per paura di apparire deboli, nascondiamo le ferite. «Diciamo “non importa”, “è tutto passato”, ma non siamo davvero in pace con i tradimenti da cui siamo stati feriti. A volte preferiamo nascondere la nostra fatica di perdonare per non apparire vulnerabili e per non rischiare di soffrire ancora». Il Signore, invece, si comporta diversamente: «Offre le sue piaghe come garanzia di perdono. E mostra che la Risurrezione non è la cancellazione del passato, ma la sua trasfigurazione in una speranza di misericordia». E il suo saluto - «Pace a voi!» - diventa anche un mandato per gli apostoli: «Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi». Così, spiega Leone, Gesù «affida agli apostoli un compito che non è tanto un potere, quanto una responsabilità: essere nel mondo strumenti di riconciliazione. Come se dicesse: “Chi potrà annunciare il volto misericordioso del Padre, se non voi, che avete sperimentato il fallimento e il perdono?”». E soffia su di loro donando lo Spirito Santo, «lo stesso Spirito che lo ha sostenuto nell’obbedienza al Padre e nell’amore fino alla croce. Da quel momento, gli apostoli non potranno più tacere ciò che hanno visto e udito: che Dio perdona, rialza, ridona fiducia. Questo è il cuore della missione della Chiesa: non amministrare un potere sugli altri, ma comunicare la gioia di chi è stato amato proprio quando non lo meritava. È la forza che ha fatto nascere e crescere la comunità cristiana: uomini e donne che hanno scoperto la bellezza di tornare alla vita per poterla donare agli altri».
E così anche «noi siamo inviati. Anche a noi il Signore mostra le sue ferite e dice: Pace a voi. Non abbiate paura di mostrare le vostre ferite risanate dalla misericordia. Non temete di farvi prossimi a chi è chiuso nella paura o nel senso di colpa. Che il soffio dello Spirito renda anche noi testimoni di questa pace e di questo amore più forte di ogni sconfitta».
E di pace parla anche nei saluti finali ricordando soprattutto la situaizone del Madagascar, dove scontri armati tra le forze dell'ordine e giovani manifestanti hanno provocato la morte di alcuni di loro e centinaia di feriti. «Preghiamo», dice Leone, «affinché si eviti sempre ogni forma di violenza e si favorisca la costante ricerca dell'armonia sociale attraverso la promozione della giustizia e del bene comune».