Quattro milioni e 140 mila si impegnano in associazioni, mentre 3 milioni operano come volontari non organizzati. Varianti molto importanti sono il grado di istruzione, la situazione economica e il luogo in cui si vive.
Lo dice l’indagine “Attività gratuite a beneficio di altri” con cui Istat, CSVnet e Fondazione Volontariato e Partecipazione fotografano il volontariato italiano, utilizzando gli standard suggeriti dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Oil). Proviamo ad entrare nel dettaglio.
Tabella: In quale settore attività di volontariato
A livello geografico, il lavoro volontario è più diffuso al Nord, specialmente nel Nord-est (16%), mentre al Sud ci sono livelli di partecipazione decisamente più bassi (8,6%). Tra le regioni, il record è in Trentino (21,6%), mentre in Campania il tasso scende al 7,9%.
Quanto al genere, gli uomini risultano più attivi rispetto alle donne (13,3% contro l’11,9%); il divario è dovuto unicamente a una più forte presenza dei maschi tra le attività organizzate, mentre il tasso di volontariato individuale è pressoché identico. Tuttavia, quando si impegnano, le donne spendono più tempo, con una media di 19,2 ore al mese contro 18,8.
Tabella: Da quanto tempo volontariato
Il volontario italiano appartiene più facilmente alla classe d’età 55-64 anni, mentre giovani e anziani si mantengono sotto la media nazionale. Altri fattori di crescita della percentuale di chi presta aiuto: l’agiatezza economica (23,4% dei componenti contro il 9,7% delle famiglie più in difficoltà), l’avere un lavoro e il titolo di studio (il 22,1% di chi ha conseguito una laurea ha avuto esperienze di volontariato, contro il 6,1% di quanti hanno la sola licenza elementare).
Un volontario su 6 s’impegna in più gruppi; comunque gli ambiti della mappa del “fare del bene” italiano sono diversificati, soprattutto di quello organizzato. Questi i settori più gettonati: organizzazioni con finalità religiose (23,2%), ricreative e culturali (16,4%), assistenza sociale e protezione civile (14,2%), attività sportive (8,9%), ambiente (3,4%), istruzione e ricerca (3,1%).
Per le realtà religiose, che comunque sono sempre il luogo più diffuso in tutta Italia in cui donare del tempo, i valori più alti si registrano al Sud, tra i giovani sotto i 24 anni e gli anziani.
Tabella: Titolo istruzione
E le motivazioni? Il 62,1% crede “nella causa sostenuta dal gruppo”, il 49,7% è spinto dall’impegno a far fronte a bisogni non soddisfatti di altri o dell’ambiente, 1 su 3 (soprattutto giovani) vuole socializzare e conoscere amici, mentre il 25,8% (particolarmente donne, anziane, casalinghe e residenti al Sud) è guidato da ideali religiosi.
«Tendenzialmente», spiegano i ricercatori, «chi inizia a fare volontariato organizzato, continua nel tempo: il 76,9% si dedica alla stessa attività da tre anni o più e il 37,7% addirittura da oltre dieci. Per contro, la metà di quanti si impegnano in attività individuali lo fa da meno di due anni». Donare ad altri fa bene anche a chi aiuta: il 51,6% di chi fa volontariato dichiara di aver allargato la rete dei rapporti sociali, il 51,3% di aver sviluppato una coscienza civica e politica e il 49,6% di sentirsi meglio con se stesso.
Tabella: motivazioni
Inoltre, vivere l’impegno solidale favorisce uno sguardo positivo verso la società. I volontari sono molto più positivi verso gli altri: ben il 35,6% ha fiducia della maggior parte delle persone contro solo il 20,9% di tutta la popolazione italiana; nei volontari è maggiore anche il senso di fiducia verso le istituzioni (24,46% contro 20,8%), la soddisfazione sulla propria vita (46,8% rispetto al 35%) e l’ottimismo verso il futuro (30,3% contro il 24%). Insomma, spendersi per gli altri favorisce il senso di comunità e la coesione sociale. «Questa convinzione», commenta Stefano Tabò, presidente di CSVnet, «deve condizionare la riforma del Terzo Settore, a ragione dei benefici, diretti e non, generati dal volontariato come antidoto all’apatia civica e politica».
Tabella: Benefici