Un attore chiave del
welfare si trova per la prima volta ad affrontare la crisi dopo
decenni di crescita ininterrotta. I dati del 9° Censimento Istat
dell'industria, dei servizi e delle istituzioni non profit rilevano
come il numero delle imprese sociali in forma cooperativa sia
cresciuto del 100% nel decennio 2001-2011 raggiungendo la cifra di
11.264 unità, a cui si aggiungono le 600 imprese sociali “di nuova
generazione” cresciute del 63% nell’ultimo triennio
(Unioncamere).
Altri dati però
indicano un rallentamento della crescita, ad esempio per quanto
riguarda la creazione di posti di lavoro. Sono infatti 408.370 i
dipendenti delle imprese sociali (3,6% del totale), ma sempre per
Unioncamere il saldo 2012 tra nuovi ingressi e uscite è negativo
(-0,6). Un risultato comunque migliore dell’occupazione nazionale
(-1,1%) ma che poco consola perché si tratta di imprese che della
creazione di posti di lavoro, anche per persone in difficoltà, fanno
la loro missione.
Il 12 e 13 settembre,
500 imprenditori sociali si sono ritrovati all’undicesimo Workshop
sull’impresa sociale, dal titolo “Il valore delle relazioni,
coinvolgere per innovare”, per riflettere su questi dati e su
quello che alcuni operatori del settore hanno provocatoriamente
chiamato “annus horribilis”: 15 sessioni di lavoro tra buone
prassi, masterclass e panel, 40 esperienze innovative selezionate in
tutta Italia, 80 relatori e quasi 20 ore di discussione.
«Non è una crisi
strutturale»,
ha spiegato Carlo Borzaga, presidente di Iris Network (Istituti di
ricerca sull’impresa sociale) e animatore dell’evento di Riva del
Garda, «a
patto che si attivino al più presto strumenti mirati. Risorse già
disponibili, come i fondi strutturali europei, da impiegare avendo
come priorità di investimento l’impresa sociale. Non servono
misure tampone, ma la semplice attuazione di quanto previsto,
soprattutto in sede Comunitaria, liberando così un potenziale ancora
inespresso di sviluppo economico, sociale e occupazionale».
Il modello "ad alto contenuto di relazioni" funziona
Il presidente di Iris
Network ha ricordato due importanti novità che l’impresa sociale
ha introdotto nel sistema istituzionale: «Innanzitutto ha dimostrato
che i servizi di interesse generale (sociali, educativi, culturali,
sanitari) non necessariamente devono essere “erogati” da enti
pubblici o assimilati - cioè definiti nella quantità e nella
qualità solo in base alle risorse disponibili - ma possono essere
“prodotti” in forma imprenditoriale, cioè a partire dai bisogni
e cercando di reperire le risorse necessarie. La seconda innovazione
è costituita dalla radicale modifica – peraltro ancora da
metabolizzare - nel modo di concepire l’impresa e il suo ruolo
economico e sociale: da organizzazione con l’esclusiva finalità di
garantire ai proprietari il massimo profitto (o più semplicemente
con finalità speculativa, come sostiene il nostro codice civile) a
meccanismo di coordinamento di risorse umane e materiali che può
perseguire, oltre al profitto, anche, soprattutto o soltanto finalità
di carattere sociale, con il solo vincolo di sopravvivenza, cioè di
pareggio di bilancio».
Secondo Borzaga, «il
modello dell’impresa sociale come impresa ad “alto contenuto di
relazioni”, in parte istituzionalizzato nelle forme proprietarie e
di governante, è un modello che funziona. La vera sfida dell'impresa
sociale sarà creare una multi-stakeholdership, con al centro gli
utenti coproduttori». Questa parola,
l’ennesima in inglese, da vent’anni è un “mantra” del
dibattito e indica la capacità di coinvolgere nei processi
produttivi e nel governo dell’impresa una pluralità di soggetti,
come i prestatori d’opera (lavoratori e volontari) e i beneficiari
dei servizi (utenti e loro reti sociali).
Il Web, vero motore dell'economia condivisa
Come dice il Manifesto
del convegno, «servono capacità gestionali, soluzioni organizzative
e risorse dedicate in grado di estrarre valore dalle relazioni. In
altri termini, un processo di cambiamento organizzativo perseguito
intenzionalmente e in grado di valutare, misurandoli, i propri esiti.
Non a caso, la maggior parte delle metriche d’impatto delle imprese
sociali riguardano il coinvolgimento degli interlocutori, chiudendo
un circolo virtuoso che combina efficacia dell’intervento sociale e
sostenibilità economica dell’impresa».
Su questo approccio di
“apertura globale”, è interessante il confronto con altri
soggetti pubblici e privati che ricercano la collaborazione per la
co-produzione di beni e servizi facendo leva sul potenziale “social”
del web che si sta rivelando il vero motore dell’economia condivisa
(shared economy) e che potrebbe essere una risorsa anche per
l’impresa sociale.
Dalla casa all’orto,
dalla macchina ai vestiti, dalle competenze al tempo, oggi in rete si
condivide e si scambia di tutto. Sono iniziative imprenditoriali che
nascono dal basso, per volontà di singoli individui che spesso
investono denaro e tempo per raggiungere la propria intuizioni.
A Riva del Garda, per
esempio, sono stati presentati Locloc “la community del noleggio”,
BlaBlaCar “il primo sito italiano dedicato alla condivisione
dell’auto", Gnammo, “un modo semplice per condividere abilità
culinarie, passione per il cibo, organizzazione di eventi", Sailsquare
“un modo sociale, collaborativo e indipendente che rivoluziona le
vacanze in barca”.