Lo storico Francesco Filippi
Stasera va in onda su Rai 1 la seconda parte di Marconi L'uomo che ha connesso il mondo, la miniserie italiana diretta da Lucio Pellegrini e interpretata da Stefano Accorsi e Nicolas Maupas sulla vita dello scienziato inventore del telegrafo senza fili. La prima parte ha vinto la gara degli ascolti di ieri, incollando 3.443.000 spettatori pari al 19.42% di share.
Si tratta senz'altro di un buon prodotto, che affronta anche, con i toni da spy-story, un tema molto dibattuto: l'adesione dello scienziato al fascismo. Marconi fu un fascista della prima ora e dal regime ebbe onori e rinoscimenti: ma quanto quest'adesione fu sincera? La fiction, che si è avvalsa della consulenza della famiglia Marconi e di Barbara Valotti, direttrice del Museo Marconi di Pontecchio, avanza dei forti dubbi in proposito. Il Marconi impersonato con bravura da Stefano Accorsi ascolta preoccupato i timori dell'amico Enrico Fermi che gli confida l'intenzione di lasciare l'Italia perché ha una moglie ebrea e si trincera dietro a un no comment quando la giornalista inviata dall'Ovra gli chiede a che punto è con la realizzazione del fantomatico raggio della morte di cui parlano tutti i giornali.
Per capirne di più, abbiamo sentito lo storico Francesco Filippi, che al fascismo ha dedicato saggi molto apprezzati come Mussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo, Ma perché siamo ancora fascisti? Un conto rimasto aperto, Noi però gli abbiamo fatto le strade: Le colonie italiane tra bugie, razzismi e amnesie. «Premesso che non ho visto la prima parte dalla fiction, sicuramente non metterei la figura di Guglielmo Marconi all'interno del grande paniere dei pacifisti. Detto questo, la prima cosa da fare è sottolineare che la quasi totalità dell’attività scientifica di Guglielmo Marconi, Nobel compreso, avviene prima dell'avvento del fascismo e paradossalmente anche lontano dall'Italia, negli Stati Uniti e in Inghilterra prima di tutto. Il fascismo poi, per rafforzare la sua immagine, arruola glorie nazionali note nel mondo come lui e il pugile Primo Carnera».
E Marconi come reagì a tutto questo?
Fu, per usare una definizione che sarebbe diventata famosa in altri luoghi e in altri tempi, una classica figura organica al regime. Marconi dichiarò di essere fiero di essere il primo telegrafista fascista della storia. Era un convinto nazionalista e in più era legato al fascismo non solo da un’affinità ideologica, ma anche da interessi economici. Le sue aziende vengono rilevate e dal regime, ben pagate e fuse in quella che poi diventerà l'EIAR, l'antesignana della RAI».
E' vero che, come si vede nella fiction, il fascismo arrivò a spiare Marconi per vedere se in qualche modo poteva usare il suo genio anche per scopi militari?
«Come tutti i regimi di carattere autoritario o totalitario, il fascismo ha degli accenti di carattere paranoico. L'Ovra, la polizia segreta fascista che si sviluppa negli anni 20 e arriva a regime negli anni 30, indaga e controlla centinaia di migliaia di italiani:è quindi la prassi che chiunque venga controllato. Su Marconi in particolare non so se questo controllo ci sia stato. Di sicuro lui non ha mai, almeno ufficialmente, negato la sua fattiva collaborazione al regime in quanto scienziato».
Marconi morì nel 1937, un anno prima delle leggi razziali. Se fosse stato ancora vivo, le avrebbe approvate?
«Atteniamoci ai fatti. Il 19 gennaio 1936 Marconi fece un discorso alla Reale Accademia d'Italia, che lui tra l'altro presiedeva, che è un’accorata difesa dell'invasione dell'Etiopia, motivandola con la necessità imperiosa di difesa e di espansione del gene italico, usa esattamente queste parole. C’è da dire che nel 1938 la situazione era molto diversa dal 1925, quando la classe intellettuale non era ancora asservita e quindi gli antifascisti guidati da Benedetto Croce ebbero la forza e la volontà di scrivere il manifesto degli intellettuali antifascisti. Nel 1938 non accade nulla di ciò. Ma per tornare a Marconi, era un uomo fascista del suo tempo e quindi anche un uomo convintamente razzista. Non dimentichiamoci che tutta la sua vita si svolge all'interno di una dimensione di carattere imperiale, chiamiamola così. Lui è un grande amico dell'impero britannico e quando l'Italia cerca di avere il suo impero, con l'orgoglio tipico del bianco alla Rudyard Kipling, esalta questa idea. Quindi, in una fiction che vuole avere un intento anche didattico, si deve avere l'onestà intellettuale di inserire l'uomo all'interno delle dinamiche del proprio tempo».