Le dimissioni di Gian Carlo Caselli da Magistratura Democratica si prestano a far da spunto per un po’ di storia e chiarezza. Le cosiddette "correnti" all’interno dell’Associazione nazionale magistrati non sono, come tante volte semplicisticamente quando non strumentalmente si è fatto credere, “partiti dei giudici”, e neanche proiezioni ideologiche direttamente sovrapponibili alla politica di fuori.
Al momento sono quattro: Magistratura democratica e Movimento per la giustizia - riunite in Area-, Unicost e Magistratura indipendente. (Aggiornamento 2018: Nel febbraio 2015, da una frattura di Magistratura indipendente è nata Autonomia&indipendenza, presidente Piercamillo Davigo, con l'intento di ribadire l'esigenza di un rigoroso rispetto delle regole e l'incompatibilità della magistratura con qualsivoglia incarico di natura politica).
Si tratta di raggruppamenti interni all’Anm, - il sindacato che riunisce la maggior parte dei magistrati ordinari in servizio -, che hanno radici storiche complesse e un’articolazione che è stata tutto fuorché immutabile nel tempo. Per capirne l'origine e l'esigenza bisogna riandare alla Costituente e alla Costituzione che hanno "ridisegnato", dal 1 gennaio 1948, la magistratura repubblicana, per la prima volta costituzionalmente autonoma e indipendente.
Inevitabile che una categoria che fino a quel momento aveva dovuto sottostare all’esecutivo durante il fascismo cominciasse a dibattere al proprio interno per capire come declinare sé stessa. Anche perché sia la Corte Costituzionale, sia il Consiglio superiore della magistratura, che avrebbero dovuto in qualche modo agevolare il raccordo tra i magistrati e la Costituzione, hanno avuto una lunga gestazione (la Corte costituzionale ha aperto i battenti nel 1956, il Csm nel 1958).
Nel mezzo c'è stata una decina d’anni durante i quali i giudici sono rimasti a interrogarsi da soli nell’attività quotidiana sul rendere giustizia, in una fase di diritti in esplosiva evoluzione: che fare, per esempio, quando una legge fascista non abrogata si mostrava in aperto contrasto con la Costituzione ormai in vigore, senza che ci fosse una Corte costituzionale cui chiedere lumi?
Non solo, la magistratura degli anni Cinquanta era un corpo fortemente gerarchico, in cui i magistrati di Cassazione avevano un peso specifico forte, non a caso la prima divisione in qualche modo “correntizia”, Terzo potere, arrivò in quel periodo a dividere le esigenze di rappresentatività tra gli ermellini, la cosiddetta “magistratura alta”, e la “magistratura bassa”: pretori, giudici di tribunale e di corte d’appello. Si poneva il problema di come eleggere la componente togata del Csm rappresentando tutti. Era quella comunque una magistratura sostanzialmente omogenea alla classe dirigente, non necessariamente politicamente, ma, in senso lato, socialmente.
Lo sarebbe stata per poco. Nel 1963 fu bandito il primo concorso aperto alle donne: arrivarono in otto. Oggi sono più o meno la metà dell’organico. Nel 1969 l’apertura degli accessi alle facoltà universitarie, Giurisprudenza compresa, per la prima volta non più riservata ai soli studenti del liceo classico, ha aperto la strada a una magistratura socialmente stratificata, non più omogenea e quindi più pronta a riflettere sul proprio ruolo in relazione alla società esterna, in definitiva più consapevole del fatto che diritto e diritti sono un corpo non immutabile ma vivo e in continua evoluzione.
Non per caso le prime correnti, che ancora oggi conosciamo, Magistratura democratica, progressista, e Magistratura indipendente, conservatrice, sono nate nel 1964, quando arrivavano in magistratura per la prima volta giovani cresciuti con la Costituzione già in vigore. Non per caso si sono contrapposte in scontri anche accesi negli anni successivi, quando le istanze evolutive della società di fuori, rivolte proprio al tema dei diritti, non potevano non riflettersi in chi la doveva giudicare. Non per caso la divisione è stata all'inizio, anche se non rigidamente, significativamente anagrafica: a Mi, sia detto con una sintesi brutale, avevano aderito prevalentemente i più anziani convinti che la legge andasse soprattutto applicata, a Md i più giovani convinti che l’interpretazione della norma da applicarsi al caso concreto non potesse non tener conto dell’evoluzione dei diritti in corso.
Nel tempo le divergenze si sono in parte appianate, i dibattiti e le prese di posizione della prima ora, ingenuità comprese, sarebbero difficilmente applicabili meccanicamente alla quotidianità di ora. Un po’ perché la magistratura di oggi, ormai tutta, anagraficamente e culturalmente, figlia della Costituzione repubblicana ha introiettato le attribuzioni che la Costituzione le assegna, mentre la contrapposizione di certe posizioni, per così dire generazionale, è naturalmente venuta meno. Un po’ perché di mezzo c’è stata proprio la stagione del terrorismo, occasione del nostro approfondimento, che la magistratura ha affrontato, unita, in prima linea pagando tra il 1976 e il 1980 un tributo di sangue altissimo.
Oggi, più che in passato pare assodato che un magistrato indipendente e autonomo in democrazia non possa smettere di riflettere e di dibattere anche pubblicamente, nel rispetto delle proprie prerogative anche deontologiche, sul senso del rendere giustizia. Semmai il rimprovero che a volte si fa, all’interno e all’esterno, alle correnti, cui non tutti i magistrati associati sono iscritti, è di avere un po’ spento la tensione ideale della discussione per appiattirsi sul bilancino della spartizione delle carriere: un argomento che ha portato più di una volta magistrati anche noti a denunciare il problema. Aprendo, ovviamente, altri dibattiti.