Uno spazio rettangolare di 60 per 70
metri, luminoso, solare, con un pavimento
a grandi triangoli in varie
sfumature di azzurro che rappresenta
il caleidoscopio di popoli e culture affacciati
sul Mar Mediterraneo: al centro la Sicilia,
isola-ponte tra l’Africa, l’Europa e il vicino
Oriente. Sarà questo l’ambiente del padiglione
Bio-Mediterraneo – Salute, bellezza, armonia
all’Expo Milano 2015.
Qui andranno in scena
i prodotti alimentari che nell’insieme ben calibrato
costituiscono la dieta mediterranea. Una
riserva di sapori, ma anche e soprattutto di salute,
intorno alla quale negli ultimi anni sono
fi oriti tanti studi scientifi ci da riempire una biblioteca.
Non a caso l’Unesco nel 2014 ha riconosciuto
alla dieta mediterranea il titolo di “patrimonio
dell’umanità”.
Cereali possibilmente integrali, ortaggi,
frutta, pesce, latte e formaggi freschi, non
troppa carne e in prevalenza bianca, e soprattutto
olio d’oliva: questa è la ricetta della tavola
mediterranea.
In Italia, per fortuna, è ben
radicata, e i suoi vantaggi per la salute hanno
trovato conferma anche negli ultimi dati Istat:
nel nostro Paese l’aspettativa di vita continua
a crescere nonostante la crisi economica e
ha raggiunto nel 2014 il traguardo di 79 anni
e cinque mesi per gli uomini e 84 anni e otto
mesi per le donne. Dati che
ci piazzano tra i Paesi più longevi: siamo i
secondi in Europa e gli ottavi nel mondo
(ma questo dato è falsato a nostro sfavore
dal fatto che entrano nella classifica piccoli Paesi come il Principato di
Monaco, dove l’età media rilevata
dalle statistiche sale artifi ciosamente
in quanto in certi piccoli
Stati – che per inciso sono
anche discutibili “paradisi
fiscali” – si concentra una
popolazione di “immigrati
di lusso” che in
essi prende residenza in età piuttosto matura.
La scoperta scientifica della dieta mediterranea
risale alla fine degli anni Trenta. Da allora
questo stile alimentare, dal punto di vista
dell’adesione della popolazione italiana e di
altri Paesi (Grecia, Francia, Spagna, Portogallo)
ha conosciuto periodi più o meno fortunati,
ma costante è stato l’aumento dei consensi
venuti da ricerche biomediche sempre più accurate
e svolte su archi temporali sempre più
lunghi che raff orzano l’affi dabilità dei risultati.
Si tratta il più delle volte di studi molto specialistici.
Le frontiere più avanzate riguardano l’epigenetica,
la nutrigenomica, i microbiomi, la
sindrome metabolica. Ma qui ci concentreremo
sulle conclusioni di carattere generale.
È una storia che nasce nella prima metà del
secolo scorso. Il medico nutrizionista Lorenzo
Piroddi fu il primo, nel 1939, ad attirare l’attenzione
dei ricercatori sul rapporto tra alimentazione
e malattie del ricambio come diabete,
obesità, bulimia, e a intuire la correlazione tra
longevità e dieta mediterranea.
Nato a Genova nel 1911, laureatosi in Medicina
nel 1935 presso l’Università della sua città,
aviatore dell’aeronautica militare durante
la Seconda guerra mondiale, Piroddi è stato un
cultore forse un po’ ingenuo del “naturismo”
ma certamente fu un attento osservatore. Durante
il confl itto mondiale cercò una conferma
delle sue idee analizzando il rapporto tra
alimentazione e patologia nei militari italiani,
tedeschi e americani con cui si trovò a contatto.
La conclusione fu che la maggiore aspettativa
di vita degli italiani doveva essere in diretto
rapporto con le abitudini alimentari. Nella
Colonia Arnaldi di Uscio, un paese di 2.000
abitanti nell’entroterra tra Genova e Chiavari,
mise alla prova le sue idee di nutrizionista valorizzando
cereali, verdura, frutta, olio di oliva
e limitando carne, uova e formaggi, linea che
sviluppò anche in un centro benessere fondato
nel 1950 sul lago Maggiore. Con articoli
sul Secolo XIX e pubblicazioni scientifi che che
oggi farebbero storcere il naso agli epidemiologi
più rigorosi, si prodigò con passione per
diffondere la sua scoperta, imitato in Francia
da Paul Carton e in Svizzera da Maximilian Bircher-
Benner.
Una svolta scientifi ca decisiva venne dallo
statunitense Ancel Keys, ricercatore della
Scuola di alimentazione dell’Università del
Minnesota, quando negli anni Cinquanta venne
a vivere in Italia. La sua vicenda è insolita e
curiosa. Nato nel 1904 e morto nel 2004 due
mesi prima di compiere 101 anni, Keys si era
laureato in Economia e Scienze politiche all’Università
della California a Berkeley. Prese poi
un dottorato in Biologia e Oceanografi a a San
Diego e un dottorato in Fisiologia all’Università
di Cambridge, dopodiché insegnò ad Harvard
e fondò un laboratorio di Igiene fi siologica.
Durante la Seconda guerra mondiale si mise al
servizio del suo Paese: nel 1942 mise a punto
la famosa “Razione K”, base dell’alimentazione di sussistenza dell’esercito americano. Costituita
da gallette, insaccati di suino, caramelle
e barrette di cioccolata, con un peso di 870
grammi, forniva 3.200 calorie, una quantità
suffi ciente al duro impegno della vita militare.
Non si può dire che la Razione K corrispondesse
a una dieta sana, equilibrata e con un suffiffi -
ciente apporto di vitamine e micronutrienti. In
parallelo Keys sviluppò un esperimento su 36
volontari scelti tra gli obiettori di coscienza. A
essi impose una dieta da 1.800 calorie e un’attività
fi sica che ne assorbiva 3.200. Questa ricerca,
nota come “Minnesota starvation experiment”
originò nel 1950 una pubblicazione di
1.400 pagine che diventarono un pilastro nello
studio della malnutrizione. Ora Keys era pronto
a occuparsi di un’alimentazione migliore.
Nel dopoguerra Keys si trasferì per 28 anni
in Italia con alcuni suoi collaboratori – Martti
Karvonen, Jeremiah Stamler, Flaminio e Alberto
Fidanza – e andò ad abitare a Pioppi, villaggio
di pescatori in provincia di Salerno. Qui lo
colpì il fatto che le persone più povere avevano
in media una salute migliore non solo dei cittadini
newyorkesi ricchi, ma anche degli emigrati
a New York dal Sud d’Italia che in America
avevano abbandonato la tradizionale ed
economica dieta italiana a base di pasta, pane, olio, pomodoro, cipolla, pesce, latticini
freschi. Ne nacque un libro destinato a diventare
un classico: Eat well and stay well, the mediterranean
way, Mangia bene e stai in salute, il
buon metodo mediterraneo.
La ricerca più importante di Keys è nota
come “Studio dei sette Paesi”, un confronto
tra i regimi alimentari di 12 mila persone con
età compresa tra 40 e 59 anni abitanti in Finlandia,
Giappone, Grecia, Italia, Olanda, Stati
Uniti ed ex Jugoslavia. Ne emerse che la dieta
americana e fi nlandese, ricca di grassi saturi
e colesterolo, va di pari passo con un maggior
numero di decessi precoci per malattie cardiovascolari
e tumori, mentre la dieta italiana e
giapponese proteggono da queste patologie.
I grassi vegetali fanno la differenza in positivo,
insieme con abbondanti porzioni di frutta
e verdura, e carne bianca o di pesce anziché
carne rossa. Due bicchieri di vino rosso si sono
rivelati utili, così come gli antiossidanti contenuti
in ortaggi (cipolle) e frutta (anche secca). Il
miglior regime alimentare risultò essere quello
degli abitanti di Nicotera, in Calabria, Montegiorgio
(Marche), di alcuni paesi della Campania
e dell’isola di Creta. Un recente studio della
American heart association ha confermato che
la dieta mediterranea riduce il tasso di mortalità
per malattie coronariche del 50 per cento.
Purtroppo, dopo un periodo di gran moda,
ora il modello alimentare mediterraneo appare
in declino, mentre va alla riscossa il “cibo
spazzatura” carico di colesterolo, grassi saturi
e bevande zuccherate. Expo 2015 sarà un’occasione
preziosa per rilanciare il nostro modello
di alimentazione.