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mercoledì 25 giugno 2025
 
 
Benessere

Mangiare bene per vivere a lungo

16/04/2015  Cereali possibilmente integrali, ortaggi, frutta, pesce, latte e formaggi freschi, non troppa carne e in prevalenza bianca, e soprattutto olio d’oliva: questa è la ricetta della cucina tradizionale italiana che trionferà all’Expo.

Uno spazio rettangolare di 60 per 70 metri, luminoso, solare, con un pavimento a grandi triangoli in varie sfumature di azzurro che rappresenta il caleidoscopio di popoli e culture affacciati sul Mar Mediterraneo: al centro la Sicilia, isola-ponte tra l’Africa, l’Europa e il vicino Oriente. Sarà questo l’ambiente del padiglione Bio-Mediterraneo – Salute, bellezza, armonia all’Expo Milano 2015.

Qui andranno in scena i prodotti alimentari che nell’insieme ben calibrato costituiscono la dieta mediterranea. Una riserva di sapori, ma anche e soprattutto di salute, intorno alla quale negli ultimi anni sono fi oriti tanti studi scientifi ci da riempire una biblioteca. Non a caso l’Unesco nel 2014 ha riconosciuto alla dieta mediterranea il titolo di “patrimonio dell’umanità”. Cereali possibilmente integrali, ortaggi, frutta, pesce, latte e formaggi freschi, non troppa carne e in prevalenza bianca, e soprattutto olio d’oliva: questa è la ricetta della tavola mediterranea.

In Italia, per fortuna, è ben radicata, e i suoi vantaggi per la salute hanno trovato conferma anche negli ultimi dati Istat: nel nostro Paese l’aspettativa di vita continua a crescere nonostante la crisi economica e ha raggiunto nel 2014 il traguardo di 79 anni e cinque mesi per gli uomini e 84 anni e otto mesi per le donne. Dati che ci piazzano tra i Paesi più longevi: siamo i secondi in Europa e gli ottavi nel mondo (ma questo dato è falsato a nostro sfavore dal fatto che entrano nella classifica piccoli Paesi come il Principato di Monaco, dove l’età media rilevata dalle statistiche sale artifi ciosamente in quanto in certi piccoli Stati – che per inciso sono anche discutibili “paradisi fiscali” – si concentra una popolazione di “immigrati di lusso” che in essi prende residenza in età piuttosto matura.

 La scoperta scientifica della dieta mediterranea risale alla fine degli anni Trenta
. Da allora questo stile alimentare, dal punto di vista dell’adesione della popolazione italiana e di altri Paesi (Grecia, Francia, Spagna, Portogallo) ha conosciuto periodi più o meno fortunati, ma costante è stato l’aumento dei consensi venuti da ricerche biomediche sempre più accurate e svolte su archi temporali sempre più lunghi che raff orzano l’affi dabilità dei risultati.

Si tratta il più delle volte di studi molto specialistici. Le frontiere più avanzate riguardano l’epigenetica, la nutrigenomica, i microbiomi, la sindrome metabolica. Ma qui ci concentreremo sulle conclusioni di carattere generale. È una storia che nasce nella prima metà del secolo scorso. Il medico nutrizionista Lorenzo Piroddi fu il primo, nel 1939, ad attirare l’attenzione dei ricercatori sul rapporto tra alimentazione e malattie del ricambio come diabete, obesità, bulimia, e a intuire la correlazione tra longevità e dieta mediterranea. Nato a Genova nel 1911, laureatosi in Medicina nel 1935 presso l’Università della sua città, aviatore dell’aeronautica militare durante la Seconda guerra mondiale, Piroddi è stato un cultore forse un po’ ingenuo del “naturismo” ma certamente fu un attento osservatore. Durante il confl itto mondiale cercò una conferma delle sue idee analizzando il rapporto tra alimentazione e patologia nei militari italiani, tedeschi e americani con cui si trovò a contatto.

La conclusione fu che la maggiore aspettativa di vita degli italiani doveva essere in diretto rapporto con le abitudini alimentari. Nella Colonia Arnaldi di Uscio, un paese di 2.000 abitanti nell’entroterra tra Genova e Chiavari, mise alla prova le sue idee di nutrizionista valorizzando cereali, verdura, frutta, olio di oliva e limitando carne, uova e formaggi, linea che sviluppò anche in un centro benessere fondato nel 1950 sul lago Maggiore. Con articoli sul Secolo XIX e pubblicazioni scientifi che che oggi farebbero storcere il naso agli epidemiologi più rigorosi, si prodigò con passione per diffondere la sua scoperta, imitato in Francia da Paul Carton e in Svizzera da Maximilian Bircher- Benner.

Una svolta scientifi ca decisiva venne dallo statunitense Ancel Keys, ricercatore della Scuola di alimentazione dell’Università del Minnesota, quando negli anni Cinquanta venne a vivere in Italia. La sua vicenda è insolita e curiosa. Nato nel 1904 e morto nel 2004 due mesi prima di compiere 101 anni, Keys si era laureato in Economia e Scienze politiche all’Università della California a Berkeley. Prese poi un dottorato in Biologia e Oceanografi a a San Diego e un dottorato in Fisiologia all’Università di Cambridge, dopodiché insegnò ad Harvard e fondò un laboratorio di Igiene fi siologica.

Durante la Seconda guerra mondiale si mise al servizio del suo Paese: nel 1942 mise a punto la famosa “Razione K”, base dell’alimentazione di sussistenza dell’esercito americano. Costituita  da gallette, insaccati di suino, caramelle e barrette di cioccolata, con un peso di 870 grammi, forniva 3.200 calorie, una quantità suffi ciente al duro impegno della vita militare. Non si può dire che la Razione K corrispondesse a una dieta sana, equilibrata e con un suffiffi - ciente apporto di vitamine e micronutrienti. In parallelo Keys sviluppò un esperimento su 36 volontari scelti tra gli obiettori di coscienza. A essi impose una dieta da 1.800 calorie e un’attività fi sica che ne assorbiva 3.200. Questa ricerca, nota come “Minnesota starvation experiment” originò nel 1950 una pubblicazione di 1.400 pagine che diventarono un pilastro nello studio della malnutrizione. Ora Keys era pronto a occuparsi di un’alimentazione migliore.

Nel dopoguerra Keys si trasferì per 28 anni in Italia con alcuni suoi collaboratori – Martti Karvonen, Jeremiah Stamler, Flaminio e Alberto Fidanza – e andò ad abitare a Pioppi, villaggio di pescatori in provincia di Salerno. Qui lo colpì il fatto che le persone più povere avevano in media una salute migliore non solo dei cittadini newyorkesi ricchi, ma anche degli emigrati a New York dal Sud d’Italia che in America avevano abbandonato la tradizionale ed economica dieta italiana a base di pasta, pane, olio, pomodoro, cipolla, pesce, latticini freschi. Ne nacque un libro destinato a diventare un classico: Eat well and stay well, the mediterranean way, Mangia bene e stai in salute, il buon metodo mediterraneo.

La ricerca più importante di Keys è nota come “Studio dei sette Paesi”, un confronto tra i regimi alimentari di 12 mila persone con età compresa tra 40 e 59 anni abitanti in Finlandia, Giappone, Grecia, Italia, Olanda, Stati Uniti ed ex Jugoslavia. Ne emerse che la dieta americana e fi nlandese, ricca di grassi saturi e colesterolo, va di pari passo con un maggior numero di decessi precoci per malattie cardiovascolari e tumori, mentre la dieta italiana e giapponese proteggono da queste patologie.

I grassi vegetali fanno la differenza in positivo, insieme con abbondanti porzioni di frutta e verdura, e carne bianca o di pesce anziché carne rossa. Due bicchieri di vino rosso si sono rivelati utili, così come gli antiossidanti contenuti in ortaggi (cipolle) e frutta (anche secca). Il miglior regime alimentare risultò essere quello degli abitanti di Nicotera, in Calabria, Montegiorgio (Marche), di alcuni paesi della Campania e dell’isola di Creta. Un recente studio della American heart association ha confermato che la dieta mediterranea riduce il tasso di mortalità per malattie coronariche del 50 per cento. Purtroppo, dopo un periodo di gran moda, ora il modello alimentare mediterraneo appare in declino, mentre va alla riscossa il “cibo spazzatura” carico di colesterolo, grassi saturi e bevande zuccherate. Expo 2015 sarà un’occasione preziosa per rilanciare il nostro modello di alimentazione.

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