Era caduto nell’oblio, o quasi. Ma da un inventario scrupoloso condotto di recente tra le opere non esposte della basilica romana di Santa Maria sopra Minerva, non distante dal Pantheon, che custodisce le spoglie di figure d’alta spiritualità, come santa Caterina da Siena, dottore della Chiesa, o il pittore mistico Beato Angelico, patrono universale degli artisti, e capolavori noti in tutti il mondo, come gli affreschi di Melozzo da Forlì o Filippino Lippi, l’ha riportato a galla.
Si tratta di un bozzetto in gesso realizzato da Vincenzo Jerace (1862-1947), artista poliedrico affascinato dalle scienze naturali, originario di Polistena (Reggio Calabria), del volto della beata Maria Cristina di Savoia. Uno studio preparatorio per un previsto monumento da erigersi nel 1936, primo centenario della morte della beata sabauda, in onore della quale fu anche promossa quell’anno una grande mostra, alla reggia di Napoli, dove risiedeva l’artista, accolto in gioventù dal fratello Francesco, già affermato scultore, promossa da Umberto e Maria Josè di Savoia, allora principi ereditari d’Italia.
La paternità del bozzetto è certa grazie alla firma incisa dallo stesso Jerace, famoso anche per le sue estrose creazioni liberty in marmo, metallo e ceramica, per le ville che progettò in Campania e a Londra e per monumenti come il Redentore commissionatogli dalla città di Nuoro per il Giubileo del 1900, il gruppo scultoreo del Sinite Parvulos, al Forest Lawn memorial park di Cypress nei dintorni di Los Angeles e varie opere in memoria dei caduti della Grande Guerra erette in Calabria, la sua regione natia.
Il “ritrovamento” del bozzetto, un busto il cui volto è fedele al calco funerario della “Reginella Santa”, com’era chiamata e come titolò un breve saggio biografico su di lei nel 1924 Benedetto Croce, richiama ancora una volta l’attenzione sulla figura di Maria Cristina di Savoia, proclamata beata da papa Francesco il 25 gennaio 2014. Ultimogenita di Vittorio Emanuele I e Maria Teresa d’Asburgo d’Este, sovrani del Regno di Piemonte e Sardegna, fu a sua volta regina del Regno delle Due Sicilie per aver sposato, nel 1832, Ferdinando II e morì il 31 gennaio 1836, appena 23enne, due settimane dopo la nascita dell’unico figlio, Francesco II, detto “Franceschiello”, ultimo re borbonico, spodestato dai lontani cugini della madre.
Ha detto di lei padre Gianni Califano, postulatore generale dell'Ordine dei Frati minori. «Non è una novità che un sovrano possa essere elevato alla gloria degli altari. La lunga storia della santità è costellata di esempi di questo tipo, basti pensare a san Luigi dei Francesi, a santa Elisabetta del Portogallo o, in epoca più recente, all'ultimo imperatore d'Austria, Carlo I d'Asburgo, beatificato nel 2004 o a sua moglie, l'imperatrice Zita, per la quale è ancora in corso il processo di beatificazione. Ma questi esempi ci dicono semplicemente che la santità o lo beatitudine non conoscono confini di classe e ruolo sociale, esse attengono all'anima e alla sua intimità con Dio che dà i suoi frutti indipendentemente dal proprio status, poiché chi vive nel costante dialogo interiore col Signore si astrae da ogni barriera terrena cercando unicamente di fare la Sua volontà. Ecco: è il fervido amore per Gesù e la Madonna che accomuna i pastorelli di Fatima alla regina Maria Cristina, o Bernadette di Lourdes a Carlo I d'Asburgo e rende le loro scelte di vita straordinariamente univoche nonostante siano nati e vissuti in contesti completamente diversi».
L'autorizzazione alla promulgazione del decreto riguardante il miracolo attribuito all' intercessione della regina Maria Cristina, la guarigione di una donna genovese da un carcinoma alla mammella (stessa malattia che uccise l’adorata madre di Maria Cristina nel 1832) che non lasciava alcuna speranza negli anni Ottanta del XIX secolo, venne da papa Francesco il 2 maggio 2013, durante un'udienza privata con il cardinale Angelo Amato, allora prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Maria Cristina era stata dichiarata «Venerabile» già da Pio IX nel 1859 e «di virtù eroiche» da Pio XI nel 1937, ma vollero altri 86 anni per portare a compimento l'iter della beatificazione, poiché la seconda guerra mondiale e poi ilc crollo della Monarchia provocarono una sorta di “congelamento”. Spiega padre Califano: «Questa lunga attesa, in realtà, si è rivelata provvidenziale e proficua. Non solo perché la beatificazione è coincisa con la duplice ricorrenza del bicentenario della nascita di Maria Cristina e dell'anno della Fede, ma anche perché, trascorso oltre un sessantennio dalla caduta della monarchia in Italia, il processo ha fatto il suo corso quale frutto di una valutazione ponderata e obiettiva, senza che alcuna famiglia in particolare ne abbia mostrato interesse. La lunga attesa, dunque, è andata tutta a beneficio della spiritualità di questa decisione, mettendola al riparo da ogni possibile pregiudizio o sospetto di implicazioni politico-sociali».
Secondo il religioso nell’eroica testimonianza di fede della giovane regina va colto innanzitutto l’aspetto dell’obbedienza alla volontà di Dio. Alla morte della madre, che assistette fino all’ultimo durante la malattia, fu praticamente sequestrata dal cugino Carlo Alberto e condotta da Genova, dove viveva, a Torino per costringerla alle nozze con Ferdinando II, alleanza matrimoniale che doveva garantire lo status-quo in Italia, bilanciando l’espansionismo asburgico negli Stati minori. Ma la principessa resisteva poiché voleva fortemente entrare nell’ordine delle Sacramentine e poi per rispettare le volontà della madre, profondamente avversa a questo connubio. Tuttavia, si piegò docilmente quando il suo precettore, padre Giovambattista Terzi, le fece osservare che non è al convento che l'ha destinata il Signore ma al ruolo di regina, col quale potrà recare sollievo a tanti bisognosi, mettendo al servizio di Dio il prestigio che avrebbe ricoperto.
E che questa adesione ai disegni celesti sia stata realmente viva in Maria Cristina lo conferma quanto lei stessa scriverà a una confidente di vecchia data dopo un anno di matrimonio, riconoscendovi in esso «un affare condotto da Dio», poiché lei non avrebbe mai creduto di essere «così tanto felice».
«Dunque», continua padre Califano, «l'accettazione di Maria Cristina, l'essere docile ai disegni di Dio, le apre la porta non solo a un matrimonio che si rivelerà felice, ma anche alla comprensione del fatto che il Signore le aveva voluto dare molto, per lei anche troppo, con il ruolo di regina, per poter "dispensare" molto in termini di carità e amore per il prossimo.
E questo porta a sottolineare il secondo aspetto importante, da un punto di vista spirituale, nella vita di Maria Cristina: la piena "imitabilità" delle sue scelte. Non è un'aristocratica snob che si limita a versare oboli a destra e a manca, forte del suo cospicuo patrimonio. Lei applica la carità con tutte le persone che ha intorno, a cominciare dal marito, dalla suocera e dai cognati. Fu lei a fare in modo che Ferdinando riprendesse i rapporti con la madre Maria Isabella e a smussare ogni tensione nella famiglia acquisita. Ma intercede anche per i domestici in difetto, spegne i pettegolezzi e le maldicenze a corte, invita alla preghiera con dolcezza, senza mai ergersi su un piedistallo. Incarna, insomma, un modello di vita cristiana pienamente applicabile da chiunque, nella vita di tutti i giorni quale che sia il proprio ambiente, poiché ovunque si può e si deve testimoniare la propria fede. Non bisogna essere regine per comportarsi in un certo modo, nel discernimento di ciò che è realmente volontà di Dio. Va, tuttavia detto che, proprio in virtù di questo discernimento interiore, Maria Cristina non deroga mai ai doveri del suo rango. Non trae nessuna soddisfazione da quest'ultimo, ma comprende che, per essere realmente caritatevole e amorevole col marito e col popolo, non può trascurarlo. In diverse testimonianze raccolte tra il suo entourage viene riferito che manifestando, fin da adolescente, una certa idiosincrasia verso le rappresentazioni teatrali, si convinceva sempre a prendervi parte ogni volta che le veniva ricordato che la sua assenza avrebbe portato nocumento alle compagnie, oscurato il prestigio del marito e aperto una serie di altre conseguenze negative. A una dama che le propone l'acquisto di certi fiori fatti col corallo, spontaneamente dice che trova quelle creazioni di pessimo gusto, ma quando la nobildonna le ricorda che, comperandole, avrebbe aiutato tante persone in ristrettezze economiche, replica entusiasta: “Poteva dirlo subito!». E ne acquista una quantità doppia”».
Si era fatta realizzare anche uno strano collier-“cilicio” che aderiva al collo: sotto le maglie d’oro c’erano in miniatura tutti gli oggetti della Passione di Cristo: chiodi, spine, un piccolo flagello, la croce, al muovere del collo questi pendagli le premevano sulla pelle e le ricordavano che il sacrificio delle riunioni mondane era ben poca cosa rispetto a quello compiuto dal Cristo per la salvezza dell’umanità.
Nonostante la giovane età, a Napoli Maria Cristina realizzò una serie di opere umanitarie, anticipando l’orientamento del cattolicesimo socialmente impegnato diffusosi sul finire del XIX secolo. Non si limitava a sostenere economicamente gli indigenti ma voleva cambiarne le condizioni di vita. Aprì mobilifici e maglifici a Napoli, rivitalizzò le seterie di San Leucio nel Casertano dando lavoro agli “ultimi”, e reinvestiva gli utili di queste attività in altri progetti di carità.
L'amore per il prossimo e l'umiltà animano Maria Cristina sino all'ultimo respiro e, infatti, durante l'agonia chiede perdono a tutti i parenti e a tutto il personale della corte per le eventuali mancanze compiute. Così come arde in lei, sino alla fine, la più completa fiducia nel disegno divino poiché si spegne ripetendo quello che fu il suo motto per tutta la breve esperienza terrena: «Credo in Dio, amo Dio, spero in Dio».
Ferdinando di cui lei aveva mitigato eccessi e intemperanze, oltre ad averlo avvicinato alla fede (recitavamo assieme il Rosario prima di ogni Consiglio di Stato) dichiarò al processo di beatificazione: «Maria Cristina mi ha insegnato a vivere e a morire».
Tra i suoi scritti sono state trovate delle meditazioni spirituali. In una si legge: «Benché sia sana, e ricca, e bella, e poi? E che io possegga argento ed oro, e poi? E che io comandi a molti servi, e poi? E d'ingegno e saper sia sola, e poi Presto si muore e nulla resta, e poi? Servi a Dio solo/ e tutto avrai dappoi».