665 voti e un lungo applauso. L’elezione al Colle di Sergio Mattarella arriva così, il 31 gennaio 2015, con una valanga di preferenze di gran lunga superiori a quelle preventivate (ne sarebbero bastate 505). All’epoca giudice della Corte costituzionale, politico di lungo corso e sempre con la schiena dritta (si ricorderanno le sue dimissioni, insieme con altri quattro ministri democristiani fra i quali il suo grande amico Martinazzoli, per opporsi alla legge Mammì), fine giurista e uomo di grande equilibrio, è riuscito, in questo decennio, a tenere insieme, con fermezza e gentilezza, una Italia che tende, invece, sempre più a sfilacciarsi.
Il più longevo dei nostri capi di Stato, al secondo mandato come Giorgio Napolitano che però si dimise dopo un anno dalla rielezione, incarna in pieno i valori della nostra Costituzione. Come primo atto da presidente, si ricorderà, decise di recarsi, il pomeriggio dello stesso 31 gennaio, alle Fosse ardeatine per rendere omaggio alle vittime del nazifascismo, ricordare a tutti quanto sangue e quante sofferenze è costata l’edificazione della nostra Repubblica e rinsaldare i valori del nostro vivere comune.
Da cattolico impegnato in politica (e non politico cattolico, nella fine distinzione che condivideva con l’amico bresciano per sottolineare che il cattolico si fa lievito e visione ed esercita, da politico, l’arte della mediazione), con una fede riservatissima e mai “brandita” ideologicamente, ha continuato a tenere saldo il nostro Paese sui suoi valori fondanti. Attingendo a questi per fronteggiare le sfide che non smettono di interrogarci. Con parole ancora attuali, ricevuto in Vaticano appena due mesi e mezzo dopo la sua elezione, Mattarella aveva sottolineato a papa Francesco che «l nostro Paese, e l’intera Unione Europea, assistono a quello che Lei ha definito un nuovo tipo di conflitto mondiale frammentato, sui territori più poveri, e di cui è immediata conseguenza il dramma dei profughi che tentano di approdare sulle nostre coste, sulle coste dell’Europa, per sfuggire alle guerre, alle persecuzioni, alle carestie; chiedendo accoglienza». E ancora, aveva insistito, «le istituzioni e la società italiane sono impegnate, con generosità, per fronteggiare questa emergenza…Con quelle vite spezzate si perde la speranza di tante persone e si compromette la dignità della comunità internazionale. Rischiamo di smarrire la nostra umanità».
Lo ricordiamo tutti, nel 2020, durante la pandemia, salire da solo a rendere omaggio al milite ignoto in piazza Venezia, incarnando, in quei pochi passi sui gradini, lo spirito di tutta la Nazione.
Garante delle regole, come aveva promesso fin dal suo primo insediamento, con quel suo modo garbato, mai fuori toni, con cui richiamare i giocatori a un modo di fare leale. Un presidente “pompiere” che spegne le tensioni tra istituzioni riuscendo a mantenere il suo essere super partes senza concessioni al più forte di turno.
Quando viene rieletto, il 29 gennaio del 2022, con 759 voti, diventa il secondo presidente più votato dopo Sandro Pertini.
Gli studenti lo ascoltano, le cancellerie di tutto il mondo lo rispettano, gli italiani lo amano. Trovando in lui, che si tratti dell’aggressione russa all’Ucraina, del conflitto in Medio Oriente, delle liti, talora da cortile di casa nostra, degli attacchi di Elon Musk ai nostri giudici, quella pacatezza robusta, quella difesa dell’Italia e dei suoi valori che ci fa sentire ancora, nel profondo, uniti da un vincolo di solidarietà e capaci di costruire, insieme, futuro.