La breccia nello scafo del natante, ricavata a colpi d'ascia, da cui hanno potuto uscire i superstiti.
Due naufragi a distanza di poche ore a largo di Lampedusa e a largo delle coste calabresi perché in assenza di un meccanismo di ricerca e soccorso destinato prima di tutto a salvare vite umane. È così che si continua a morire nei nostri mari.
Il racconto dell’ultima tragedia è oggi affidato ai 12 superstiti che viaggiavano in una barca a vela partita otto giorni fa dalla Turchia sbarcati al porto di Roccella Jonica, l’altra Lampedusa. «Questa mattina eravamo al porto e abbiamo supportato le attività di prima assistenza per i sopravvissuti. La scena era straziante, davanti a noi persone traumatizzate, il dolore si toccava con mano. Vedere annegare un parente o un amico è sempre orribile», racconta Shakila Mohammadi, mediatrice culturale di Medici Senza Frontiere dal porto di Roccella.
«Ho parlato con un ragazzo che ha perso la sua fidanzata. I superstiti hanno parlato di 66 persone disperse, tra cui almeno 26 bambini, anche di pochi mesi. Intere famiglie dell’Afghanistan sarebbero morte. Sono partiti otto giorni fa e da tre, quattro giorni imbarcavano acqua. Ci hanno detto che viaggiavano senza salvagente e che alcune imbarcazioni non si sono fermate per aiutarli», aggiuge la mediatrice di Msf.
La guardia costiera da questa notte è impegnata nella ricerca di eventuali dispersi dopo un may day che era stato lanciato da un’unità da diporto francese in navigazione a circa 120 miglia dalle coste italiane, al limite delle aree di ricerca e soccorso della Grecia e dell’Italia.
Proprio in Grecia in questi giorni si ricordano gli oltre 750 migranti morti esattamente un anno fa nel naufragio di Pylos, con un’inchiesta sulla responsabilità dei soccorsi che prosegue, soli 104 sopravvissuti e 82 corpi recuperati.
Dopo il recupero di undici corpi la settimana scorsa da parte della Geo Barents a recuperare altri dieci corpi è stata in queste ore il veliero Nadir della Ong Resqship. I migranti erano a bordo di un barchino in legno partito dalla Libia e imbarcava acqua. I corpi recuperati erano chiusi all’interno del piano inferiore, nella stiva. Per liberare due naufraghi i soccorritori hanno dovuto demolire parte del ponte della nave con colpi d’ascia. Un’immagine che abbiamo visto ormai troppe volte nei porti italiani, da Lampedusa a Pozzallo, a Roccella Jonica, mentre si continua a morire in cerca di salvezza.
Dall’inizio dell’anno sono quasi 900 le vittime nel Mediterraneo, quasi 30 mila i dispersi negli ultimi dieci anni. Erano 866 soltanto qualche giorno fa secondo i dati del progetto Missing Migrants dell’Oim.
«Ogni naufragio rappresenta un fallimento collettivo, un segno tangibile dell’incapacità degli Stati di proteggere le persone più vulnerabili», ha dichiarato Flavio Di Giacomo, portavoce in Italia dell’Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni).
L’anno scorso il 2023 è stato l’anno con il maggior numero di morti nel Mediterraneo dal 2013. E quest’anno a fronte a un numero inferiore di arrivi si teme che le morti in mare possano essere ancora di più.