Mantenere «a portata di mano» l'incremento della temperatura globale entro 1,5 gradi centigradi, azzerare le emissioni di gas serra intorno a metà secolo, aumentare i finanziamenti ai Paesi in via di sviluppo, mettere fine ai sostegni pubblici internazionali alle centrali a carbone entro fine 2021 e piantare mille miliardi di alberi. Sono i punti salienti che riguardano il capitolo sui cambiamenti climatici del documento finale del G20 che si è concluso domenica a Roma, in concomitanza con l’apertura a Glasgow della Cop26 che secondo molti analisti è l'ultima occasione per mantenere il riscaldamento globale entro i limiti dell'Accordo di Parigi. In pratica, per salvare il pianeta da desertificazione, uragani, alluvioni, e quindi fame, guerre, migrazioni. È l'ultima chiamata per la Terra, hanno detto sia il premier Boris Johnson e il principe Carlo dal G20 di Roma, sia il presidente della conferenza, Alok Sharma, da Glasgow.
Il documento finale licenziato dal G20 e frutto della mediazione degli sherpa prevede diversi impegni. Anzitutto, i Paesi del G20 riconoscono l'urgenza di contenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi, l'obiettivo più ambizioso dell'accordo di Parigi del 2015, e assicurano sforzi consistenti per avere il target «a portata di mano», consapevoli - secondo le valutazioni degli scienziati dell'Ipcc - che in quest'ultimo caso gli impatti del cambiamento climatico sono molto inferiori. Su questo impegno però non c'è la data del 2050, e questo è uno dei punti più controversi. I 20 Grandi metteranno in atto «azioni significative ed efficaci tenendo conto dei differenti approcci, attraverso lo sviluppo di chiari percorsi nazionali che allineino l'ambizione a lungo termine con obiettivi a breve e medio termine».
I 20 Grandi assicurano che «entro questo decennio» accelereranno i rispettivi interventi di mitigazione (cioè azioni per ridurre la produzione di gas serra) e adattamento (misure di prevenzione e riduzione dei rischi) ai cambiamenti climatici e incrementeranno anche gli impegni finanziari per azzerare le emissioni nette globali «entro o intorno a metà secolo». Quindi aggiorneranno e miglioreranno, «laddove necessario», gli Ndc 2030, cioè gli impegni di taglio dei gas serra a livello nazionale tenendo conto di diversi approcci nel breve e medio periodo.
Confermato l'impegno sui finanziamenti nei confronti dei Paesi in via di sviluppo, mobilitando congiuntamente 100 miliardi di dollari all'anno entro il 2020 (ad oggi è stata raggiunta quota 82-83 miliardi) e ogni anno fino al 2025, per le azioni di mitigazione. Nuovi impegni sono stati assunti da alcuni dei membri del G20 per aumentare il proprio contributo, come l'Italia, che ha aumentato il proprio aiuto a 7 miliardi in 5 anni. I finanziamenti pubblici e privati internazionali alle centrali alimentate a carbone non andranno oltre la fine di quest'anno, mentre andranno a sostenere lo sviluppo di energia verde.
Il G20 riconosce lo stretto legame tra clima ed energia e si impegna a ridurre le emissioni nel settore energetico aumentando la diffusione di tecnologie rinnovabili e a emissioni zero o basse. Il Gruppo dei 20 chiede di ridurre gli investimenti in nuova capacità di generazione di energia dal carbone. Le politiche dei vari Paesi devono essere orientate ad investimenti in infrastrutture sostenibili e tecnologie innovative che promuovano la decarbonizzazione e l'economia circolare e ad un'ampia gamma di meccanismi fiscali, di mercato e normativi, per sostenere le transizioni verso l'energia pulita. Compreso, se del caso, l'uso di meccanismi e incentivi per la determinazione del prezzo del carbonio, fornendo al contempo un sostegno mirato ai Paesi più poveri e a quelli più vulnerabili. Riconoscendo l'urgenza di combattere il degrado del suolo e per creare nuovi serbatoi che possano assorbire il carbonio, il G20 si pone l'obiettivo di piantare 1.000 miliardi di alberi entro il 2030. Ora la palla passa alla Cop26 dove l’incognita è legata a Russia e Cina (entrambi assenti dal G20 con i loro premier).
Le critiche degli ambientalisti
Critici gli ambientalisti, dall'ex ministro dell'Ambiente Edo Ronchi alle ong ambientaliste e umanitarie ai politici Verdi. «Nessuna novità nel documento finale rispetto all'Accordo di Parigi», commenta Ronchi a proposito del «non superare 1,5 gradi» di riscaldamento globale. Secondo il presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile alla Cop26 di Glasgow «non ci sarà alcun aumento di impegni» di taglio delle emissioni di gas serra. Sulla stessa linea Legambiente che parla di «un patto per il clima senza impegni concreti», l'Oxfam secondo cui il vertice «è stato incapace di scelte coraggiose» mentre il WWF sottolinea la necessità «di fare molto di più». Si tratta di un accordo «che va a formalizzare quanto già acquisito senza prevedere impegni concreti sulla finanza climatica», scrive Legambiente esprimendo l'auspicio che a Glasgow, «i Grandi del Pianeta riescano a trovare un'intesa per arrivare a un nuovo e ambizioso accordo per il clima in grado di mantenere vivo l'obiettivo di 1.5 gradi centigradi dell'Accordo di Parigi, ma anche per accelerare l'adattamento ai cambiamenti climatici, far fronte alle perdite e ai danni delle comunità più colpite dall'emergenza, ma anche e soprattutto finanziare adeguatamente l'azione dei paesi poveri e completare il Rulebook, ossia le norme attuative dell'Accordo di Parigi, per renderlo finalmente operativo».
Per il WWF «il vertice di Roma ha fatto progressi limitati», «manda alcuni segnali importanti, ma è necessario fare molto di più per colmare i divari di ambizione su clima e natura». Ora i 20 paesi «devono aumentare i loro obiettivi e piani nazionali (Ndc) per il 2030» rileva l'associazione del panda. Ad avviso del co-portavoce nazionale di Europa Verde Angelo Bonelli «l'esito del G20 per il futuro del Pianeta è stato un tragico disastro» mentre il segretario nazionale di Sinistra italiana Nicola Fratoianni dice che dal G20 non c'è «nessun impegno certo per arrestare i cambiamenti climatici». Loredana De Petris capogruppo di Leu al Senato sottolinea che «l'esito del G20, condizionato dai veti di Cina, Russia, India, Indonesia, Australia e Arabia Saudita, è insufficiente e deludente. Dobbiamo sperare che sia la Cop26 dell'Onu a muoversi invece con la necessaria drasticità». Per Jorn Kalinski, coordinatore per il G20 e senior advisor di Oxfam, «la mancanza di urgenza e risolutezza è irresponsabile e profondamente deludente: questo vertice avrebbe dovuto dare risposte efficaci, innovative ed eque a un mondo che faticosamente si avvia verso la fase post-pandemica, ma i leader non sono stati all'altezza delle sfide epocali in corso».