Era il 4 agosto del 1977 quando
il Parlamento approvò la legge
517, nota come Legge Falcucci,
che prevedeva l’inclusione e il
sostegno dei bambini portatori
di handicap nella scuola dell’obbligo.
I lavori della Commissione parlamentare,
presieduta dall’onorevole
Franca Falcucci, erano terminati nel
1975, dopo un decennio di riflessioni e
studi in cui l’esempio di Mirella Antonione
Casale aveva indicato la strada.
Novantunenne elegante e dall’aria fiera, Mirella oggi ci apre le porte di
casa sua a Torre Pellice, in provincia di
Torino, dove vive dal 1988, immersa nei
libri e nei ricordi. Incessantemente ripete e ripercorre, con lo sguardo che si
illumina, i sorrisi di quella figlia Flavia
che tanto ha condizionato la sua vita e
la sua carriera, rendendola speciale.
Era il 1° maggio del 1957 quando
nacque la prima figlia. «Eravamo
contenti perché aveva scelto il giorno
giusto. Una bambina bella e sana
finché non si ammalò di influenza
asiatica». Una febbre altissima, una
corsa in ospedale e un responso agghiacciante.
«“La porti a casa e se la
coccoli”, ci dissero. La davano per spacciata.
La febbre continuò per qualche
giorno con le convulsioni. Lei che
faceva già i sorrisetti... Chiamammo
un medico che lavorava con i bambini
al Cottolengo (l’istituto di carità di
Torino che si occupa di fragilità, ndr).
Ci cambiò cura e ci consigliò un antibiotico
recente arrivato dall’America.
Forse è stato quello che l’ha salvata».
LE CLASSI SPECIALI
Fatto sta che Flavia
sopravvisse, ma riportò danni gravissimi.
«Un’encefalite con paralisi
fisiche e l’impossibilità di parlare.
Fu una tristezza vederla. Una bambina
completamente in balìa del supporto
e dell’aiuto degli altri». Presto si pose
anche il problema della scuola. Mirella
si scontrò con il tentativo di iscriverla
in una scuola elementare “normale”, «ci venne risposto di no perché
ancora non camminava con sicurezza
e non parlava». E un’indicazione inaccettabile:
«La iscriva in una scuola
“speciale”». Da lì la scelta di tenerla
a casa, seguirla e stimolarla. Un’esperienza
che Mirella non poté non tenere
ben presente anche nel suo mestiere,
di insegnante prima e di preside poi.
Una vocazione all’attenzione e all’aiuto
dell’altro rafforzata dalla figlia
Flavia, ma presente sin da bambina.
LA LEGGE FALCUCCI
«A sei anni mi
mandarono a scuola per la prima volta.
Il primo giorno, in una classe di 40
bambini, rimasi così scioccata dai maschi
che si prendevano a botte che presi
la cartella e me ne andai. La sera mio
padre mi disse che non mi ero comportata
bene e mi spiegò che i bambini
vanno seguiti e curati. Lo guardai
e risposi: “Papà, sai che c’è? Vado a fare
la maestra”».
Iniziò così la sua lunga carriera,
sulla scia di quell’aneddoto che ancora
oggi, a distanza di anni, non la lascia.
Due diplomi, uno alle magistrali e
uno al liceo classico e, nel 1949, una
laurea in Lettere classiche. Nel 1951
iniziò a insegnare in provincia di Vercelli
e poi con incarico di ruolo a Torino,
nella scuola media prima e nell’Istituto
tecnico poi. Nel 1968 vince il
concorso di preside di scuola media
a Torino con incarico alla Camillo Olivetti.
«Una scuola di precollina con due
strati sociali eterogenei tra chi poteva
e chi meno, tra borghesi torinesi e immigrati
dal Sud. Fu in quegli anni che
lavorai su due fronti: il tempo pieno,
di cui necessitavano in tanti, e l’integrazione
degli alunni handicappati
nelle classi “normali” fin dal 1971.
Fu grazie a quell’intuizione e alla determinazione
dei miei insegnanti che
riuscimmo gradualmente a eliminare
le classi speciali e introdurre i bisogni
speciali nelle classi normali».
L’esempio di Mirella fu studiato e
apprezzato dal ministero della Pubblica
istruzione che a lei si ispirò per
scrivere la Legge Falcucci e la designò
a coordinare l’integrazione scolastica
dei disabili presso il Provveditorato
agli Studi di Torino. «Perché la
scuola è un diritto per tutti. E non può
esisterne una in cui ci sono le classi di
“luminari” e la classe degli asini».