Monsignor Stefano Russo, Segretario Generale della Cei.
Conoscere per comprendere. È questa l’espressione chiave che più si adatta al mondo della ricerca, fra quelle che Papa Francesco ha indicato in occasione della imminente 106a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, che si celebrerà domenica 27 settembre. Lo ho detto monsignor Stefano Russo, Segretario generale della Conferenza episcopale italiana, in apertura del convegno “La religione del migrante: una sfida per la Società e per la Chiesa”: «Fra le coppie di verbi proposte dal Santo Padre nel messaggio scritto in occasione della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, “conoscere per comprendere” – non a caso la prima – si adatta molto bene al mondo della ricerca». Il convegno è in svolgimento oggi, 25 settembre, presso il “Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale della Santa Sede”, promosso dall’Università Cattolica in collaborazione con la Conferenza episcopale italiana.
«Papa Francesco», ha aggiunto monsignor Russo, «spiega questo movimento ideale verso l’altro per mezzo dell’episodio che accosta Gesù ai discepoli incamminati lungo la strada verso Emmaus. Applicarlo al mondo della mobilità, come fa il Santo Padre nel suo messaggio, è importante: molto spesso ci si riferisce a migranti e a sfollati, più raramente alle persone migranti e sfollate. Può forse sembrare una distinzione di poco conto, quasi un gioco di parole, ma in realtà si tratta di una differenza fondamentale, che dai numeri ci conduce alle persone, dai fenomeni da studiare alle storie di vita da ascoltare. E, attraverso di esse, comprendere davvero».
«Le restanti coppie di verbi proposte dal Santo Padre nel messaggio», ha continuato, «in un certo senso, vengono poi naturali e derivano da questo primo movimento verso l’altro: farsi prossimo e mettersi al servizio, innanzitutto attraverso l’ascolto, per una riconciliazione, anche con se stessi, con le nostre paure, con i nostri odi. Solo in questo modo porremo basi reali e sincere per una condivisione, presupposto per una crescita comune; e lo stile sarà, inevitabilmente, non verticale, verticistico, ma orizzontale, orientato al pieno coinvolgimento, perché possa dirsi vera promozione; solo collaborando, infatti, si costruisce».
Da questo punto vista «il mondo della ricerca rappresenta un ottimo banco di prova del nostro atteggiamento verso gli altri, anche verso le persone migranti», ha spiegato. Questa ricerca su “Migrazioni e appartenenze religiose”, con il suo carattere multidisciplinare – ha unito, infatti, sociologi, filosofi, psicologi, giuristi, politologi e teologi in un lavoro lungo oltre due anni, fra Italia e Medio Oriente – rappresenta in certo qual modo un ideale di questo atteggiamento».
«Dobbiamo chiederci», ha aggiunto il segretario generale della Cei, «cosa vediamo nelle persone migranti. Sono l’oggetto delle nostre ricerche, oppure il soggetto, attivo, partecipe, ascoltato, amato? Solo così potremo comprendere il profondo legame che unisce persone migranti e religione».
Un tema, questo, che interroga oggi le società europee contemporanee, sottolinea l’introduzione della ricerca. Non solo la “crisi dei rifugiati”, ma anche i flussi umani che caratterizzano ormai da decenni l’immigrazione verso l’Italia e l’Europa hanno posto queste di fronte alla necessità di fare i conti con un duplice scenario sociale e religioso: quello, talvolta complesso, dei Paesi d’origine dei flussi migratori e quello, anch’esso delicato, dei Paesi di destinazione. «Questi ultimi, in particolare, sono chiamati a confrontarsi con un profondo cambiamento nella composizione etnica, linguistica e religiosa della propria popolazione residente. Di contro, proprio la più tradizionale identità religiosa italiana – ed europea e occidentale – quella cristiana, negli ultimi anni è stata ripetutamente evocata in chiave polemica, a protezione di un’Europa minacciata dall’arrivo di immigrati e richiedenti asilo che professano una fede differente».
«Non sarebbe corretto», ha osservato monsignor Russo, «individuare nella religione un elemento, di per sé, di conflitto e contrapposizione». Anzi, come disse nel 1981 Giovanni Paolo II nel suo discorso sulle comuni radici cristiane delle nazioni europee, «occorre anche cercare i fondamenti spirituali dell’Europa e di ogni nazione, per trovare una piattaforma di incontro tra le varie tensioni e le varie correnti di pensiero, per evitare ulteriori tragedie e soprattutto per dare all’uomo, al “singolo” che cammina per vari sentieri verso la Casa del Padre, il significato e la direzione della sua esistenza».
Lo studio, peraltro, sottolinea che “la religione può diventare una componente costitutiva di un processo di co-costruzione dello spazio pubblico”. Se è vero che la religione può rappresentare un fattore di distinzione, e talvolta di contrapposizione, è vero anche che «può fungere da elemento aggregante, di dialogo e di cooperazione nella costruzione delle comunità», ha concluso il Segretario generale della Cei. «Così come l’intera società, anche la Chiesa è sollecitata da queste dinamiche, mentre guarda, in particolare, al loro significato profetico. Non sarà mai ripetuto a sufficienza il valore di “segno dei tempi” delle migrazioni, anzi delle persone migranti, anche solo per verificare – o cogliere – il vero significato di «cattolicità», universalità. E sottrarre, così, le persone migranti alla cultura dello scarto, spesso evocata dal Santo Padre, che ha ridotto l’approccio alle persone migranti al governo dei flussi e dei confini. E a calcoli politici, economici e di presunto efficientismo».