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giovedì 21 settembre 2023
 
Martiri per la salvaguardia del Creato
 

Morire per difendere la natura

28/04/2014  Ogni settimana, nel mondo, vengono uccisi in media due attivisti che lottano per difendere l'ambiente e in particolare la loro terra, sempre più minacciata dalle multinazionali, interessate alle risorse naturali.

Il rapporto "Deadly Environment", redatto dall'organizzazione “Global Witness”, fotografa una realtà in drammatica crescita: negli ultimi 10 anni è quasi triplicato il numero di omicidi degli attivisti per l'ambiente, passando dai 51 del 2002 ai 147 del 2012.

Tra il 2002 e il 2013 sono stati almeno 908 gli attivisti uccisi in 35 Paesi, e quasi tutti i casi sono rimasti impuniti: le condanne sono state solo 10 e per 17 casi di attivisti scomparsi, resta da pensare purtroppo che vadano aggiunti al conto degli assassinati.

Il Sud America è il quadrante della Terra più pericoloso, con l'80 per cento del totale dei decessi e il Brasile - il Paese dei prossimi Mondiali di Calcio - è il più pericoloso al mondo per chi difende le risorse naturali, con 448 morti tra il 2002 e il 2013.

Nove anni fa, nello Stato brasiliano del Parà, perse la vita suor Dorothy Stang, “prima martire del Creato”, come ricorda il titolo della sua biografia edita dalle Edizioni Paoline. Dorothy non aveva paura di difendere i più poveri contro i commercianti di legname e i latifondisti. Il 12 febbraio 2005 due uomini armati le sbarrarono la strada chiedendole se avesse un’arma e lei estrasse dalla sua povera borsa di plastica – che conteneva le mappe attestanti che la terra era dei contadini – la Bibbia: “Questa è la mia arma”. La aprì e lesse le Beatitudini. Venne colpita da sei colpi di pistola, poi la fuga dei due killer pagati dai latifondisti.

Meno nota, invece, è la storia di Valsa John, una suora di 52 anni, picchiata a morte da una folla di 40 persone che fece irruzione nella sua abitazione nello stato di Jharkhand, in India, la notte del 15 novembre 2011. Secondo Amnesty International, Valsa John è stata assassinata a causa del suo impegno in difesa diritti degli adivasi, le popolazioni native che si oppongono allo sfruttamento illegale dei giacimenti di carbone della zona. Nel 2007, Valsa John era stata arrestata per aver guidato la protesta degli adivasi contro un progetto di estrazione del carbone della Panem Coal Mines, un consorzio costituito dalla Compagnia elettrica dello stato del Punjab e dall'Agenzia per il commercio dei minerali delle regioni orientali. Rilasciata su cauzione, Valsa John aveva negoziato un accordo con la Panem, che aveva acquisito i terreni che le interessavano in cambio di una sistemazione alternativa degli adivasi che vi vivevano, di opportunità d'impiego, servizi sanitari e scuole gratuite per i bambini.

Sempre più omicidi

Morire per difendere la natura: il tasso di omicidi è cresciuto negli ultimi quattro anni, secondo lo studio di “Global Witness”. Nel 2013 i casi di omicidio potrebbero superare i 95 accertati finora - avverte l'organizzazione - che denuncia le difficoltà incontrate per condurre l'inchiesta in zone remote di diversi Paesi africani e asiatici.

Molti di quanti ricevono minacce sono persone comuni che si oppongono all'accaparramento delle terre, il cosiddetto “land grabbing”
, a operazioni minerarie e al commercio del legname. Dove? In questa triste classifica il Brasile è seguito in America Latina da Honduras e Perù; in Asia il primato spetta alle Filippine, seguito dalla Thailandia.

In Honduras decine di contadini che reclamavano le proprie terre espropriate ingiustificatamente per favorire l’espansione della palma da olio hanno perso la vita, presumibilmente, per mano di sicari, forze di sicurezza o paramilitari, contrattati dai latifondisti. Lo stesso è successo al leader indigeno Gilbert Paborada e ad altri membri dell’Alleanza degli indigeni Kaluamby, nelle Filippine, che si oppongono all’espansione della palma da olio.

Anche chi contrasta i progetti minerari a volte paga con la vita: è il caso di attivisti come Mariano Abarca, assassinato nel 2009 in Chiapas (Messico) dopo una strenua battaglia contro il progetto di una compagnia canadese o di Gerry Ortega, giornalista radiofonico, ucciso nel 2011 a Puerto Princesa, nell'isola filippina di Palawan, Filippine. Il giorno dopo sarebbe dovuto andare a Manila per lanciare una raccolta di firme contro le operazioni minerarie sull'isola.

Nel 2012 anche l’attivista indigena filippina Juvy Capion è stata assassinata con i suoi due figli per aver lottato contro lo sfruttamento minerario. A volte difendendo la natura si disturbano anche traffici illeciti come quello della droga. Sembra sia stata questa la causa della morte di Jairo Mora, un attivista ventiseienne costaricano che difendeva le tartarughe, nella costa della provincia del Limón, pattugliando le spiagge la notte per evitare che i bracconieri saccheggiassero le uova di tartaruga dai nidi.

Un anno fa è stato sequestrato e assassinato e l'associazione ambientalista che organizzava i turni di volontariato è stata costretta a cancellare l'intero programma di sorveglianza. Difendere l'ambiente è sempre più difendere il diritto alla salute e alla vita stessa e chi lo fa si trova davanti interessi colossali. Non solo in America Latina o in Asia, ma anche nel nostro Paese, basti pensare alla “Terra dei fuochi”, portata all'attenzione dell'opinione pubblica da don Maurizio Patriciello.

 
 
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