Il rapporto "Deadly
Environment", redatto dall'organizzazione “Global Witness”,
fotografa una realtà in drammatica crescita: negli ultimi 10 anni è
quasi triplicato il numero di omicidi degli attivisti per l'ambiente,
passando dai 51 del 2002 ai 147 del 2012.
Tra il 2002 e il 2013 sono
stati almeno 908 gli attivisti uccisi in 35 Paesi, e quasi tutti i
casi sono rimasti impuniti: le condanne sono state solo 10 e per 17
casi di attivisti scomparsi, resta da pensare purtroppo che vadano
aggiunti al conto degli assassinati.
Il Sud America è il
quadrante della Terra più pericoloso, con l'80 per cento del totale
dei decessi e
il Brasile - il Paese
dei prossimi Mondiali di Calcio - è il più pericoloso al mondo per
chi difende le risorse naturali, con 448 morti tra il 2002 e il 2013.
Nove anni fa, nello
Stato brasiliano del Parà, perse la vita suor Dorothy Stang, “prima
martire del Creato”, come ricorda il titolo della sua biografia
edita dalle Edizioni Paoline.
Dorothy non aveva paura
di difendere i più poveri contro i commercianti di legname e i
latifondisti. Il 12 febbraio 2005 due uomini armati le sbarrarono la
strada chiedendole se avesse un’arma e lei estrasse dalla sua
povera borsa di plastica – che conteneva le mappe attestanti che la
terra era dei contadini – la Bibbia: “Questa è la mia arma”.
La aprì e lesse le Beatitudini. Venne colpita da sei colpi di
pistola, poi la fuga dei due killer pagati dai latifondisti.
Meno nota, invece, è
la storia di Valsa John, una suora di 52 anni, picchiata a morte da
una folla di 40 persone che fece irruzione nella sua abitazione nello
stato di Jharkhand, in India, la notte del 15 novembre 2011.
Secondo Amnesty
International, Valsa John è stata assassinata a causa del suo
impegno in difesa diritti degli adivasi, le popolazioni native che si
oppongono allo sfruttamento illegale dei giacimenti di carbone della
zona. Nel 2007, Valsa John era stata arrestata per aver guidato la
protesta degli adivasi contro un progetto di estrazione del carbone
della Panem Coal Mines, un consorzio costituito dalla Compagnia
elettrica dello stato del Punjab e dall'Agenzia per il commercio dei
minerali delle regioni orientali. Rilasciata su cauzione, Valsa John
aveva negoziato un accordo con la Panem, che aveva acquisito i
terreni che le interessavano in cambio di una sistemazione
alternativa degli adivasi che vi vivevano, di opportunità d'impiego,
servizi sanitari e scuole gratuite per i bambini.
Sempre più omicidi
Morire per difendere la
natura: il tasso di omicidi è cresciuto negli ultimi quattro anni,
secondo lo studio di “Global Witness”. Nel 2013 i casi di
omicidio potrebbero superare i 95 accertati finora - avverte
l'organizzazione - che denuncia le difficoltà incontrate per
condurre l'inchiesta in zone remote di diversi Paesi africani e
asiatici.
Molti di quanti ricevono minacce sono persone comuni che si
oppongono all'accaparramento delle terre, il cosiddetto “land
grabbing”, a operazioni minerarie e al commercio del legname. Dove?
In questa triste classifica il Brasile è seguito in America Latina
da Honduras e Perù; in Asia il primato spetta alle Filippine,
seguito dalla Thailandia.
In Honduras decine di
contadini che reclamavano le proprie terre espropriate
ingiustificatamente per favorire l’espansione della palma da olio
hanno perso la vita, presumibilmente, per mano di sicari, forze di
sicurezza o paramilitari, contrattati dai latifondisti. Lo stesso è
successo al leader indigeno Gilbert Paborada e ad altri membri
dell’Alleanza degli indigeni Kaluamby, nelle Filippine, che si
oppongono all’espansione della palma da olio.
Anche chi contrasta i
progetti minerari a volte paga con la vita: è il caso di attivisti
come Mariano Abarca, assassinato nel 2009 in Chiapas (Messico) dopo
una strenua battaglia contro il progetto di una compagnia canadese o
di Gerry Ortega, giornalista radiofonico, ucciso nel 2011 a Puerto
Princesa, nell'isola filippina di Palawan, Filippine. Il giorno dopo
sarebbe dovuto andare a Manila per lanciare una raccolta di firme
contro le operazioni minerarie sull'isola.
Nel 2012 anche
l’attivista indigena filippina Juvy Capion è stata assassinata con
i suoi due figli per aver lottato contro lo sfruttamento minerario.
A volte difendendo la
natura si disturbano anche traffici illeciti come quello della droga.
Sembra sia stata questa la causa della morte di Jairo Mora, un
attivista ventiseienne costaricano che difendeva le tartarughe, nella
costa della provincia del Limón, pattugliando le spiagge la notte
per evitare che i bracconieri saccheggiassero le uova di tartaruga
dai nidi.
Un anno fa è stato sequestrato e assassinato e
l'associazione ambientalista che organizzava i turni di volontariato
è stata costretta a cancellare l'intero programma di sorveglianza.
Difendere l'ambiente è
sempre più difendere il diritto alla salute e alla vita stessa e chi
lo fa si trova davanti interessi colossali. Non solo in America
Latina o in Asia, ma anche nel nostro Paese, basti pensare alla
“Terra dei fuochi”, portata all'attenzione dell'opinione pubblica
da don Maurizio Patriciello.