Moschea a Milano? Dopo rinvii e polemiche, è arrivato il famoso bando: il Comune di Milano ha individuato tre aree per la costruzione di luoghi di culto. Sono metà del Palasharp, che già ospita temporaneamente la preghiera del venerdì del Centro islamico di viale Jenner, gli ex bagni fascisti di via Esterle (ora una carrozzeria abbandonata) e l’area di via Marignano, tra capannoni e rotonde al confine con San Donato. I costi saranno totalmente a carico delle comunità religiose; per concorrere bisognerà essere registrati all’Albo delle Religioni, 31 ad oggi le associazioni iscritte (la presenza più forte è quella evangelica, 12) più 29 candidate.
La notizia sta facendo scalpore: tra chi gareggerà per aggiudicarsi una delle aree, ci sono anche alcune associazioni musulmane. Da tempo, i 100 mila fedeli islamici milanesi reclamano un posto dove poter pregare. Oggi in città non c’è una moschea, solo sale di preghiera (almeno 15), tra regolari e irregolari. Capita che i musulmani milanesi siano costretti a pregare in scantinati, garage e magazzini. Il 9 luglio, il Consiglio di Stato ha dato ragione all’associazione Al Nur dei bengalesi islamici, a cui il Comune contestava di utilizzare un sottoscala preso in affitto a una cifra anche piuttosto alta (1.800 euro) per la preghiera del venerdì, con due o più turni e file d’attesa lungo il marciapiede. È un’esperienza comune tra i musulmani milanesi.
«Ricordo bene – racconta Reas Syed, avvocato del Foro di Milano di origine pachistana – quando, essendomi recato con “soltanto” 10 minuti di anticipo alla preghiera del venerdì, ho trovato i cancelli chiusi perché la sala era oltremodo piena e le persone rimaste fuori iniziavano a contarsi per il secondo e il terzo turno di preghiera (tra l’altro pioveva)». E, prima del trasferimento al Palasharp, molti milanesi ricordano i fedeli islamici in preghiera sui marciapiedi di viale Jenner, proprio perché la capienza della sala non bastava. Questo Centro islamico è conosciuto anche perché al centro negli anni di alcune indagini importanti, come quella conclusasi con il rimpatrio in Egitto dell’imam Abu Imad, accusato di collegamenti con il terrorismo internazionale. Un caso che però non rappresenta la linea del Centro, ben espressa invece da vent’anni dal presidente Abdel Hamid Shaari, volto dialogante dell’islam milanese.
Da tempo, tra i maggiori sostenitori della necessità di una moschea c’è la Diocesi, che si è espressa in tal senso sia con il cardinal Tettamanzi, sia con il cardinal Scola. Secondo alcuni osservatori, l’ufficialità di una moschea “regolare” garantirebbe anche dai timori legati al terrorismo internazionale. Tra l’altro, è bene ricordarlo con chiarezza: non c’entrano nulla con i centomila pacifici musulmani milanesi, che anche negli ultimi giorni si sono esposti in marce, dichiarazioni, fotografie contro il terrorismo. L’ultima l’hanno organizzata il 21 settembre, terminata bruciando le bandiere dell’Isis.
Ma chi sono i 100mila musulmani milanesi? Questa comunità è una delle più eterogenee d’Italia, solo a Milano sono originari da più di 30 Paesi differenti, con lingue, tradizioni, orientamenti religiosi (nell’ambito stesso dell’Islam), idee politiche, interessi personali, e così via, profondamente diversi. È uno dei motivi per cui, a Milano come in Italia, non esiste un unico organo che li rappresenti tutti. Accanto agli immigrati islamici, sempre più sono le seconde generazioni: secondo Davide Piccardo, portavoce del Caim, che raccoglie 10 delle associazioni milanesi, «a breve la maggior parte dei musulmani in Italia sarà di cittadinanza italiana». Basta guardare come i 10 membri dell’esecutivo del Caim siano giovani di differente origine (marocchina, egiziana, albanese, pakistana, palestinese, italiana), ma praticamente tutti seconde generazioni. Come Reas Syed, che così dice di sé: «Paradossalmente i miei ricordi iniziano ad esser nitidi da quando mi ritrovai nel bel mezzo... della nebbia padana». O Sumaya Abdel Qader, autrice del libro “Porto il velo, adoro i Queen”, che alla domanda su chi sono i musulmani in Italia dice: «Troppo banale dire che sono persone comuni che vogliono vivere serenamente? E la moschea? Serve per pregare, un aspetto importante di una persona».
Il Caim sarà una delle realtà che concorrerà al bando del Comune, a cui aveva già presentato un progetto; sostengono che la costruzione verrà finanziata dalla comunità islamica italiana, mentre altri progetti prevedevano di affidarsi economicamente a uno Stato estero. E in Italia, qual è la situazione? Le uniche moschee sono a Segrate (Milano), Roma, Colle Val d’Elsa (Siena), Ravenna e Catania. Si stima che le sale di preghiera siano 700 in tutta Italia, per 1.583.00 persone secondo il Pew Research Center (2,6% della popolazione), 2 milioni secondo altre stime. Gli italiani convertiti sono 70mila per l’Ucoii, mentre i musulmani sono un terzo (32,9%) tra gli stranieri residenti. È sempre importante ricordare l’eterogeneità della composizione: significativa è la presenza degli albanesi (500mila), originari di un Paese a maggioranza islamica che Papa Francesco, nella recente visita del 21 settembre, ha indicato come modello per la convivenza tra le religioni.
E in Europa? Per il Pew Research Center, nel 2010 erano oltre 4 milioni in Germania, 3 milioni e mezzo in Francia, 2 milioni e 869mila in Gran Bretagna. Varie stime dicono che arrivano a 20milioni nell’Ue e a 60 nell’Europa geografica. Sale di preghiera? 8000 tra Inghilterra, Germania e Francia. Moschee? Quasi il problema non si pone, a Londra e dintorni se ne contano oltre 350, Berlino già nel 1990 aveva 3 moschee, con tanto di minareto e cupola, e ora ne ha oltre 200 moschee, Parigi ha 60 luoghi per il culto islamico, di cui 25 moschee riconosciute, Dublino ne ha 10.