Oltre 150 mila persone da 134 nazioni. Il campo di Tor Vergata si riempie di famiglie e bandiere. «Proprio qui dove 18 anni fa due milioni di giovani si sono ritrovati con Giovanni Paolo II vi diamo il benvenuto», dice il rettore dell’ateneo. «Questo conferma», aggiunge, «che l’università è parte viva e vitale del territorio in cui opera. Laica, ma aperta a ogni fede».
Un grande “retablo” che rappresenta il Giudizio universale, opera di Kiko e del suo gruppo di artisti, domina il palco. La chitarra e le parole del fondatore del Cammino neocatecumenale riempiono l’attesa dell’arrivo del Papa. «La solitudine è il grande dramma dell’Europa e del mondo», dice Kiko. «Tutti quelli che siete qui avete una comunità alle spalle, ma ci sono persone che sono completamente sole. E se a 50 anni con un cane e una bottiglia di whisky si può sopportare, a 90 no. Quando sei più anziano se cadi in casa non c’è nessuno che ti viene a rialzare. E tanti vengono trovati morti dopo giorni e neppure puzzano perché non mangiano. Da noi gli anziani sono in comunità e, se non possono andare in comunità, la comunità fa loro da casa».
Le bandiere dell’argentina, circa 700 i presenti, sono le prime a sventolare per salutare il Papa che arriva con pochi minuti di ritardo. Papa Francesco incontra il Cammino, a 50 anni dalla sua fondazione, per fare festa e per benedire 34 nuove “missio ad gentes”, cioè 34 nuclei formati da un presbitero e da 4 o 5 famiglie con figli numerosi che andranno in zone scristianizzate in Europa e nel mondo, e 25 comunità in missione, cioè intere comunità che lasciano la propria parrocchia per andare a sostenere la vita cristiana di parrocchie in difficoltà.
Una missione che «è la priorità della Chiesa oggi», dice il Papa. Che subito indica anche i confini e le caratteristiche dell’evangelizzazione, che si compie senza fare proselitismi, in unità con tutta la Chiesa. «Missione», spiega, «è compiere il mandato di Gesù», come riferisce Matteo: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli».
Partendo dall’imperativo «Andate» Francesco ricorda che «La missione chiede di partire. Ma nella vita è forte la tentazione di restare, di non prendere rischi, di accontentarsi di avere la situazione sotto controllo. È più facile rimanere a casa, circondati da chi ci vuol bene, ma non è la via di Gesù». Bisogna andare, Gesù «non usa mezze misure. Non autorizza trasferte ridotte o viaggi rimborsati, ma dice ai suoi discepoli, a tutti i suoi discepoli una parola sola: “Andate!”».
Per andare bisogna essere agili, come il popolo eletto liberato dalla schiavitù che Dio «fece andare nel deserto col solo bagaglio della fiducia in Lui. E fattosi uomo, camminò Egli stesso in povertà, senza avere dove posare il capo». Con questo stesso stile bisogna annunciare il Vangelo, rinunciando: «Solo una Chiesa che rinuncia al mondo annuncia bene il Signore. Solo una Chiesa svincolata da potere e denaro, libera da trionfalismi e clericalismi testimonia in modo credibile che Cristo libera l’uomo». La folla applaude. E il Papa continua: «Chi, per suo amore, impara a rinunciare alle cose che passano, abbraccia questo grande tesoro: la libertà. Non resta più imbrigliato nei propri attaccamenti, che sempre reclamano qualcosa di più ma non danno mai la pace, e sente che il cuore si dilata, senza inquietudini, disponibile per Dio e per i fratelli».
E poi, sottolinea il Papa, il verbo usato da Gesù è al plurale: «Il Signore non dice: “vai tu, poi tu, poi tu...”, ma “andate”, insieme! Pienamente missionario non è chi va da solo, ma chi cammina insieme». Stando attenti a non imporre il proprio passo e il proprio schema. «Si va avanti insieme, senza isolarsi e senza imporre il proprio senso di marcia, si va avanti uniti, come Chiesa, coi Pastori, con tutti i fratelli, senza fughe in avanti e senza lamentarsi di chi ha il passo più lento».
Infine Francesco ricorda che «Gesù risorto dice: “Fate discepoli”. Ecco la missione. Non dice: conquistate, occupate, ma “fate discepoli”, cioè condividete con gli altri il dono che avete ricevuto, l’incontro d’amore che vi ha cambiato la vita. È il cuore della missione: testimoniare che Dio ci ama e che con Lui è possibile l’amore vero, quello che porta a donare la vita ovunque, in famiglia, al lavoro, da consacrati e da sposati. Missione è tornare discepoli con i nuovi discepoli di Gesù. È riscoprirsi parte di una Chiesa discepola. Certo, la Chiesa è maestra, ma non può essere maestra se prima non è discepola, così come non può esser madre se prima non è figlia. Ecco la nostra Madre: una Chiesa umile, figlia del Padre e discepola del Maestro, felice di essere sorella dell’umanità. E questa dinamica del discepolato – il discepolo che fa discepoli – è totalmente diversa dalla dinamica del proselitismo».
La forza dell’annuncio, lo aveva detto anche qualche giorno fa in una omelia a Santa Marta, non sta negli «argomenti che convincono» è «la vita che attrae; non la capacità di imporsi, ma il coraggio di servire».
Il Papa chiede ai neocatecumenali di annunciare il Vangelo «vivendo in famiglia, sull’esempio della santa Famiglia: in umiltà, semplicità e lode», così come è il loro carisma e di portare «quest’atmosfera familiare in tanti luoghi desolati e privi di affetto. Fatevi riconoscere come gli amici di Gesù. Tutti chiamate amici e di tutti siate amici».
Senza imporre il proprio schema, sottolinea ancora. E, prima di benedire le croci e quanti stanno per andare in missione, invita: «Amate le culture e le tradizioni dei popoli, senza applicare modelli prestabiliti. Non partite dalle teorie e dagli schemi, ma dalle situazioni concrete: sarà così lo Spirito a plasmare l’annuncio secondo i suoi tempi e i suoi modi. E la Chiesa crescerà a sua immagine: unita nella diversità dei popoli, dei doni e dei carismi».