Il Presepe 2018 sono loro. Un volontario ha scattato una foto mentre Abdellah Yousef, 28enne del Ghana, sua moglie Faith, 19enne nigeriana, incinta di tre mesi, e la loro bimba di sei mesi appena, Salima, facevano ingresso nel Centro per minori non accompagnati della Croce Rossa e quell’immagine, ripresa dai giornali e dalle Tv, ha fatto impazzire i social network. È la prima famiglia sbattuta fuori dal regional hub di Sant’Anna, a Isola Capo Rizzuto, alle porte di Crotone, una delle strutture per migranti più grandi d’Europa, per effetto del decreto Salvini, che nega accoglienza a chi ha titolo alla protezione umanitaria, eccezion fatta per i cosiddetti casi speciali. Mentre il ministro, artefice della stretta sui migranti che in tutt’Italia potrebbe portarne 40 mila in strada, pontifica sui presepi, qualcuno gli rinfaccia che questo è il vero significato della Natività. Basta rileggersi il Vangelo secondo san Luca. Nella notte dei tempi non c’era posto per Giuseppe e Maria in un albergo...
«Sì, siamo cristiani, ma quando eravamo in Libia dovevamo dirci musulmani», racconta Yousef, uno dei primi, insieme a moglie e figlia, a essere allontanati da Sant’Anna, ma si stimano 200 uscite nel mese di dicembre in una città crocevia dell’immigrazione, che oggi ha il suo eroe in Mustafa, venditore ambulante marocchino che ha salvato una dottoressa che stava per essere accoltellata a morte bloccando l’aggressore, davanti all’ospedale. La famigliola accolta dalla Croce Rossa fa parte dei 24 ai quali la Prefettura di Crotone ha dovuto spiegare che, pur avendo un permesso di soggiorno per motivi umanitari, non possono più stare nel Centro di prima accoglienza né negli Sprar, che sono centri di seconda accoglienza per quanti hanno titolo, però, alla protezione internazionale. Dei più vulnerabili si sono presi cura la Croce Rossa, che ha accolto anche due ivoriane, potenziali vittime della tratta, e la Cooperativa Agorà, che ha preso in carico quattro 19enni. Per gli altri non ci sono alternative all’addiaccio e alcuni hanno trovato rifugio in una baraccopoli nei pressi della stazione ferroviaria.
Yousef ha attraversato il Burkina Faso e la Nigeria prima di arrivare in Libia, dove, in un centro di detenzione, ha conosciuto Faith. Quattro mesi di lavoro e poi il viaggio su un barcone, su cui sono morti in cinque. «I corpi sono stati buttati in mare», ricorda. Quindi il salvataggio a opera di una nave italiana, che li ha portati a Vibo Valentia, e il trasferimento a Sant’Anna. «Da 16 mesi eravamo nel campo, dove è nata Salima. Quando la polizia ha detto che non potevamo più stare là perché la legge è cambiata, ho spiegato che non sapevo dove andare. Mia moglie piangeva. Non ho avuto paura per me ma per la bimba. Io sono forte, ma loro?».
Il prefetto di Crotone, Cosima Di Stani, ha contattato la Caritas che ha reperito una sistemazione presso la Croce Rossa, che ha fornito loro tutto il necessario. Quattro giorni di permanenza, durante i quali a Salima, coccolatissima dall’educatrice Rosanna Greco, e a sua madre incinta non è stato fatto mancare nulla, ed è spuntata la soluzione. «Una nostra volontaria», spiega don Rino Le Pera, direttore della Caritas di Crotone, ha messo a disposizione una casa sfitta. Il gesto dimostra la sensibilità di una famiglia italiana, peraltro mista. Il marito di lei è tunisino. Adesso speriamo che Yousef possa trovare un lavoro». Caccuri, paesino dell’Alto Crotonese, è la nuova meta. L’odissea, almeno per Natale, non proseguirà. «Natale me lo immagino al sicuro e con un lavoro. Io sono forte», continua Yousef, «posso fare qualsiasi lavoro. E voglio restare in Italia».
Non vuole guardarsi indietro, Yousef. Dal Ghana è stato allontanato dalla seconda moglie di suo padre. A Faith, invece, sono morti entrambi i genitori, «il padre per un infortunio sul lavoro, la madre di crepacuore». E mentre si prepara alla partenza per Caccuri, stringe in mano una copia della Sacra Famiglia che le ha regalato suor Loredana. Gli occhi le si illuminano se le si ricorda l’accostamento con la scena del Presepe. «Natività? Una storia di 2 mila anni fa, la conosco… noi siamo cristiani». L’inglese che parlano lui e Faith ha forti inflessioni africane, talvolta per farsi capire c’è bisogno del mediatore culturale. Ma molte cose si capiscono, senza parlare, dagli sguardi, avvolti di luce. Yousef suona un po’ come Giuseppe, Faith significa fede e la bimba, o il bimbo, che porta in grembo si chiamerà Miracle. Miracolo. Eccolo, il Presepe 2018.
Foto di Roberto Carta